giovedì 26 novembre 2020

BOTTICELLE

   

E’ recente la cronaca fiorentina del cavallo che ha cercato una via d’uscita dal giogo a cui era costretto: si è ribellato ed è fuggito nelle strade e fin nella loggia dei Mercanti, creando scompiglio e sconcerto intorno.

E’ stato bravo quel cavallo perché, buttando all’aria furiosamente la botticella (carrozzella? Fiacchera?), ha scosso l’indifferenza nei suoi confronti dei passanti, lì a Firenze: come già era successo in seguito alla morte di un suo conspecifico, stramazzato sotto il sole nei giardini della reggia di Caserta, o allo svenimento di altri per caldo e fatica nelle trafficate strade romane o nei roventi viali palermitani. Ogni volta si sono registrate le reazioni di chi chiede che si ponga finalmente fine all’anacronistico uso di animali per trasportare persone, reazioni ben tollerate dalle autorità, fiduciose in un rapido esaurirsi della rabbia e in un altrettanto veloce ritorno alla normalità, senza ricadute a livello legislativo: sdegnatevi pure, tanto nulla cambia. Di fatto, ad oggi il parlamento si è ben guardato dal legiferare al proposito e le amministrazioni locali si dividono tra quelle del tutto disinteressate alla cosa e quelle che, pur più disponibili, appaiono giuridicamente impossibilitate a proibirne l’uso.

A fronte del numero non grande di animali coinvolti, grande è invece il significato di quella che è una lunga tradizione di sfruttamento: oltre al dolore di ogni singolo soggetto, è l’esposizione della sottomissione di esseri indifesi a costituire scandalo morale. I cavalli sono aggiogati e chiusi tra due sbarre, lo sguardo è limitato dai paraocchi, la bocca è ostruita dal morso, i movimenti del collo sono governati dalle redini; l’impossibilità di muovere un passo, tra una corsa e l’altra, è assoluta; il carico da portare, ad un trotto più o meno sostenuto, può essere pesante, ma anche pesantissimo. In altri termini, si tratta del ritratto vivente di schiavi, la cui sottomissione è malcelata sotto pennacchi colorati e accessori leziosi, ulteriori oltraggi alla loro animalità.

L’abituale indifferenza dei passanti, che non degnano di uno sguardo quelli che sono veri e propri monumenti alla prevaricazione di chi è forte su chi è (reso) debole, è il risultato pericoloso dell’assuefazione allo stato delle cose e della mistificazione in atto: si guarda l’immagine dolente di un animale ridotto in schiavitù e si vede un elemento pittoresco del  panorama urbano, delizia dei turisti e gioia dei bambini, che gli animali li amano tanto e apprezzano lo scampanellare gioioso che accompagna il rumore degli zoccoli sul selciato: di certo, piace loro crederlo, quei cavalli sono felici di farsi letteralmente carico della stanchezza o della pigrizia altrui, quasi si trattasse di una propensione naturale, di libera scelta. Proprio come le mucche, così contente di offrirci il latte, sottratto ai loro figli mandati al macello.

Una riflessione si impone: l’attribuzione di falsi significati, la narrazione fuorviante dello stato delle cose è uno strumento potente di alterazione della conoscenza, in grado di sdoganare come piacevole, normale, naturale ciò che è invece prepotenza, sfruttamento, crudeltà. Il sistema di valori intorno, la cosiddetta cultura, il marchio di legalità plasmano il pensiero e deresponsabilizzano.

E’ infinita l’attesa che la politica assolva i suoi mandati e prenda atto, buon ultima, che ormai anche la scienza, non solo la sensibilità individuale, riconosce agli animali capacità di sentire desideri, dolore, gioia, e che ciò implicherebbe il dovere da parte nostra di agire in modo conseguente, vale a dire rispettandoli nei loro bisogni, fisici ed emotivi. L’immobilismo da contrastare è però anche quello degli altri attori sulla scena: sono gli utenti, i turisti, tutti quelli che quei cavalli aggiogati li usano, come fossero taxi a motore sempre acceso, e, consapevoli o meno che siano, sono di fatto gli utilizzatori finali dello sfruttamento in atto, che, in assenza del loro apporto, non potrebbe che avere termine. Il principio a cui attenersi è semplice: non tutto ciò che è legale è civile, è etico, è giusto. Anzi.

Il cavallo fiorentino, ribelle come già era stata Tornasol, rifiutatasi in mondovisione di correre il palio a Siena, ci ha gettato in faccia il suo dolore e la sua esasperazione: la risposta non può essere ancora e sempre una reazione di  breve stupore da far precipitare nell’oblio ancora prima che la botticella sia rimessa in sesto. Se non sappiamo reagire alla sonnolenta normalità del male, facciamoci almeno scuotere dall’audacia di chi osa andare contro e usciamo da quella indifferenza, che cronicizza tanta parte della sofferenza che ci circonda.

