Negli ultimi tempi i cavalli sono divenuti protagonisti di almeno un paio di
situazioni di interesse mediatico: e, visto il trattamento che devono subire, davvero
ne avrebbero fatto volentieri a meno.
Una
notizia, riportata su alcuni media stranieri, ma non risulta su quelli
italiani, riguarda la corsa ippica (27.02.2017) del White Turf di St Moritz,
interrotta in seguito alla caduta rovinosa di un cavallo, Boomerang Bob: secondo
consolidata norma, il fantino ferito è stato trasportato in elicottero in
ospedale, il cavallo più sbrigativamente è stato soppresso. Stava correndo al
galoppo sul ghiaccio, perché questo è il White Turf. Si potrebbe disquisire a
lungo sul senso del costringere cavalli a correre su un tale genere di “terreno”l e ancora di
più sull’abitudine di risolvere le immancabili tragiche cadute con un colpo di
pistola, che sembra spazzare via ogni responsabilità, poco cambia se ad essere
teatro delle sconsiderate corse sono le nobili curve di Siena, i ghiacci elitari
di St Moritz o le strade di una malfamata Catania. Senza entrare ulteriormente nel merito,
l’episodio è utile a sottolineare che questa è la norma per i cavalli
fortunati, quelli cioè non destinati alla macellazione.
Si,
perché è necessario prima di tutto ricordare la posizione del tutto particolare che
occupano i cavalli nella nostra società e anche dal punto di vista della zooantropologia,
vale a dire della disciplina relativa al rapporto uomo-animale: nella grande
maggioranza dei casi sono considerati “animali da reddito”, tanto che esiste
addirittura una inequivocabile sigla a definirne la sorte: DPA, vale a dire Destinato
alla Produzione Alimentare. Altri, come lo sventurato Boomerang Bob, vengono
destinati a scopi diversi, connessi a corse,
equitazione, pet therapy…… E’ facoltà del proprietario (mai termine fu più adeguato) decidere
quindi se non DPA oppure DPA: pollice alto o pollice verso. Differenza certo
non di poco conto perché nel primo caso
i cavalli godono, almeno relativamente ad alcune situazioni, di pur
pallide tutele quali per esempio, se considerati animali di affezione, il non essere soggetti a pignoramento alla
stregua di cose (già: è solo grazie alla recentissima legge di Stabilità per il
2016 che cani, gatti e pet in generale non vanno a pagare con la loro stessa
esistenza debiti del loro padrone, insieme a frigor, televisione e affini) e, almeno
teoricamente, non finiranno le loro disgraziate vite in un mattatoio. Per gli
altri, tutti gli altri, le protezioni sono quelle pressochè inesistenti
riservate agli “animali da reddito”, la cui esistenza è subordinata per
definizione alla produzione di guadagni, che, come da sempre risaputo, sono
tanto più cospicui quanto più è possibile risparmiare su qualche elemento della
catena produttiva, elemento scelto diligentemente tra coloro che, privi di
diritti, sono in questo caso anche privi di parola. I cavalli vengono così importati
ed esportati da un paese all’altro con inenarrabili viaggi della morte che percorrono
migliaia di km in un susseguirsi di giorni e di notti infernali, sulle navi provenienti
dall’Argentina o sui tir in viaggio da Romania e Polonia, per finire nei mattatoi
italiani, mattatoi inevitabilmente numerosi sul territorio nazionale, in quanto
deteniamo il per nulla inebriante primato
del maggiore consumo pro capite di carne di cavallo in Europa. Sì, perchè le
particolari proprietà nutritive che taluni dietologi esaltano la rendono
irrinunciabile per i mai appagati appetiti di una popolazione che,
per quanto satolla, pare sempre in crisi di astinenza alimentare.
Ecco:
il cavallo riassume in sé tanti aspetti della relazione umano-nonumano, in cui
l’assoluto antropocentrismo che ne è la base detta ogni regola. Non bastasse, sono relazioni soggette ad improvvisi
rovesciamenti di paradigma nell’esclusivo interesse umano. E’ stato il caso per esempio delle nutrie, che,
quando non sono state più considerate utili, sono divenute oggetto di una legge
che, da un giorno all’altro, le ha trasformate da specie da tutelare a specie
da eliminare, sorta di nemico pubblico da punire per la sua novella nocività, e
la pena è stata pena di morte, senza appello e senza pietà. Oppure si può
trattare del lupo, animale da tutelare in quanto in pericolo di estinzione, e
noi umani vogliamo un contesto variegato e ricco intorno, perché così ci piace,
ma quando si permette di nutrirsi con agnelli o pecore, che avevamo stabilito essere prede di nostra sola
competenza, ecco allora esplodere rabbiose e rancorose convinzioni sulla necessità
di piani di abbattimento, però “selettivi”: a pallettoni ovviamente. In questo
caso, il passaggio all’atto è stato
almeno per il momento scongiurato da una levata di scudi compatta che ha dato
ai politici la misura di un feed back temibile a livello di consenso elettorale,
vera matrice ossessiva di ogni loro pensiero.
