“Cinturini” li chiamano i
lavoratori e i dirigenti che si occupano dell’uccisione dei coccodrilli: “cinturini”
perché in loro è questo che vedono, il prodotto della loro trasformazione in
oggetti di consumo, tanto pregiati quanto inutili. Niente di nuovo sotto il
sole: agli animali, quale che sia la specie di appartenenza, viene negata la
natura di esseri viventi, senzienti, sofferenti, belli e speciali come ogni
animale è. Il processo di reificazione comincia subito, molto prima che siano
uccisi perché è proprio questo il modo per procedere con noncuranza alla loro
eliminazione: non bisogna vedere quello
che sono, ma quello che, grazie a noi, diventeranno. Il linguaggio non è certo
neutro né casuale, che anzi dà forma al
pensiero: loro sono borse, cinture, scarpe, valigie per umani ingordi di lusso
e mai sazi: ma parlare di “cinturini” fa di più, perché è termine funzionale al
processo di offesa e denigrazione;
grandi e forti quali sono, minacciosi persino, originali nell’aspetto così
peculiare, non solo vengono ridotti e mistificati in oggetto, ma l’oggetto deve
essere piccolo, irrisorio, antitesi alla loro imponenza.