A volte la realtà è tanto
disgustosa che persino i media, pur tanto prodighi di immagini orrifiche, si astengono
dall’esporla nella loro interezza: succede
a proposito di Alexander Boettcher, parte maschile della famosa coppia
all’acido, che occupa da tempo le cronache per essersi macchiata, secondo le
accuse, di crimini efferati e senza senso: avrebbero ustionato con l’acido
ragazzi, rei di avere avuto trascorsi sessuali con Martina Lovato, allo scopo
delirante di conseguire una sorta di purificazione da tale contaminazione . Il
prezzo pagato dalle vittime è inenarrabile: ustioni, conseguenze invalidanti,
traumi fisici e psichici pressochè insuperabili, sconvolgimento di tutto lo
stile di vita.
Il video proiettato nell’aula del
tribunale dove sono in corso i processi mostra alcuni antecedenti, davvero
interessanti nella loro consistenza sadica, della carriera criminale di lui:
oltre ai tormenti inflitti ad una Martina che, in una classica dinamica
sadomasochista, appare consenziente nel
bere l’urina di lui o nel subire, apparentemente soddisfatta, un cruento
tatuaggio sull’interno della coscia, irrompe nella scena un altro personaggio, questo
per nulla consenziente: una gallina a cui Alexander Boettcher decide di avvitare il collo, prima di
staccarglielo con uno strappo netto, per poi stare ad osservarla mentre, ancora viva pur con la testa mozzata, corre per la stanza, in una sequenza da vero
e proprio film dell’orrore, come
raccontano i commentatori, gli stessi che giudicano il filmato impossibile da
proiettare nella sua interezza, consapevoli che neppure le curiosità un po’ morbose che pure tutta la
vicenda va solleticando ne sarebbero appagate: per la serie “a tutto c’è un limite”.
Da non sottostimare che Boettcher
in tutto questo si fa riprendere sorridente: è fiero della sua performance, si mostra nel suo
presunto machismo, muscoli in vista e pettorali gonfi, ad esibire il film della
sua crudele prepotenza su un essere totalmente innocente ed altrettanto
indifeso. Il gusto è tutto lì: piacere soddisfatto e orgoglioso nel sottomettere, tormentare, uccidere, forse
ammantando anche la morte dell’animale di un significato rituale, al servizio delle
sue sindromi da onnipotenza. Che poi lui argomenti di avere ucciso l’animale per mangiarlo è
racconto persino offensivo dell’intelligenza di chiunque. Lasciamo agli
psichiatri incaricati dalla legge il compito di cercare il bandolo della matassa intricata del percorso
di formazione dei due carnefici dei nostri giorni, giovani privi persino della
giustificazione di un degrado ambientale quale brodo di cultura di
comportamenti tanto devianti: perché anzi sono belli, benestanti, studiano, alle
spalle hanno famiglie e non solitudini devastanti.