Pure
in questo discutibile contesto, il cavallo è anomalo in quanto occupa posizioni
bivalenti, in virtù delle quali non necessita neppure di un’evoluzione del
proprio stato per essere oggetto di trattamenti inconciliabili: lui nello stesso
momento può essere compagno di vita, da amare e difendere, seppure in modi altamente
discutibili, oppure carne da macello, a seconda delle necessità. Come si
diceva, basta una dichiarazione, l’etichetta di DPA oppure di non DPA e in lui verrà visto ciò che ognuno considererà
opportuno vedere. Dimostrazione inconfutabile di come sia la cornice cognitiva
in cui poniamo l’altro a determinarne il valore, il senso, e quindi il destino.
Lo facciamo regolarmente con tutti i nonumani, che consideriamo inferiori a
noi, autoposizionatici in quel centro dell’universo, in cui si accentrano
diritti e privilegi, che sono di fatto squisita espressione del diritto del più
forte. Lo facciamo per altro, in modo solo lievemente meno esplicito, anche con
gli umani, detentori del diritto al rispetto e all’attenzione in funzione della
loro provenienza, della loro (presunta)razza, del loro genere, del loro reddito.
Con
i cavalli raggiungiamo l’apice dell’illogicità, che rendiamo sostenibile non a suon
di ragionamenti, che non sarebbe possibile, ma a suon di leggi che affossano,
oltre alla logica, il senso di giustizia.
Risulta
esemplificativo il secondo degli episodi
a cui si faceva riferimento, reso
di pubblica conoscenza grazie a Edoardo Stoppa, entrato per conto di Striscia
La Notizia (07.03.2017) in un centro di equitazione a Capalbio, provincia di
Grosseto, a seguito di una segnalazione corredata da video: un giovane cavallo
si rifiuta, spaventato, di saltare un ostacolo perché evidentemente non si
sente in grado di farlo, oltrechè presumibilmente perché non ne capisce il
senso: e come dargli torto? In risposta, la giovane fantina procede a fustigarlo per un tempo che se a chi guarda
sembra infinito (vengono contati l’uno dopo l’altro 13 colpi di frusta, inferti
su muso e collo) a chi lo subisce deve risultare insostenibile. Ad incitarla è
l’istruttrice con dei reiterati Giusto!
Giusto! Giusto, che esprimono approvazione, ma anche una soddisfazione,
che, frutto del male inferto, non merita di essere definita altro che sadica. I
gesti e l’atteggiamento controllati testimoniano la sua dimestichezza con la
dinamica in atto, dimestichezza di cui sono ulteriore prova provata le reazioni
sue e del padre alla richiesta di spiegazioni del giornalista. Il padre si
difende e attacca con un “E allora? Ha fatto bene!”, lei, dopo qualche maldestro
tentativo di negare l’innegabile, assicura
che non è che lo fa quotidianamente. Davvero un sollievo: quindi, non proprio
tutti i giorni? Qualche volta si astiene? E’ del tutto evidente che nè lei né
tanto meno il padre ritengono il fustigare in quel modo il cavallo azione
stigmatizzabile, indecente, vergognosa:
anzi. Fanno “scuola”, insegnano ad altri: in questo caso ad un’altra giovane
donna, che impara ciò che l’autorità, che loro in quel contesto rappresentano,
le insegna, impara bene e presto: e chi lo sa se qualcuno dei colpi che
infligge ad un animale indifeso rimbomba almeno un po’ nelle sue corde. Chi lo
sa se almeno un pensiero sulla crudeltà di
quello che sta facendo prende forma in lei. Certo, la ragazza ha delle
scusanti, perché sta andando a scuola e agli insegnanti va concesso il
pregiudizio positivo di “sapere”. Anche se, giova rifletterci, la sua reazione obbediente non era scelta
obbligata: il rischio connesso ad una condotta non compiacente, ad una
possibile flebile insubordinazione alle esortazioni autorevoli poteva
comportare, nella più estrema delle ipotesi, un’interruzione del suo percorso “formativo”:
non una tragedia, insomma, anzi: alla luce dei fatti una benedizione. Esistono
di certo adolescenti capaci di un giudizio critico in grado di bypassare il principio
di autorità in nome del primato di emozioni e sentimenti di segno contrario, di una
capacità critica coniugata con una evoluzione etica diversa, che in qualche
caso sono alla radice di ben più radicali rivolte giovanili. Al suo posto,
avrebbero detto NO, cosa che lei non
ha fatto forse per diligenza, forse per debolezza, forse per un’abitudine già
troppo consolidata al conformismo.
