Fu l’onorevole Calderoli a
definire "porcata", da cui poi il termine invalso di "porcellum", il sistema elettorale da lui stesso sostenuto
nel momento in cui cominciò a considerarlo una sozzeria, un abominio, un
disastro. Prescindendo dalla spensieratezza con cui un uomo politico prende atto dei propri
errori e
serenamente resta dov’è, non può
non colpire la determinazione con cui l’onorevole pesca nel suo bestiario interiore in cerca di metafore ad hoc. E se è nel
mondo dei primati che trova immagini che,
nel suo pensiero, sono utili a denigrare la gente di colore, è di quello dei
suini che si serve per connotare lo
sprezzo per ciò che ritiene innegabilmente idiota: una vera porcata, insomma.
domenica 28 luglio 2013
lunedì 22 luglio 2013
L’ONOREVOLE E L’ORANGO
I PENSIERI
E LE PAROLE
L’onorevole
(a quando la messa al bando degli ossimori?!?) Calderoli che pensa ad un orango
quando guarda il ministro Kienge è l’occasione per alcune riflessioni sul
linguaggio. Linguaggio che non è mai casuale: veicola informazioni, idee, modi di pensare
non solo attraverso l’elaborazione del pensiero, ma anche grazie all’uso dei
termini che sempre sono carichi di un significato che va oltre il letterale per
includere il suggerito, il metaforico, il simbolico.
Il mondo
animale, in questo senso, è un pozzo senza fondo di idee, qualche volta frutto
di associazioni logiche, molto più spesso legate alla rappresentazione che
degli animali abbiamo costruito, altre volte ancora connesse ad una distorsione
di pensiero.
Si può
cominciare dalla constatazione che metafore dal mondo animale sono regolarmente
e sapientemente utilizzate nel corso delle guerre, antiche e moderne, quando la necessità di solleticare i peggiori
istinti, di animare un odio che stenta a svilupparsi perché non è nutrito da
alcuna ragione, connota con epiteti animali il nemico: lo scopo, purtroppo
raggiunto, è quello che l’altro viene disumanizzato, abbassato al rango di
animale non umano, e in questo modo reso più facile vittima di una violenza irragionevole.
“Prima di morire, la vittima deve essere degradata, affinchè l’uccisore senta
meno il peso della sua colpa” commenta lucidamente
Primo Levi (“I sommersi e i
salvati”, Einaudi 1986) cercando l’introvabile senso degli orrori di
Auschwitz. L’elenco è quanto mai vasto: era Churchill a parlare del “cane
giapponese”, i giapponesi definivano “maiali” i cinesi, “topi di fogna” erano gli ebrei durante il
nazismo, “scarafaggi” i tutsi nel massacro a colpi di machete in Ruanda, “tacchini”
gli iracheni in fuga nella guerra del golfo; topi drogati, nel linguaggio di
Gheddafi, i ribelli che lo stavano spodestando nella guerra civile del 2011.
giovedì 4 luglio 2013
LA PELLICCIA DI LUCIO DALLA E LE CORNACCHIE CONDANNATE A MORTE
Alla morte di Lucio Dalla, nel marzo
del 2012, tra le tante fotografie pubblicate, due lo vedono, in tempi diversi, avvoltolato
in pellicce di imprecisati animali
C’è una fotografia di Lucio Dalla che obbliga a tanti pensieri, quella in cui appare avvolto in una pelliccia, di animale non bene identificato. Superfluo tessere le lodi di Lucio Dalla e ricordare che lui è stato molto di più di un cantante, è stato il cantore di un’umanità sconfitta, ha guardato nelle pieghe delle ingiustizie sociali e ne ha colto la sofferenza; ha visto la pena dei carcerati e ne ha condiviso gli aneliti a vivere la propria umanità nei sentimenti umiliati da una giustizia disumanizzante. Il soldato che, in Itaca, combatte una guerra che darà vanto solo al suo capitano ha la stessa profondità del povero di Bertol Brecht, che, qualunque sarà l’esito della guerra, sarà sempre un vinto.
L’AMBIGUA FASCINAZIONE DELLE ARMI
Negli Stati Uniti un bambino di due anni uccide per sbaglio sua madre con la pistola che lei teneva nella borsetta: e si torna a parlare della diffusione delle armi.
