In
breve: a Gioia Tauro giorni fa un gattino viene avvistato dove non era previsto
che fosse, vale a dire all'interno di una scuola, quella intitolata ad Eugenio
Montale: il gattino è il primo che non vorrebbe essere lì, perché lo sente che
non è il suo posto; forse è affamato, o spaventato, o disorientato; e proprio
per questo salta e corre, sembra impazzito nella ricerca di una via di uscita, di
una via di scampo. Niente da fare: al nemico, nemico che lui è senza sapere di esserlo,
non viene concessa l’opportunità di
cedere le armi, bisogna annientarlo e, allo scopo, viene chiamato un bidello perché, si sa, il lavoro sporco fa comodo affidarlo alla
bassa manovalanza, che’ chi è impegnato
con parole, scritte e parlate, la disdegna
sempre: un po’ come succede nei mattatoi, per capirci. L’incaricato risolve la spinosa
questione prendendo a bastonate il gattino fino a farlo morire, però non
subito, perchè i colpi sono tanti, ma non così bene assestati da risultare
risolutivi. Ed è così che l’agonia dura un bel po’, un’ora a quanto pare o giù
di lì: un tempo infinito per la bestiola che si sarà sentita la vita strappata
con violenza senza nemmeno riuscire a capirne la ragione, visto che, così
piccolo, della crudeltà del mondo non sapeva ancora nulla né certo poteva
immaginare.