Ora
se lo stesso cavallino (indifeso) fosse stato frustato nello stesso modo (pesantemente
e ripetutamente) senza colpa alcuna (era terrorizzato) in un contesto pubblico,
anzichè al riparo dell’autorità di una scuola di equitazione, i protagonisti non
avrebbero esibito la stessa sicumera: è il contesto in cui agiscono che li
rassicura perché consente di spacciare la crudeltà in atto per intervento
educativo. La violenza viene così legittimata, organizzata, integrata nel
sistema, giustificata da uno scopo socialmente accettato; viene attribuita al male in atto
una giustificazione morale: il cavallino va educato. Ennesima applicazione
della teoria del fine che giustifica i mezzi, in nome della quale storicamente i
peggiori crimini sono stati commessi, e della consuetudine per cui, quando le
persone fanno del male, lo fanno in nome del bene. Della grande schizofrenia in
atto paga il prezzo l’unico innocente sulla scena del delitto, il giovane cavallo:
per lui l’ingiustizia è dolore, lo spaesamento per una violenza selvaggia ne doma
la vitalità, le ferite sulla pelle bruciano davvero. Così impara! Impara la legge
del più forte, che è sempre l’umano, anche nella sua versione femminile, graziosa,
bene educata e controllata, che non si scompone nell’impartire ordini crudeli. Tanto
non occorre forza fisica,: l’unica imprescindibile condizione è l’assenza di
empatia, di quella risorsa, cioè, in grado di arricchire l’essere umano con la
risonanza dell’eco dolorosa del dolore
altrui, schermo e barriera all’infliggerlo quel male. Lei non ce l’ha. E per
quanto ridondante rispetto alla imprescindibile condanna, un’altra
considerazione richiama alle ripercussioni di tutto questo, sulle onde lunghe
con cui si propaga: chi frusta o incita a frustare violentemente,
ripetutamente, a freddo, senza compassione un animale indifeso perché vuole
domarlo di certo è in grado di riproporre la stessa dinamica in altra
situazione: magari alla luce di altre motivazioni, che dilagano da quelle
pseudoeducative, ad un semplice desiderio di potere o magari rispondono
all’urgenza di sfogare una rabbia che preme. Quando i gesti entrano a comporre come
elementi costitutivi il nostro patrimonio comportamentale, finiscono per
appartenerci; se l’empatia è assente o zittita, se la filosofia di base
giustifica i mezzi pur di perseguire un fine, è reale il rischio che un altro
fine, giudicato buono perché funzionale al proprio interesse, apra la strada a
comportamenti altrettanto crudeli, risvegliati da nuovi scopi, dall’inclinazione
del momento, da una motivazione propulsiva. Insomma il discorso va a toccare il
grosso link che congiunge la violenza legale a tutte le altre forme di
violenza, link mai abbastanza preso in seria considerazione.
Sullo
sfondo di questa vicenda, c’è l’urgenza di un interrogativo, che ci coinvolge
tutti: davvero è lecito ignorare la realtà dell’ippica in generale, delle
scuole id equitazione e di tutto quello che concerne l’addestramento dei
cavalli? Qualche cosa la sappiamo tutti, per esempio che l’equipaggiamento
minimale di ogni allievo, l’armamentario di ordinanza prevede frusta e speroni.
