Se il veganesimo
sia progetto di vita, splendida utopia, o solo atto di disperata denuncia è la
nostra mente a pensarlo e saranno i giorni di un lontano futuro a decretarlo.
Di
certo l’ideale di un mondo nuovo, capace di vedere tutti gli animali affrancati
dall’asservimento e dal dolore, non può che incentrarsi prima di tutto e sopra
tutto sul cibo: perché è intorno ad esso che si accumula la massima parte
del nostro personale e diretto apporto
alla grande questione degli animali. Animali che mangiamo, disinteressandoci
del prezzo di sofferenza che imponiamo loro, minimizzandolo o negandolo, se mai
giustificandolo come imprescindibile, sempre assolvendoci. Anime belle quali
siamo, al di là delle tante parole di amore per gli animali, a tavola
diventiamo tanto spesso corresponsabili di una crudeltà da cui pure ci
affermiamo e ci consideriamo lontani anni luce.
Focalizzando il problema della violenza sugli animali non
umani sul “mangiar carne”, si va diritti al cuore della questione perché grandissima
parte di tale violenza non è agita da persone sadiche e malvagie, ma è consentita e supportata da
quelle “normali”, per bene, che con il proprio stile di vita, e quindi anche la
propria alimentazione, sono la causa del martirio quotidiano di uno sconfinato
numero di loro. Il mangiar carne è
chiaro esempio di quella banalità del male,
che proprio in quanto banale viene accettata nella sua pretesa
normalità, disconosciuta nella sua portata e nelle sue conseguenze.