16 luglio 2024: intervista pubblicata sul sito LAV sul fenomeno di maltrattamenti animali
https://www.lav.it/news/giovanissimi-uccidono-animali-annamaria-manzoni
EDUCARE ALL'AMORE VERSO GLI ANIMALI: UNA PRIORITA'
IRRINUNCIABILE
Intervista ad Annamaria Manzoni
IL blog ilbattitoanimale, impegnato a contribuire per la divulgazione di una cultura della vita al di la delle specie, è onorato di ospitare su queste pagine le preziose dichiarazioni della dottoressa Annamaria Manzoni.
Psicologa e psicoterapeuta, saggista, impegnata nell’ambito degli studi e delle ricerche che mettono in relazione la violenza sugli animali in tutte le sue forme con quella praticata dagli umani sui propri simili.
Autrice di libri che oltre a trattare il tema suindicato, affrontano anche l’esperienza del legame affettivo che lega gli umani agli animali, e di come questo sia anche alla base dello sviluppo di sentimenti di cura e di empatia verso il prossimo.
D: Dottoressa Manzoni, intanto grazie per aver accettato di dedicarci parte del suo tempo per mettere a disposizione di chi ci legge la sua professionalità e la sua umanità.
Dunque, esiste una relazione fra violenza praticata sugli animali e quella esperita fra umani, e quindi all’interno della nostra specie?
A.M. "E’ una relazione di cui finalmente si torna a parlare: non è certo una scoperta, ma se mai una riscoperta, visto che a trattare di questo argomento sono stati poeti, scrittori, filosofi a partire almeno da 2000 anni fa quando Ovidio nel primo secolo a.C. affermava che “la crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà contro gli uomini”. Nel corso dei secoli lo hanno ribadito intellettuali che rappresentavano non il pensiero dominante, ma un pensiero minoritario, non per questo meno valido. Molti ignorano che anche politici italiani, quali Giuseppe Zanardelli e Filippo Torriggiani, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, hanno fatto affermazioni avanzatissime dal punto di vista della consapevolezza del link che unisce violenza inter e intraspecifica, mettendo in guardia dal pericolo di una atrofizzazione della sensibilità insito nel maltrattamento dei nonumani.
La consapevolezza di cui si mostrano portatori è tale da fare impallidire i nostri attuali legislatori, nella grande maggioranza dei casi indifferenti ad un problema di cui dovrebbero invece farsi carico con adeguato senso di responsabilità. Un giornalista e scrittore ambientalista, Kieran Mulvaney, afferma che “se fossimo governati da persone di buon senso, la protezione degli animali rientrerebbe tra le priorità di ciascuno”.
Gli psicologi, poi, essenzialmente negli ultimi trenta anni, hanno preso atto di questo legame, parlandone in modo inequivocabile anche in uno dei testi fondamentali di riferimento quale è il Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali: tra i criteri per diagnosticare il Disturbo della Condotta e il Disturbo Antisociale di Personalità, la crudeltà contro gli animali è equiparata a quella sugli umani"
D: Caccia, pesca, circhi, vivisezione, macelli, allevamenti, gabbie, pellicce, sagre, combattimenti; se, come sosteneva Gandhi, il valore di una civiltà si misura da come tratta gli animali, viste le sevizie atroci che infliggiamo ad altre specie viventi (associate sempre ad una giustificazione ideologica, scientifica, alimentare), la nostra società dovrebbe dunque possedere un livello evolutivo estremamente basso.
Lei che ne pensa?
A.M. "Di sicuro lo stato delle cose è terribile e i nonumani sono, tra tutti gli esseri senzienti, quelli che portano il peso delle maggiori sofferenze, inflitte per sadismo, per indifferenza, per abitudine, ma soprattutto all’interno di uno stato delle cose in cui il loro sfruttamento e la loro uccisione sono sviliti a non-problema. Se le leggi pongono o cercano di porre argini all’esondare di comportamenti crudeli agiti da singoli individui, il problema vero è quello delle tante forme in cui la violenza, lungi dall’essere stigmatizzata, è legale, costituisce il nerbo stesso della nostra convivenza dove il nutrirsi di animali è considerato, per usare le definizioni usate dalla psicologa Melanie Joy, normale, naturale, necessario.