Strumenti pacifici?! E che dire dei morsi da mettere in bocca al cavallo, delle
briglie, dei paraocchi, degli zoccoli, delle selle se non che sono mezzi di
contenzione, di sopruso, di imprigionamento, di limitazione della libertà di
movimento e di esplorazione? Un mondo che ama celebrare la retorica
dell’amicizia tra l’uomo e il cavallo rimuove il significato di doma, che è precondizione
all’instaurarsi di una relazione che definire amicale è davvero mistificatorio:
domare, to break the spirit dicono gli anglosassoni, rompere lo spirito,
eliminare lo slancio vitale, cancellare l’afflato verso la libertà, è fondamentale
per “addestrare” il cavallo a comportamenti estranei alla sua natura. E’ singolare come nella rappresentazione di
questo animale, nell’immaginario che lo definisce, si celebrino forza, vitalità,
prorompenza, e come la relazione con lui
venga edificata sulla metodica regolare soppressione di tutto questo, sulla
negazione dei suoi bisogni e desideri: insomma “Quella vita che fu tenuta a
freno” nelle suggestioni di Emily Dickinson.
Alcune
associazioni animaliste hanno dichiarato che sporgeranno denuncia per
maltrattamento animale contro i protagonisti di questa brutta storia:
l’auspicio è che sia l’occasione per alzare il velo sulle tantissime realtà che
riguardano la vita (e la morte) dei cavalli, quei “figli del vento” indomiti e
coraggiosi, ogni giorno resi schiavi da quel bisogno di dominare la natura, che pare essere
paradigma costitutivo del pensiero moderno.
Grazie per il tuo articolo
RispondiEliminaA te Gigliola
RispondiEliminaNon ci basta ogni sorta di palio primaverile, estivo e autunnale. E ancora le corse all'ippodromo. Pure sul ghiaccio bisogna vedere correre questi disgraziati. E la Svizzera è vicina! Hai visto mai che venga in mente alle regioni alpine di costruire qualche simile baraccone e schiaffarci gli schiavi a 4 zampe a correre.
RispondiEliminaFinché piovono soldi su questi spettacoli, c'è poca speranza che chiudano bottega.
Si, Pala, questa delle corse sul ghiaccio di solito non si conosce: giusto per arricchire il panorama delle corse di 8 km, di quelle ad ostacoli e di tutte le altre che passano per la testa del primo venuto. Non c'è pace. Nè tanto meno giustizia
RispondiEliminaNon so come è uscito quel Pala!!!!!Scusami Paola.
EliminaGrazie delle tue parole, Annamaria, hai tutta la mia stima
RispondiEliminaGrazie Caterina!
EliminaArrivo anni dopo su questo articolo. Ineccepibile e mi tocca da vicino, avendo io un centro ippico. Mi scontro in continuazione con gente stile "dagli due frustate e vedi che poi ti ascolta". Nel mio piccolo, se non posso salvare tutti i cavalli dalle turbe dei proprietari, cerco almeno di seminare qualche dubbio, e soprattutto cerco di difendere i miei cavalli da scuola e passeggiata (anche se, spesso, a guardare certi clienti/allievi, mi viene proprio da pensare "tu non te lo meriti, questo cavallo santo!"). Essendoci dentro, non posso accettare l'idea che tutta l'equitazione sia ingiusta: credo fermamente che esista il modo di avere relazioni con i cavalli e poter svolgere con loro attività rispettose, che possano anche divertirli... insomma, non mi sento "non animalista" solo perché sono nata con la passione per i cavalli e mi piace andare in giro con loro. Però so benissimo che c'è tanto di marcio in questo mondo, tanta smania di dominanza e di mettersi in mostra a discapito degli animali.
RispondiEliminaUn piccolissimo appunto sulle attrezzature che ha nominato: la sella è forse l'unica che salvaguarda il cavallo, evitando che l'abitudine di montare a pelo danneggi in modo grave le vertebre. Per il resto, è tutto abbastanza superfluo, quando non dannoso, e rappresenta scorciatoie per ottenere prima dei finti risultati sportivi, ovviamente molto precari e poco duraturi, essendo stati ottenuti piegando il cavallo nel fisico e nella psiche. Ma si sa, l'arte equestre è uno STUDIO che dura una vita intera, e ben pochi hanno voglia di intraprendere seriamente questo percorso, soprattutto se invece la si vuole considerare un semplice sport.
Grazie per il commento. Non è certo consolante quello che scrivi. Credo però che nella tua posizione all'interno del mondo dell'ippica sono tante le cose che potresti fare in difesa dei cavalli. Non credi?
EliminaGrazie del commento. Non è certo consolante quello che scrivi. Però forse nella tua posizione all'interno del mondo dell'ippica forse sono molte le cose che potresti fare in difesa dei cavalli. Non credi?
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