Ancora pochi giorni e la mattanza comincerà per poi raggiungere
il suo culmine in vista della Pasqua: l’agnello di Dio sarà ancora una volta costretto suo malgrado a togliere i peccati dal mondo, e inutilmente
alzerà i suoi lamenti che arriveranno al cielo senza incrociare la pietà che invocano.
E’ lui, perchè innocente, la vittima ideale per pagare le colpe dei colpevoli.
“Felici le madri di questi agnelli sacrificali? – si chiede Josè Saramago nel
suo Vangelo secondo Gesù Cristo - Quelle madri, se lo sapessero, ululerebbero
come lupi”, perché loro mai avrebbero immaginato questa fine quando,
neonati, li leccavano e li nutrivano e
volevano solo, quelle madri, farli crescere i loro piccoli per poi
lasciarli andare, a brucare l’erba o a
correre nei prati. Non avevano capito cosa li attendeva; nè c’è da stupirsene
perché nessuna legge naturale potrebbe contemplare il teorema
indimostrabile per cui il peccatore lava le sue colpe con un altro
peccato, quello dell’uccisione di un innocente, di milioni di innocenti, che
devono essere fragili, teneri, indifesi:
un paradigma che trova nel diritto del più forte l’unica giustificazione.
E così, secondo riti e tradizione, la
pasqua di sangue approntata in nome della pace inonderà la terra.
Per altro il significato di
vittima sacrificale, che pure con tanta foga viene rispolverato e rinvigorito
ad ogni Pasqua, per la gran parte della
gente è ormai solo una pallida e scolorita giustificazione: la ricorrenza è piuttosto l’occasione per l’apoteosi
di una mattanza che, come ci dicono i numeri, non ha tregue nel corso di tutto l’anno, al di fuori di qualsiasi riferimento religioso,
per l’esclusivo e paganissimo piacere di un “piatto” evidentemente apprezzato.
Le parole che stigmatizzano come
inaccettabile per la sua crudeltà l’uccisione degli agnelli, oscenità tra le
altre oscenità dell’uccisione di ogni animale, sono evanescenti, a volte
esercizio letterario che tocca qualche corda e si scioglie in turbamento
passeggero : le immagini no, le immagini colpiscono con la forza dell’evidenza:
non mentono e non tacciono. E allora i
video, inguardabili per la violenza che
mostrano ma da guardare per il dovere etico di sapere, sono quelli che sbattono in faccia la realtà,
ciò che avviene nei luoghi della mattanza, che è la quintessenza del male:
esseri totalmente indifesi, miti per antonomasia, innocenti per definizione,
sono strappati alle madri, sottoposti a viaggi terrorizzanti, pesati, appesi
per le zampe, uccisi con un coltello che
recide la gola e che a questo punto si vorrebbe affilato, ma non sempre lo è e
l’agonia si prolunga: belati terrorizzati , sangue ovunque, gemiti e strida. E
poi le urla degli addetti ai lavori, uomini resi brutali dal loro stesso
“lavoro”.
Le indagini condotte a termine da associazioni per i diritti degli animali sono
sconvolgenti quanto necessarie, perché la cultura occidentale in cui viviamo
immersi ha posto in essere nei confronti della sofferenza animale e di tutte le
sue forme più estreme un meccanismo di nascondimento e occultamento, al
servizio di quel connubio tra sensibilità ed egoismo che ci contraddistingue:
non vogliamo vedere perché, anime belle
e amanti degli animali quali ci piace considerarci, siamo refrattari
a tanto orrore; ma non vogliamo
rinunciare a qualsivoglia piacere seppure sbrigativo e perso tra gli
innumerevoli altri che ci concediamo, quale che sia il prezzo che altri, altri
animali, pagano.
