Un
invito quindi a una distinzione tra una sorta di Pietà con la P maiuscola, che
è atteggiamento nobile, e invece una sua sottospecie, tanto gretta da offendere
addirittura la dignità altrui, che va a identificarsi con la compassione verso
gli animali, non virtù, ma difetto evidentemente da annoverare tra i vizi di
questo nostro mondo allo sbando, perché poi questa gente attaccata a cani e
gatti magari lascia sola la vicina. No, supplica papa Francesco, per favore No!
E sancisce anche un patto non scritto con l’uditorio a non cadere in questa
fuorviante deprecabile consuetudine: “D’accordo?!”
Ci
sarebbe di che restare ammutoliti, ma invece le parole bisogna cercarle e, al
netto di un pregiudizio positivo su cui noi comuni mortali non possiamo contare,
argomentare quello che pure ci sembrava ovvio. Lascia basiti la non conoscenza
da parte di papa Francesco dei termini della questione animale, a cui lui fa
riferimento solo per una biasimevole affezione a cani e gatti, colpevole di allontanare dalle
giuste cause della solidarietà umana, incurante che da più parti sia stata esplicitamente
definita “la più grande questione dell’umanità”, e sia oggi divenuta oggetto di
studio di discipline che coprono il campo di un’ indagine filosofica, psicologica, etologica, antropologica, biologica,
neuroscientifica e altre ancora.
Papa
Francesco prescinde prima di tutto dalla considerazione che parlare di animali
è anche parlare di noi, animali umani, e bypassa la nostra contiguità con tutte le altre specie a cui ci unisce un
comune destino di nascita, di vita e di morte, talvolta di gioia e spesso di
sofferenza, un mondo intero di consapevolezze, di emozioni e di sentimenti che
anche gli scienziati, oltre alle persone dotate di empatia, riconoscono in
tutti gli esseri. Non solo “esseri senzienti” vengono definiti gli animali non
umani in trattati internazionali, ma, con la Dichiarazione di Cambridge del 2012, sono stati neuroscienziati di tutto il mondo
ad affermare che essi sono dotati anche di consapevolezza, lo sono non soltanto
i mammiferi, ma anche gli uccelli e tante altre specie bistrattate tra cui per
esempio quel polpo, essere intelligentissimo a cui, nell’eccitazione esaltata
che ogni campionato di calcio autorizza a generare, possiamo anche attribuire poteri divinatori, salvo poi
per consuetudine continuare a brutalizzare
spaccandogli la testa a furia di sbattergliela sulle rocce, appena pescato.
Papa
Francesco non si occupa del pensiero antispecista, oggi tanto sviscerato, che esorta
a spostare il confine del rispetto per gli esseri viventi fino ad includerli
tutti: pensiero che si concretizza in uno stile di vita teso ad osteggiare tutte le convinzioni che
giustificano le ingiustizie ponendo confini fittizi sulle differenze di genere (le donne non
hanno gli stessi diritti degli uomini) e di razza (esistono quelle superiori,
quella bianca prima di tutte e poi a scendere con altri colori e sfumature) ed
estende diritti a tutte le specie, sostenendo la necessità non di una
compassione superficiale e offensiva, ma del rispetto, pur declinato nella
ovvia asimmetricità delle relazioni: il vitello
non è in grado di frequentare l’università, ma non siamo per questo
giustificati ad inviarlo al macello.
Papa
Francesco afferma esserci gente attaccata a cani e gatti che si disinteressa
della vicina: parla certo con cognizione di causa, ma è lecito supporre che conosca anche altre persone che, pur non affezionate
a cani e gatti, ugualmente lasciano sola
la vicina. E non è nemmeno escluso che conosca qualcuno che ama cani e gatti e
aiuta la vicina. Insomma: non è davvero il caso di tirare in ballo sillogismi,
destinati a franare alla prima verifica.
Non
si può non chiedersi perché l’invito alla solidarietà umana Papa Francesco non
l’abbia ancorato ad altre situazioni, condannando per esempio un eccessivo amore per la propria
casa, per i propri beni, per la propria
automobile a scapito dell’attenzione per altri umani: avrebbe in questo caso sì messo il dito in una
piaga diffusa. Ha invece scelto l’appello a ridimensionare l’amore per gli
animali, così richiamando il suo popolo al rispetto della posizione antropocentrica,
che il cattolicesimo, insieme ad altre religioni, difende strenuamente, e a cui lui non manca di dare il suo appoggio:
l’amore per cani e gatti, nelle sue parole, pare sempre alternativo a quello
per gli umani, tanto che in un precedente discorso aveva implicitamente
accusato di egoismo le coppie che, a suo dire, sceglievano di crescere animali
anziché figli.