Vale qui la pena concentrarsi, per
un momento almeno, sulla gallina, e non solo per rendere omaggio anche a lei,
quale vittima incolpevole e terrorizzata dell’idiozia umana, ma anche perché la
sua sorte, nel parallelismo con quella delle altre vittime, quelle umane, è
esempio eclatante di una realtà ancora oggi sottostimata, vale a dire che la
violenza sugli umani e quella sugli animali non umani è inestricabilmente
connessa. Boettcher ne dà una dimostrazione incomparabile dal vivo:
per lui l’altro, chiunque sia, non è essere con i cui sentimenti confrontarsi e
identificarsi, ma è oggetto di un rapporto che si esprime solo attraverso la
violenta prevaricazione. Prevaricazione che parla il linguaggio della
strumentalizzazione dell’esistenza altrui ai propri fini, della crudeltà e del
piacere che ne deriva; dell’assenza della capacità identificatoria nel mondo
psichico e fisico dell'altro, a qualunque specie questi appartenga. E’
fondamentale in altri termini porre l’accento
sulla analogia delle dinamiche che
sono alla base della violenza intra e interspecifica: fare del male ad
un essere vivente che in risposta manda segnali di sofferenza, paura, dolore,
sottomissione, richiesta di pietà; non accogliere tale richiesta; rimanervi indifferente
o peggio rispondervi con rinnovato incrudelimento significa essere carenti di
sensibilità, empatia, rispetto. Significa essere affetti da analfabetismo
emotivo e affettivo perché esseri umani e esseri animali parlano un unico
linguaggio che è quello dell’attaccamento alla vita, della fuga dal dolore, di
una innata e mai davvero sopita aspettativa di solidarietà da parte dell’altro,
quell’altro che a volte riveste solo i panni del carnefice. In questo senso e in questa ottica la gallina
torturata e uccisa da Alexander Boettcher , tutto muscoli e strafottenza, era
già un manifesto di quello che lui era e di quello che avrebbe potuto fare,
anche se ovviamente non sarebbe stato possibile prevedere in quale direzione i
suoi deliri di onnipotenza lo avrebbero condotto. Ma di certo quel video, anche se fosse stato
diffuso nel passato, se ne può essere certi, non avrebbe destato una preoccupazione
conseguente: perché “Era solo una gallina” sarebbe stata la prevedibile risposta
a qualsiasi invito a non sottovalutare il segnale di allarme insito in un tale
episodio, secondo una diffusa filosofia per cui è anche possibile accettare
convinzioni a livello speculativo (“La
crudeltà contro gli animali è connessa a quella contro gli umani”) , ma
tradurle in concretezza di interventi è poi tutta un’altra storia, come
dimostra lo stato delle cose: un intervento preventivo che dall’osservazione di
atti di crudeltà sugli animali portasse a prendere misure tese ad evitare una
escalation di violenza, nel nostro paese è ancora un miraggio, non se ne ha ad
oggi notizia. Voci diverse arrivano dagli Stati Uniti dove da quest’anno l’FBI
scheda chi compie abusi sugli animali, compilando un registro che tiene conto
della frequenza e gravità delle azioni commesse: decisione che nasce, purtroppo,
anche dalla presa d’atto dell’enorme incremento
di questo fenomeno. Ne derivano conseguenze penali, dal momento che gli abusi sugli
animali entrano ora nel Gruppo A dei delitti (nello stato del Nevada un
ragazzo, studente di psicologia, è stato
recentemente condannato a 28 anni di carcere per avere torturato e ucciso sette
cani, come provato dai video che ha avuto, anche lui, il gusto di girare). Ed è
interessante ricordare che The link®, il collegamento tra violenza inter e
intraspecifica, è un marchio registrato dalla American Human Association. Al di là dei necessari cambiamenti giuridici, è
fondamentale avviare finalmente una approfondita riflessione sul significato
dei maltrattamenti sugli animali, con l’attenzione a non ridurre il
comportamento a sintomatologia: in altri termini cogliendone prima di tutto la gravità intrinseca, in virtù dei diritti degli animali a non
essere oggetto di maltrattamenti, e solo in secondo luogo in quanto sintomo di
una situazione passibile di incrudescenza e di trasferimento di analoghi
comportamenti al contesto umano.
Un’ulteriore considerazione: lo
strazio della gallina che, priva di testa, continua a disperarsi correndo di
qua e di là, riaccende un ricordo cinematografico accantonato, uno di quelli
che la mente selezione a nostra insaputa e prima o poi ci restituisce : risale
a Babel
(regia di Alejandro
Gonzales Inarritu, 2006), film crudo nel parlare delle sorti degli uomini, quelle esistenziali e quelle sociali.