Da una parte vanno realizzandosi progressi se pure lentissimi: il progredire della civiltà induce ad interiorizzare la convinzione che gli esseri senzienti sono depositari di diritti, lo sono gli uomini, e poi sono stati prese in considerazione le donne, in seguito i bambini, gli omosessuali, i portatori di handicap (tutte “categorie a parte” rispetto agli uomini!!!!)
Non è certo un caso che i diritti degli animali non abbiano possibilità di affermazione dove non sono rispettati quelli umani: si dà per scontato che in paesi di dittature totalitarie, di regimi sanguinari siano riservati agli animali trattamenti che ci fanno inorridire. Specularmente, lo sviluppo di un pensiero “civilizzato” può aprire strade prima impercorribili. Non è certo una strana coincidenza che negli Stati Uniti d’America il 1865 abbia visto l’abolizione della schiavitù, con la ratifica del Tredicesimo Emendamento, e nel 1866 abbiano preso vita le prime associazioni per la protezione degli animali.
L’ombra lunga si sta allungando coinvolgendo anche i diritti dei non umani. Ma è contestualmente vero che , dall’altra parte, le forme di violenza istituzionalizzate, prima fra tutte quella agita nei macelli, stiano raggiungendo numeri stratosferici in virtù della industrializzazione, delle macellazioni a catena di montaggio ; senza che grande parte della popolazione arrivi a prendere atto che non basta che un’azione sia legalizzata perché smetta di essere violenta, crudele, inaccettabile"
D: Osservando l’innato interesse che i bambini molto piccoli dedicano agli animali, i quali non vedono di certo “cibo”, in un agnellino, in un maialino o in un cavallo, quali strategie educative si possono adottare affinché fin da bambini si continui a sviluppare e sostenere un sano legame affettivo fra cuccioli umani e cuccioli animali?
A.M. "Qualunque tipo di educazione passa non tanto dalle teorie, quanto piuttosto dalla proposta di modelli: la naturale attrazione nei confronti dei nonumani da parte dei bambini è una risorsa enorme, una ricchezza da coltivare, prova provata che gli animali sono cablati nelle profondità stesse della nostra coscienza, da cui esercitano un richiamo, un incanto, una lusinga che i bambini sono pronti a recepire. I bambini non vivono però sotto vuoto, ma all’interno di contesti sociali, e prima ancora familiari, in cui respirano l’aria che è data loro da respirare. Gli adulti trasmettono ciò che sanno e ciò che sono: tante volte propongano comportamenti abitudinari, ritenendoli unica opzione possibile, anzi: senza neppure interrogarsi al proposito. Vi sono famiglie in cui i pet siano oggetto di violenze ed è facile capire come stiano insegnando ai propri figli che è così che ci si comporta con chi dipende da noi, perché è più debole, perché ci è affidato. Ma vi sono casi che veicolano messaggi più striscianti; pensiamo banalmente a case in cui siano tenuti degli uccellini in gabbia, oppure cani alla catena, o pesci nelle bocce. Animali che desiderano e meritano una vita di libertà sono costretti a spazi angusti, sono immobilizzati, negati nelle loro propensioni e nei loro desideri. Il tutto nell’indifferenza generale e nell’abitudine a misconoscere ogni segnale di sofferenza, di cui viene data una lettura di comodo, divergente da quella corretta. Vengono così inoltrati e sostenuti principi di prepotenza, di insensibilità, di non rispetto che finiscono per incistarsi nei pensieri dei bambini, i quali nella grande maggioranza dei casi non coglieranno la violenza implicita in quelle situazioni e saranno indotti ad interpretare la prepotenza in atto quale normale norma di comportamento. Grande insegnamento di insensibilità, che va plasmando le coscienze.