Il nostro processo di
civilizzazione, mentre condanna la
violenza in tutte le sue forme, in realtà la subordina ad un grandioso processo di rimozione e
negazione, che vorrebbe, questa violenza,
annullarla o almeno mistificarne il senso e la portata. Le immagini, frutto di
investigazioni rigidamente clandestine, ci colpiscono con tutta la violenza che
portano con sé e ci costringono a prendere atto di ciò che supportiamo con i nostri
stili di vita e le nostre abitudini alimentari e di cui rifiutiamo di sentirci responsabili. Come
spesso succede in questi casi, ad essere messi sul banco degli imputati sono
coloro che pongono in essere indagini scomode e magari pericolose, infrangendo
una legge che, al servizio dell’opera di nascondimento in atto, proibisce che
venga mostrato ciò che è politicamente, umanamente, eticamente vergognoso che
abbia luogo.
In atto , lo vediamo, è una
realtà di violenza inaudita, che suscita estrema pietà per gli agnelli e orrore
per quanto subiscono, ma deve anche indurci ad interrogarci sulla cultura in
cui siamo immersi: davvero vogliamo
continuare a convivere con la mattanza di questi cuccioli di animali, gli
stessi che, in una sorta di totale schizofrenia,
in altri momenti offriamo
all’interessamento intenerito dei
bambini, nelle favole, nei peluches, nei cartoni animati, come loro piccoli e stupiti davanti al mondo, che guardano con
curiosità e attesa, da una vicinanza di sicurezza con la propria mamma, da cui
si aspettano protezione?
Altre considerazioni incalzano ed
esigono riflessioni: esiste un mondo di uomini a cui viene delegato di svolgere
in prima persona il lavoro sporco: bistrattare e poi sgozzare esseri indifesi,
farlo ogni giorno, a catena di montaggio, opponendo la tenace determinazione a
portare a termine il compito ai gemiti e ai belati, alle invocazioni di aiuto e
alle grida di dolore, non resta senza conseguenze. Anche quelli che non hanno avuto scelta, di
certo facendo quello che fanno, qualunque fosse la loro realtà di uomini prima che
tutto cominciasse, non possono che trasformarsi in persone brutali, insensibili,
sorde al dolore altrui quando non addirittura capaci di infierire con ancora
maggiore violenza sulle vittime. Della trasformazioni di tutti costoro , che
sono la mano sporca della mattanza,
deve assumersi la responsabilità chiunque, a tavola, del loro lavoro sia l'utilizzatore finale.
Una società
che in parte non si vergogna di esporre cadaveri di agnelli, appesi a testa in
giù ai ganci delle macellerie, in parte invece preferisce che il “prodotto” che
arriva sulla tavola sia irriconoscibile e non rechi tracce dell’animale da cui
proviene, è comunque una società che convive, ammette, incentiva atrocità, non meno orribili per il fatto di essere legalizzate
I suoi miasmi non possono che intaccare le nostre vite e le nostre coscienze esattamente
come succede nelle società che ammettano la pena di morte: la mitezza è al
bando e in modi indiretti e diversificati ognuno ne sarà contaminato. Nessuna
società può aspirare ad essere considerata giusta e pacifica se al proprio interno la
prepotenza, la crudeltà, le atrocità, le efferatezze sui più deboli sono abitudini quotidiana, chiunque ne siano le vittime, umane o nonumane: solo forme diverse di una
stessa oscenità.
In
conclusione, un esercito di
vite appena nate sta per l’ennesima volta per essere immolato
sull’altare dei
nostri credi e più prosaicamenti dei nostri appetiti, come succede ogni
giorno con tutte le altre specie non umane, egualmente sfruttate e
martirizzate.
E' improcrastinabile un cambio di paradigma che riconosca come inaccettabile questa come ogni altra violenza esercitata contro esseri innocenti e indifesi: allo stato delle cose, mentre i poteri forti pervicacemente rifiutano i cambiamenti necessari, è del tutto chiaro, con le parole di Danilo Mainardi, che “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi”: non verità belle da enunciare, ma chiave di lettura quanto mai attuale di ciò che sta invadendo le nostre vite.
E' improcrastinabile un cambio di paradigma che riconosca come inaccettabile questa come ogni altra violenza esercitata contro esseri innocenti e indifesi: allo stato delle cose, mentre i poteri forti pervicacemente rifiutano i cambiamenti necessari, è del tutto chiaro, con le parole di Danilo Mainardi, che “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi”: non verità belle da enunciare, ma chiave di lettura quanto mai attuale di ciò che sta invadendo le nostre vite.