E’ un giorno di festa perché qualcuno si sposa, in un paese della campagna
Messicana: cibo, canti e vino a volontà; e tanti bambini intorno, che un giovane fa andare insieme a lui, tanto per
farli divertire un po’, nell’aia dove lui,
tranquillo, di lì a poco decapiterà una gallina, la quale continuerà a correre
impazzita, senza testa, prima di morire mentre i bambini non smetteranno di
giocare e correre eccitati. A restare sconvolto è solo un ragazzino biondo, appena giunto da
una città oltre il confine degli Stati Uniti, mentre per i suoi coetanei,
evidentemente assuefatti, lo
spettacolo non stupisce: solo
diverte come le cose riservate ai giorni di festa: le galline in fondo lì non si uccidono tutti i
giorni.
Non si può non riflettere che sono infinite le violenze sugli animali, misconosciute
o invece riconosciute come tali a seconda del contesto: in qualsiasi luogo, quasi senza eccezione, si accettano, si sostengono e si apprezzano torture
e uccisioni di animali senza connotarle
come forme di violenza. Ogni cultura le riserva a specie diverse, ma anche solo
a luoghi diversi: se nella nostra società ciò che viene regolarmente inflitto a
norma di legge nei mattatoi ad un maiale o ad una mucca avvenisse
pubblicamente, oppure un cane venisse sottoposto
pubblicamente agli “esperimenti” che
subisce, con la benedizione della Scienza con la S maiuscola, in un laboratorio
di sperimentazione animale, si parlerebbe
di sadismo, si esprimerebbe sdegno e a ribellarsi non sarebbero solo i soliti
animalisti, talebani e integralisti. Applichiamo in altri termini un assoluto
relativismo al giudizio di accettabilità o inaccettabilità etica: a seconda dell’animale, a seconda
dello scopo, a seconda del luogo persino nella stessa città o nella stessa via.
Relativismo improcrastinabile da superare: perché per ogni animale la sofferenza, la gratuità e l’ingiustizia sono identiche, qualunque sia il
motivo, per loro drammaticamente incomprensibile, che le sostiene e qualunque
sia il posto dove vengono perpetrate. Non solo: è necessario riflettere che chi
quegli atti li compie sotto l’egida della accettabilità, anzichè in risposta a
spinte sadiche, subisce comunque ricadute in termini di
desensibilizzazione e di trasformazione psichica nella direzione di perdita di
empatia. E non basta ancora: non sono solo gli esecutori materiali (macellatori, vivisettori, cacciatori….), coloro
che scelgono o sono spinti a fare il
lavoro sporco, a subire trasformazioni: qualunque esperienza modifica chi ne è
protagonista, ma anche chi ne è testimone e , in un allargarsi a centri
concentrici , chi condivide la stessa cultura. “Per quanta giustizia possa
esserci in una città, basterà la presenza del mattatoio a farne una figlia
della maledizione”, afferma Guido Ceronetti, sintetizzando il male oscuro che
ogni atto di violenza porta con sé.
Il fatto di Alexander Boettcher e Martina Lovato è un concentrato delle
logiche della violenza: sarebbe opportuno che dal male estremo che hanno
provocato discendessero almeno delle considerazioni che, anziché esaurirsi
nella curiosità un po’ pruriginosa che la cronaca sollecita, fossero occasione
di riflessioni profonde sul tema della
violenza, che andassero oltre le logiche semplicistiche e ne cogliessero
l’ordito generale, complesso e fortemente intrecciato, che vede ogni fenomeno
correlato agli altri anche quando il rapporto diretto non è immediatamente
percepibile, come avviene per l’amianto che genera il tumore. Nessuna delle
vittime di questa bruttissima storia potrà mai avere davvero giustizia; la
legge cercherà, speriamo, di risarcire
almeno un po’ gli umani. Come sempre per le vittime animali resta sempre e solo
l’ingiustizia allo stato puro, senza remissione e senza pena.
(Articolo il scritto il 20.01.2016 per essereAnimali )
(Articolo il scritto il 20.01.2016 per essereAnimali )
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