Pensiamo poi, ancora per esemplificare, come la pesca, cosiddetta sportiva, sia ancora oggi considerata attività pacifica, bucolica, tranquillo complemento ad una giornata immersi nella natura. Anche in questi casi i bambini possono essere invitati a condividere il piacere di sperimentare la canna da pesca, recente regalo del nonno o dello zio, e educati a “pescare”, vale a dire cercare di catturare pesci che, con l’amo in bocca, si dibattono in cerca di salvezza mentre soffocano nell’aria. Ecco: la soddisfazione dei grandi che plaudono all’impresa del pescatore in erba e lo sollecitano a misconoscere il tormento del pesce, a rispondere con gioia alla sua prolungata agonia, è implicita terribile scuola di insensibilità.
Un file enorme si apre poi a proposito dell’alimentazione: i genitori tendono a proporre e riproporre ai propri figli le proprie abitudini e convinzioni: è quindi “normale”, in società carniste come lo è la nostra, che i bambini vengano cresciuti mangiando animali: senza che ne abbiano la minima consapevolezza, come dimostrano le tante ricerche che affermano che, a cinque anni, la grande maggioranza di loro non è cosciente che il cibo che ha nel piatto è un animale.
D: Può dirci qualcosa sul documento degli psicologi in merito alle valenze antipedagogiche del circo e di altre forme di sfruttamento animale? I princìpi che sostanziano questa iniziativa e soprattutto se ha prodotto qualche visibile effetto auspicato.
Il documento parte proprio dalla considerazione che gli psicologi, per formazione e per dovere, hanno l’opportunità e il compito di occuparsi e preoccuparsi di formazione, di educazione, di decodificare anche i tracciati meno evidenti attraverso cui vengono trasmessi valori e contenuti: non dovrebbero quindi astenersi dal prendere in considerazione le conseguenze di atti e abitudini che , spacciati per normali, comportano invece atteggiamenti forieri di misconoscimento delle emozioni e dei sentimenti di chi si ha di fronte.
In questa ottica, situazioni in cui i nonumani sono costretti a sottomettersi a chi è più forte, a comportamenti che negano le loro propensioni e sono fonte di grande o grandissima sofferenza, devono essere decodificate nei loro effetti e nelle loro conseguenze sul piano educativo. E’ grave che siano invece considerate fonte di divertimento per i più piccoli, perché in questo modo va in onda un’educazione alla non empatia, empatia, che invece, giova ricordarlo, dovrebbe essere alla base dell’educazione stessa perché è competenza prosociale, fondamentale a suggerire comportamenti di rispetto, imprescindibili se si ha a cuore la formazione di società e contesti in cui l’attenzione ai diritti degli altri sia la bussola che orienta le scelte. I circhi che sfruttano animali, gli zoo, le sagre che li umiliano sono un concentrato tossico di cattiva educazione.
Il documento, sottoscritto da personaggi davvero illustri del panorama culturale dei giorni nostri, viene spessissimo citato e usato al fine di dare vita a riflessioni e doverosi cambiamenti: purtroppo finchè la politica si manterrà così timida davanti ai compiti che le competono, così indifferente anche al cambiamento di sensibilità che sta attraversando la nostra società, non potranno cessare queste forme di tortura sugli animali. Anche una ben diversa coscienza, che tiene lontane sempre più persone da contesti del genere, viene bypassata dai lauti contributi che governo dopo governo i nostri politici si ostinano ad elargire. Il documento degli psicologi si affianca a quello di un’altra categoria professionale, quella dei veterinari: la Federazione Veterinari Europei nel 2014 ha chiesto la fine dell’impiego di animali nei circhi, perché condizione insostenibile sulla scorta delle loro caratteristiche etologiche. In sintesi, come dicono i veterinari, gli animali non lo possono sopportare; come dicono (alcuni) psicologi la sofferenza che ne consegue getta le sue ombre lunghe anche sui fruitori bambini"
D: Lei è anche autrice di interessanti libri sui temi che stiamo affrontando. A quale dei suoi lavori editoriali è più affezionata? E quale, fra loro, riassume al meglio il messaggio che lei diffonde con rigore e serietà?