Le
sue affermazioni, sempre sul registro di un rimprovero potenzialmente generativo
di senso di colpa, non possono non offendere fortemente la sensibilità di chi
sull’attenzione per tutti gli altri,
umani e animali, modella la propria
stessa vita e non si riconosce nell’immagine svilita che il papa restituisce
del loro impegno: chi oggi ha a cuore la
questione animale agisce nella convinzione che la costruzione di un mondo più
giusto può essere perseguita solo in nome del rispetto per qualunque essere
vivente, creatura di Dio nella convinzione cattolica, “universo captato,
insieme a noi, nella rete della vita e del tempo; nostro compagno di prigionia
nello splendore e nel travaglio di questa terra”, in una visione laica, trasfigurata
nelle splendide parole di Henry Beston[1].
Una
fetta significativa delle tante persone che nella propria casa ospitano e amano
un cane, un gatto, magari un coniglio, una tartaruga o l’appartenente ad
un’altra specie ancora (in Italia gli animali d’affezione sono circa 50
milioni, nel cui computo entrano i tanti, ahimè, tenuti prigionieri in gabbie e
bocce) non si ritrova nel comune
denominatore dell’indifferenza verso il prossimo, ma invece unita da un filo
molto più articolato, che fa riferimento ad una relazione complessa e ricca con le altre
specie; sanno dare e ricevere un affetto, che non necessariamente è
compensatorio ad altre solitudini, come conferma la presenza di animali anche in case affollate di umani. “Si
può voler bene a un animale…-diceva Freud, avendo in mente anche il suo cane Jofi- per la simpatia aliena
da qualsiasi ambivalenza, il senso di una vita semplice e libera dai confini
difficilmente sopportabili con la civiltà, la bellezza di un’esistenza in sé
compiuta. E, nonostante la diversità dello sviluppo organico, il sentimento di
un’intima parentela, di una incontestabile affinità”.
Non
bastasse, esiste inoltre un fenomeno in grande espansione per cui sempre di più gli animali che vivono con noi
sono stati sottratti a situazioni di abbandono, di maltrattamenti, di incuria,
questi sì espressione di un’indifferenza
che vorremmo fosse stigmatizzata da ogni autorità, religiosa o politica
che sia. Si tratta della punta dell’iceberg di quella che è la situazione degli
animali, di tutti gli animali, nel mondo, che si apre su un vero e proprio infernale
abisso di sofferenza e di crudeltà ad opera degli umani; tanto per intenderci (dati
Fao non aggiornati) 170 miliardi quelli, di terra di acqua e di cielo, ogni anno uccisi per la
nostra alimentazione, meglio: per i nostri piaceri alimentari; a cui vanno
aggiunti quelli uccisi per divertirci un po’ con uno sport chiamato caccia e
con un altro chiamato pesca; quelli tormentati nelle sagre, nelle oscene
corride, nei circhi; quelli martoriati
nei laboratori di vivisezione dove viene perpetuata una ricerca pur giudicata
anacronistica, non solo superflua ma addirittura dannosa, da una parte del
mondo scientifico. Tutto perfettamente legittimato dalle norme vigenti.
Tutto
questo hanno a cuore molti tra coloro
che si occupano di animali e guardano con disperazione l’enorme sofferenza che essi sono costretti a subire a causa di noi
umani, posti al centro dell’interesse della chiesa e di ogni istituzione, autosistematici
in una invidiabilissima posizione di predominio su tutte le altre forme di vita,
posizione che non ci sogniamo proprio di abbandonare. Se è vero che il male è tutto ciò che fa soffrire un essere
senziente, allora il mondo degli animali è il luogo dove il male si
esprime all’ennesima potenza. Provare a
contrastarlo opponendo ostinatamente la difesa di tutti i deboli che ne sono
vittime, diventa allora per molti il modo per convivere con l’intollerabile senso di colpa collegato alla
nostra stessa appartenenza ad un genere
umano, di cui non ci sentiamo affatto orgogliosi. Si prova così ad opporre una rivolta ad oltranza alle
ingiustizie, a quelle che avvengono sotto i propri occhi e a quelle che hanno
luogo altrove: lo fanno medici, infermieri e personale tutto nelle zone di
guerra; lo fanno missionari nelle missioni più sperdute; lo fanno tanti
cittadini che trovano nel volontariato una struttura in cui il non ricevere
alcun compenso per le proprie azioni di
aiuto le rende schiette e incontaminate. Con uguale dignità, lo fanno coloro che raccolgono per la strada cani
feriti, affetti dalle peggio malattie, mezzo morti di fame; che spendono tutti
i loro soldi per sfamare ogni giorno colonie di gatti ; che dedicano tempo
preziosissimo ad un maiale o una mucca salvati dal macello. Si tratta di una
risposta empatica e compassionevole alla sofferenza di singoli esseri, pagata con l’impegno di una
vita intera, che testimonia del bisogno
e dell’urgenza di opporre all’infinito male che quotidianamente viene inferto a
un numero altrettanto infinito di animali il bene che si è in grado di
produrre, con azioni che il mondo non lo
salveranno, ma in qualche modo lo renderanno un posto un po’ migliore, con
gesti riparatori che rendono sopportabile di continuare ad abitare, nonostante tutto,
questa terra.
