Domenica
14 maggio: Piazza San Pietro è gremita come sempre per
l’Udienza Giubilare.
La pioggia battente non ha certo trattenuto
la folla dei fedeli, che hanno
lo sguardo
rivolto in alto, verso papa Francesco, pendono dalle sue labbra, perché lui è
il papa, ma soprattutto è Francesco, “papa buono”, che parla al cuore, al buon
cuore, ai sentimenti. Nel farlo, non ha neppure bisogno di appellarsi al mito
dell’infallibilità, perché possiede quello ben più popolare della credibilità,
conquistata sul campo, tanto dirompente che neppure ci si fa caso quando, con
il suo lessico schietto, un po’ domestico, mimando il
gesto, si chiede per esempio, nel caso in cui
qualcuno offendesse sua madre, cosa mai potrebbe fare se non tirargli un pugno,
e getta così all’aria in pochi secondi millenni di inviti a porgere l’altra
guancia nonché, più modestamente, decenni di teoria sulla sublimazione
dell’aggressività. Troppo grande l’amore da cui tutti lo riconoscono animato
per rinfacciargli, anche se solo sottovoce, qualche uscita un filo discutibile;
troppo grande la sua tensione verso Dio, che deve essere celebrato e laudato
per tutte le sue creature. Tutte le sue creature? Beh, non proprio tutte:
occorre qualche distinguo. Perché, dice, la pietà non va confusa con quel
pietismo, piuttosto diffuso, che è solo un’emozione superficiale e offende la
dignità dell’altro, né con
la
compassione che proviamo per gli
animali che vivono con noi. Accade che a volte si provi
questo sentimento verso gli
animali, e si
rimanga indifferenti davanti alle sofferenze dei
fratelli“.
Un
invito quindi a una distinzione tra una sorta di Pietà con la P maiuscola, che
è atteggiamento nobile, e invece una sua sottospecie, tanto gretta da offendere
addirittura la dignità altrui, che va a identificarsi con la compassione verso
gli animali, non virtù, ma difetto evidentemente da annoverare tra i vizi di
questo nostro mondo allo sbando, perché poi questa gente attaccata a cani e
gatti magari lascia sola la vicina. No, supplica papa Francesco, per favore No!
E sancisce anche un patto non scritto con l’uditorio a non cadere in questa
fuorviante deprecabile consuetudine: “D’accordo?!”