A.M. "Amo tanto Noi abbiamo un sogno, lo amo specularmente alle tantissime attestazioni di affetto che mi sono arrivate da chi me lo ha descritto come leva decisiva nella propria vita nello smantellare tanti meccanismi autoassolutori che siamo soliti mettere in atto nelle pratiche di vita che i nonumani sono costretti a pagare a causa nostra. Il fatto che sia stato diffuso in Messico, nell’edizione spagnola, e che ne sia stato tratto un filmato, La nostra specie, ne ha poi ampliato la risonanza.
Si è comunque ritirato un po’ sullo sfondo mentre, andando avanti a scrivere, tante altre dinamiche andavano disvelandosi anche ai miei occhi, permettendomi di arrivare a sistematizzare il discorso, a mio avviso fondamentale, della violenza con Sulla cattiva strada.
Che dire? Qualcuno mi ha mandato la foto di uno dei miei libri portato con sé in barca d’estate, per non staccarsene, qualcuno mi ha detto di tenere sempre sul comodino una copia di un altro. Insomma: mi danno molte emozioni, o forse a darmele sono i miei lettori, a cui sono affezionata come loro mi dicono di esserlo a me"
D: Dottoressa, grazie ancora per il tempo che ci ha dedicato. Può concludere con un auspicio, un annuncio, qualcosa che riassuma e riepiloghi l’estrema importanza degli argomenti trattati.
A.M. "Con Josè Saramago, con Anna Maria Ortese, non posso che dire che questo mondo è sbagliato, non imperfetto: sbagliato. Un’inversione di rotta è non auspicio, ma necessità profonda, perchè la sofferenza enorme, ubiquitaria, estrema, ingiusta degli animali, umani e nonumani, rende il mondo così come è indegno di essere vissuto"
Grazie ancora per la sua gentilezza. Buon lavoro e tanti in bocca al lupo per le sue attività.
Naturalmente senza che crepi nessun lupo.
A.M. "Lunga vita a tutti i lupi!"
A presto.
A.M. "A presto!"
A proposito di chi lavora nei macelli: intervista a Radio.veg.it
https://podcastgen.radioveg.it/media/2019-11-12_chiaro_e_scuro_01_save_movement_integrale.mp3
INTERVISTA A TANA LIBERI TUTTI 15 febbraio 2020
Abbiamo intervistato Annamaria Manzoni e la ringraziamo molto per la sua gentilezza e la sua disponibilità nel rispondere alle nostre domande. Annamaria è una psicologa impegnata da molti anni sui temi dei diritti degli animali e sulla relazione tra animali umani e animali non umani. Maggiori indicazioni sul suo lavoro le potete trovare qui: www.annamariamanzoni.it
Grazie Annamaria!
Buona lettura!
1. Quando sei diventata vegana e
perché?
Allora, se dovessi rifarmi alla famosa tripartizione di Tom Regan, che vede lo
sviluppo di una coscienza animalista e vegetarista avere inizio da input e
posizioni diverse (lui parla di vinciani, damasceni e temporeggiatori), io mi
riconosco in una posizione vinciana dal punto di vista delle convinzioni, nel
senso che da sempre, o per lo meno dal momento a cui risalgono i miei ricordi,
ho sentito forte in me empatia e solidarietà verso gli altri animali e senso di
rivolta verso ogni prepotenza nei loro confronti; ma c’è voluto tempo perché
capissi che la risposta, per quanto osteggiata dal clima culturale
assolutamente dominante e pervasivo, non poteva prescindere dal rifiuto totale
a mangiarli; ancora più tempo per abbracciare una filosofia di vita totalmente
vegana. In sintesi, diciamo vegetariana da una trentina d’anni, vegana da una
quindicina. A mia discolpa per i lunghi tempi impiegati posso solo ricordare
che trenta anni fa si era ancora molto soli in questo genere di scelte, vale a
dire circondati da incomprensioni, insofferenza, critiche a tutto tondo; ma
soprattutto erano molto poco diffuse le teorie di riferimento e questo si
traduceva nella necessità di fornire costantemente “giustificazioni” alle
proprie scelte con il ricorso a spiegazioni articolate, che scalzassero quelle
che erano considerate verità inattaccabili, sorta di dogmi sdoganati in luoghi
comuni; e le spiegazioni dovevano essere elaborate “in proprio”, senza quei
riferimenti autorevoli che oggi sono a disposizione di chiunque, e che
rimandano ad uno scandagliamento a 360° della questione animale, esaminata da
prospettive etiche, filosofiche, etologiche, biologiche, psicologiche,
giuridiche.