“Mi vergogno di essere parte dell’umanità” è
esclamazione diffusa di fronte alle ingiustizie commesse contro gli animali
esattamente come contro tutti gli esseri deboli e indifesi: è una sorta di responsabilità personale che
proviamo anche per atti compiuti da altri, di cui ci si sente corresponsabili in quanto membri della stessa specie. Accanto alla battaglia per cambiamenti
globali, trasformazioni collettive che modifichino dalle fondamenta i rapporti
di potere, si vive allora l’urgenza di un’azione riparativa personale,
immediata.
Papa
Francesco disquisisce lecitamente sui diversi significati di pietas, pietismo, compassione: li specifica,
dà giudizi di valore, li legittima o li critica. Ma esiste un altro termine a cui lui non fa cenno: è
quello di empatia, riferito alla capacità, di cui in nuce siamo tutti dotati,
di capire l’altro, non attraverso complicati meccanismi razionali o culturali,
ma grazie alla capacità di metterci nei suoi panni e di sentire su di noi e
dentro di noi quello che lui sente. È capacità potente perché permette di alimentare atteggiamenti prosociali, porre
freni all’aggressività e alla violenza: è risorsa fondamentale per la costruzione di contesti, comunità, società che
facciano del rispetto per l’altro il leit motiv dei comportamenti. Ora, se
siamo tutti programmati a sviluppare questa capacità, possiamo poi farlo, a partire
dalle primissime fasi della vita, sulla scorta di modelli di comportamento,
basati sul rispetto, sul riguardo, sulla positività delle relazioni. “Se fossi Dio, lavorerei al
raggiungimento dell’empatia” dice Frans de Waal[2],
famoso zoologo e etologo contemporaneo, a testimonianza di come il diffondersi dell’empatia sia lo strumento migliore per la costruzione di
società non violente. Ma un’empatia che si fermasse sui confini tra umano e
animale, sulla barriera oltre la quale tutte le violenze hanno diritto di
cittadinanza, sarebbe inefficace e incompleta, inadeguata al suo stesso scopo;
perché invece per sua natura non può non rivolgersi anche agli animali non
umani, che sono quelli che pagano il
prezzo più alto in termini di sofferenza, in quanto privi di tutele. Richard
Wagner affermava anzi che il loro dolore è ancora più assoluto e muto di quello
umano[3]. La
loro, dice, è una sofferenza senza remissione, senza possibilità di essere sublimata
nella ricerca di un senso, senza possibilità di diventare mezzo di liberazione.
Per questo la dignità umana rende testimonianza di sé solo ed esattamente nel
punto in cui l’uomo esprime compassione anche nei confronti dell’animale. In
altri termini, se davvero vogliamo parlare di empatia dobbiamo parlarne comprendendo
nel nostro orizzonte anche gli altri animali, universalizzandola. Compito
enorme, ma non impossibile: Jeremy Rifkin, grande economista e filosofo, sostiene anzi[4] che
siamo di fronte alla più forte ondata empatica della storia. I movimenti
animalisti che negli ultimi decenni hanno acquisito una forza impensata e
davvero rivoluzionaria sono basati proprio sul coinvolgimento personale nell’identificazione
empatica con le altre specie. Niente di davvero rivoluzionario, comunque, se si
pensa che è passato un secolo e mezzo da quando Charles Darwin affermava che “L’umanità
verso gli animali inferiori è una delle virtù più nobili di cui l’uomo sia fornito
e rappresenta lo stadio finale nello sviluppo dei sentimenti morali. Solo
quando la nostra preoccupazione verrà estesa a tutti gli esseri sensibili, la
nostra moralità avrà raggiunto il suo più alto livello”.
