Ci risiamo: è pasqua un’altra
volta per le persone di buona volontà, che non possono ignorare che non
solo di resurrezione saremo qui a parlare, perché altre morti incombono che saranno
però definitive, senza riscatto né nuove vite davanti. Gli agnelli sono nati da
poco e fra pochi giorni saranno teneri al punto giusto. Ancora un po’ di latte
dalla mamma, quella che ululerebbe, come direbbe Saramago, se solo sapesse dove vengono portati i suoi
piccoli, partoriti magari nella fantasia di vederli correre nei prati verdi dei
loro desideri. E invece
è sui camion che
vengono caricati,
ammassati l’uno
addosso all’altro
a
belare a un cielo che tanto non si scompone
perché se ne frega del dolore di quaggiù, e poi dentro all’inferno: gemiti e
bestemmie, lamenti e imprecazioni, braccia
forti e lame affilate, e poi sangue, sangue ovunque. Senza perdere tempo,
perché ce ne sono proprio tanti da legare e
poi ammazzare, e per quanto si sia esperti a farlo a catena di montaggio,
un po’ di tempo per sgozzare occorre e sono tanti i cuccioli necessari a
soddisfare tutti quelli che l’agnello pasquale, inteso come arrosto, lo considerano
irrinunciabile, per quanto a giustificazione non ci siano
certo fame nè digiuni da compensare: è solo
che chi ama Dio a quel sacrificio di un innocente sembra non voler proprio
rinunciare, non sia mai che, senza l’agnello a riproporlo,
qualcuno si scordi del dolore che Gesù ha
sofferto, vittima innocente e senza scampo, inerme e dolorante. Ma anche chi
con la metafisica e l’al di là non ha grande dimestichezza e, diciamolo,
neppure il benchè minimo interesse, non ci sta
a sentirsi escluso: se anche non richiama
l’agnello di Dio che toglie i peccati dal
mondo, quello che vuole nel piatto è pur sempre una gustosa incarnazione.