     

domenica 22 novembre 2020

IL MESSAGGIO IN NERO DI TELEFONO AZZURRO

 


 

 

 

 

 

 

Il 20 novembre, in concomitanza con il 31esimo anniversario della Convenzione ONU, è stata celebrata la  Giornata Internazionale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Telefono Azzurro, associazione in difesa dei bambini, che non necessita di presentazione, con l’occasione ha dato il via alla campagna  #primaibambini Quest’anno il momento è particolarmente drammatico, vista l’emergenza Covid-19, e i bambini, quali soggetti deboli, devono essere particolarmente tutelati, come è nelle corde dell’associazione che di loro si occupa.      Lo spot che ha scelto è presto descritto: la casa brucia, perfetta metafora degli eventi attuali e alla Nostra Casa in Fiamme, come la racconta Greta Thunberg; dall’interno arrivano lamenti e richieste d’aiuto, mentre tutto intorno la gente cerca disordinatamente di mettersi in salvo, qualcuno con un bimbo in braccio: chiaro il riferimento ai diffusi vissuti di panico che la paura di non  farcela contro un pericolo non ben individuabile  porta con sé.

Un uomo robusto (l’autorità forte che non ci abbandona al nostro destino), dopo un attimo di incertezza, si slancia su per le scale, incrociando chi fugge in direzione opposta alla sua e apre con una spallata la porta della stanza in fiamme dove, in fondo, due fratellini, un maschietto e una femminuccia, seduti per terra, l’uno accanto all’altra insieme al loro cane, appaiono terrorizzati. L’uomo si avvicina incurante delle fiamme che potrebbero avvolgerlo, li guarda per un attimo e, al di là di qualunque sensata aspettativa, afferra il cane e se ne va portando in salvo lui e lasciando i bambini al loro destino.

Insomma, dalla tragedia alla farsa: perché a questo punto non si può che restare basiti davanti al finale a sorpresa e riderci sopra come ad uno scherzo inaspettato.

domenica 8 novembre 2020

AL CINEMA A VEDERE I MISERABILI: STORIA DANNATA DI UMANI E NONUMANI


   


I Miserabili, film del  regista di origini maliane Ladj Li, apprezzato tanto da ricevere il premio della Giuria e quattro premi Cesar al festival di Cannes 2019, è un grande film di denuncia, che, grazie a al realismo e al pathos che sono la sua musica di fondo, sta mietendo elogi ed ha il grande merito di portare ancora una volta alla ribalta dibattiti sul tema dell’enorme disagio di certe periferie francesi, crogiolo di nazionalità diverse, vecchie e nuove immigrazioni poco e male integrate. La violenza scorre a fiumi in forme diverse di prevaricazione del più forte sul più debole, poco importa se in nome di una delinquenza fuori controllo o nascosta, ma neppure tanto, dietro la fascetta che identifica e protegge quella sfrontata della polizia. 

La critica ne ha sviscerato in questi mesi le componenti, quelle sociologiche e quelle psicologiche, senza escludere il posto dei bambini, quei bambini che se già ci guardavano con meritata severità nella denuncia dello splendido I bambini ci guardano di Vittorio De Sica, ora, tecnologici più che mai,  le efferatezze adulte non si limitano ad osservarle, ma le filmano con un drone.

mercoledì 4 novembre 2020

FALCONERIA A SCUOLA: nuova lettera alla ministra Azzolina


 Gent.le Ministra della Pubblica Istruzione dr. Lucia Azzolina
  p.c. Gent.le Ministro dell’Ambiente dr. Sergio Costa 

 A completamento  della precedente richiesta (a seguito riportata e ad oggi ancora priva di qualunque riscontro), appare utile far presente quanto documentato  da TGR Mezzogiorno Italia  lo scorso 30 ottobre: ci sono scuole italiane (nello specifico in Abruzzo) in cui è attiva la presenza di un  falconiere, autorizzato ad  entrarvi  per "sensibilizzare le giovani generazioni".

Quindi un  "hobby" che si alimenta dell'imprigionare rapaci (a volte alloctoni), del  tenerli incatenati, dell’addestrarli a catturare altre prede  nei tempi e nei modi stabiliti dall'uomo, del privarli di una vita in sintonia con  le loro esigenze etologiche,  è sdoganato come attività formativa, vale a dire come utile, prezioso ausilio da offrire ai più giovani nel loro processo di crescita.