Da
papa Francesco allora ci aspettiamo, in luogo di un assurdo
richiamo alla restrizione dell’empatia, il sostegno nella missione, che
vogliamo possibile, di un suo ampliamente anche agli animali che sono le
vittime più inermi della storia del mondo, nella consapevolezza, che la difesa del mondo umano e del mondo
animale sono indissolubilmente legate, consapevolezza di cui la Chiesa Cattolica
deve decidere, assumendosene le conseguenze, se farsi carico o lasciare appannaggio esclusivamente del pensiero
laico. Negli stessi giorni delle convinte esternazioni del papa sui rischi della
troppa cura concessa a cani e gatti, dai giornali[5] veniamo
a sapere di monsignor Calcagno, ex vescovo di Savona, finito alla ribalta delle
cronache per fatti poco edificanti di storno di denaro destinato ad opere di
carità, ma su questo si esprimerà la magistratura. Risulta invece interessante
che il personaggio goda del soprannome
di monsignor Rambo per la passione nel collezionare armi, che impiega nelle sue
battute di caccia: sulla compatibilità di questa passione con lo spirito
cattolico sarebbe bello si esprimesse il
pontefice.
Per
concludere: agenzie di pace, quale è la Chiesa Cattolica, non possono non capire come la violenza non potrà mai davvero
essere superata in nessun campo se si
continua a legittimarla quotidianamente su milioni di esseri indifesi. Una
parola di papa Francesco che testimoniasse di questa convinzione sarebbe
salvifica per gli animali e conseguentemente della dignità umana: mentre ci
affanniamo a contenere i possibili effetti dirompenti delle sue esortazioni a non
esagerare nella cura di esseri deboli,
quella parola continuiamo ad aspettarla.
Brava Annamaria. Si è scritto parecchio su questa sparata del Papa. Non credo imparerà qualche cosa nel leggere le critiche rivoltegli. Non ha mai speso una parola significativa in difesa degli animali: li mangia (sottolineando che sono buoni!), li riceve in Vaticano schiavi dei circensi.. questo dovrebbe bastare. Adesso se la prende pure con gli animali domestici che sono i più amati anche da chi non è animalista o antispecista. Che cosa dobbiamo aspettarci ancora? Uno che crede nel paradiso terrestre dovrebbe riempire i giardini vaticani di ogni specie animale.
RispondiEliminaSi, hai ragione: giardini vaticani popolati di animali: questa è l'idea di paradiso terrestre. Al momento solo Ippoasi e affini, rigorosamente laici.
EliminaCredo che le parole del Papa siano state precise e ponderate: ha voluto ribadire la visione antropocentrica del creato e scomunicare qualsiasi tendenza anti-specista nel cattolicesimo.
RispondiEliminaIn estrema sintesi, si, hai perfettamente ragione.
Eliminala tigre che ha toccato (pieno di paura) si è subito scansata. Chissà che avrà sentito?
RispondiEliminaSarebbe interessante conoscere la risposta.
RispondiEliminaNon leggo nelle parole del papa il significato che Lei gli attribuisce. Il papa si è semplicemente limitato a sottolineare un eccesso della nostra società. Di eccessi ce ne sono tanti, il papa ha sottolineato uno di questi. Tutto qui. Non mi sembra che abbia negato l'amore per gli animali, ma ogni sentimento se eccessivo è dannoso.
RispondiEliminaNon mi sembra che il significato delle parole del papa sia quello che Lei gli attribuisce. Il papa si è limitato a censurare un eccesso tra i tanti che affliggono la nostra società. Non credo che questo significhi una restrizione dell'empatia. Ogni sentimento portato all'eccesso è dannoso. Secondo me il papa ha voluto dire solo questo.
RispondiEliminaGent. Patrizia, è un dato di fatto che papa Francesco, in barba al suo nome, parla di animali in modo per lo meno discutibile: addirittura accarezza la tigre tenuta alla catena dai circensi e loda i circensi perché portano allegria. Non possono essere ignorate tutte le documentatissime notizie, con tanto di video , che da molti anni testimoniano dei tormenti inflitti agli animali nei circhi. Per altro io penso che gli eccessi, quando sono affettivi, siano una minuscola panacea agli sconvolgenti eccessi di crudeltà di questo nostro mondo. La ringrazio comunque per l'attenzione. Annamaria
RispondiEliminapietromelis.blogspot.com
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