La vendita di armi è
commercio internazionale che non conosce crisi, in cui gli italiani-brava-gente occupano posizioni di tutto
rispetto: se non è recente la notizia degli indiani dello stato del Madhya Pradesh, disposti a farsi sterilizzare se il
compenso è un’arma, è invece ciclica quella che le annuali fiere
delle armi in varie città italiane registrano un numero sempre crescente di visitatori (lì i
papà ci portano anche i bambini in gita); mai sopite richieste di norme meno restrittive per la concessione
del porto d’armi a privati cittadini
fanno da eco ad ogni argomentazione sul bisogno di sicurezza; se sono
addirittura superflue le osservazioni sulle tragedie sempre in onda negli Stati Uniti, anche in Italia di tanto in tanto si legge che in varie città ”è corsa al porto d’armi”.
Insomma, per motivi solo in parte
coincidenti, il fascino delle armi si esercita sulle nazioni e sugli individui.
Le considerazioni sulla loro diffusione per uso bellico richiedono argomentazioni
politiche, sociali, economiche: ma, quando si tratta di difesa personale, sarebbe
importante non misconoscere la prospettiva
psicologica e concedere attenzione alle disposizioni e reazioni personali, punto di
partenza di ogni altra analisi. Anche i fatti dell’India, il cui governatore, soddisfatto
dell’inaspettato risultato della sua iniziativa, aveva affermato di avere “disinnescato il mito
maschile della virilità con quello ben più forte delle armi”, aiutano ad una
lettura a 360 gradi delle complesse dinamiche che restano vivaci dietro l’invocazione
al diritto alla legittima difesa.
mercoledì 3 luglio 2013
ZOO, CIRCHI, SAGRE
Foto di Wei Seng Chen
Zoo, circhi, sagre, sono contesti in cui gli animali vengono tenuti
imprigionati, costretti in condizioni incompatibili con la loro natura, obbligati a
performances estranee alle loro inclinazioni, allo scopo esclusivo di divertire il pubblico.
Il fenomeno non è di poco conto se si considera che in Italia i circhi sono circa 300, che
gli zoo vanno aumentando pur nelle forme di zooparchi, che hanno ancora luogo annualmente un
migliaio di sagre di Paese dove, ad un certo punto, la folla per divertirsi maltratta quache
animale.
Non possiamo fingere di non sapere che gli orsi in bicicletta, le tigri che attraversano
cerchi infuocati, i leoni seduti sugli sgabelli, gli elefanti che danzano a ritmo di musica
nei circhi sono il risultato di tecniche di ammaestramento crudelissime. Un percorso che ha
sempre il suo prologo con un rapimento, la sottrazione forzata di questi animali dai loro
luoghi di origine con l'inevitabile uccisione di molti esemplari e la morte accidentale di
tanti altri. Una sottomissione che prosegue poi con metodi per indebolire la volontà degli
animali prigionieri. Con la privazione di acqua e cibo, con gli ordini impartiti alle povere
bestie percosse con fruste, bastoni e ferri roventi. Non hanno difficoltà ad ammetterlo gli
stessi circensi, i "domatori" secondo cui la libertà e la bellezza della natura
sono sacrificabili al gusto di un addomesticamento forzato.
TOPI CHE RIDONO E MAIALI CHE PROVANO NOSTALGIA
Chiunque abbia un animale sa perfettamente a cosa ci si riferisce quando si parla dei loro sentimenti e delle loro emozioni; conosce l'imbarazzante capacità del proprio cane di immensamente gioire per ogni ritorno quotidiano del suo compagno umano rimasto lontano solo per poche ore come quella di farsi invadere dall'angoscia con crisi di inappetenza al solo vedere ricomparire valigie che risvegliano il ricordo di separazioni inaccettabilmente prolungate; distingue il miagolio di protesta da quello di pigra soddisfazione del micio di famiglia; addirittura si accorge quando gli scatti del suo pesce nell'acquario testimoniano inquietudine e nervosismo o invece, sinuosi e lenti, lo rivelano appagato e tranquillo.
Insomma, la conoscenza e la familiarità, mediati dall'affetto, consentono di prendere atto dell'esistenza articolata di un mondo interiore degli altri animali, fatto per altro già evidenziato alla metà del 1800 da Darwin, che aveva riconosciuto che essi provano emozioni di tutti i tipi: sono gelosi e nostalgici, sentono simpatie ed antipatie, sanno divertirsi e desiderano giocare.
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