2. Quali sono i teorici/pensatori
dell’antispecismo e/o del veganismo etico che hanno avuto maggiore influenza
sulle tue idee e sul tuo modo di pensare?
Dopo tante
letture non è facile distinguere l’origine di ogni pensiero e teorizzazione,
che vanno a formare una sorta di summa mentale, sfaccettata, composita. Va
tenuto presente quello che ho già detto, vale a dire che è stata la sensibilità
nei confronti degli altri animali ad aprirmi gli occhi: significa che ogni
immagine di violenza su di loro parlava da sola di prepotenza e di ingiustizia,
di nonviolenza come necessità in ogni relazione, nessuna esclusa. Gli autori
che hanno via via aggiunto tasselli di comprensione sono stati tanti, tanti i
libri in qualche punto illuminanti: tra gli altri quelli di Leone Tolstoj
(Contro la caccia e il mangiar carne), Jim Mason (Un mondo sbagliato), Tom
Regan (Gabbie vuote), Charles Patterson (Un’eterna Treblinka), Mark Howthorne
(Bleating hearts), Matthieu Ricard (Sei un animale), Melanie Joy (Perché amiamo
i cani, mangiamo i maiali, indossiamo le mucche) …
3. Quali sono, nella tua visione, le
idee cardine del pensiero antispecista e/o del veganismo etico?
Io mi
ritrovo essenzialmente nella convinzione che la strada maestra sia quella della
nonviolenza, che si esprime sia nell’approccio che nella strategia. Se l’ideale
di vita è quello di un mondo pacificato, tutte le forme di violenza e di
sfruttamento devono essere contrastate, nessuna esclusa. E’ necessario anche
raggiungere una consapevolezza matura al proposito, vale a dire che tutte le
forme in cui la crudeltà si esprime sono collegate l’una all’altra, per quanto
il link molte volte non sia immediatamente percepibile. Un tempo erano le
convinzioni dei pacifisti a sostenerlo: Gandhi, Capitini, Marcucci,
Schhweitzer; oggi sono tanti gli studi scientifici che mettono in luce le
interconnessioni tra tutte le manifestazioni di crudeltà. Vale la pena citare
un mastodontico studio al proposito di Stephen Pinker, “Il declino della
violenza”, che, attraverso una quantità immensa di dati, lo illustra in modo
esemplare. E che si situa sulla linea di altri studi imperniati sull’altra faccia
della medaglia, vale a dire sull’empatia, quali “L’età dell’empatia” di Frans
de Waal, e “La civiltà dell’empatia” di Jeremy Rifkin. Superfluo aggiungere che
il termine pacifico non ha nulla a che spartire con la passività, il buonismo o
l’arrendevolezza. Se la lezione di Gandhi, che non arretrava di un passo
rispetto alla rivendicazione delle proprie istanze, insegna, sono tanti gli
altri riferimenti esemplari: da Pietro Pinna, obiettore di coscienza che non si
sottrasse al carcere nel coerente rifiuto di prestare servizio militare e pose
il primo tassello verso la sua abolizione, a figure quali Franco Basaglia, che
riuscì a scardinare le basi di un’istituzione oppressiva e repressiva quale
quella dei manicomi. E si potrebbe continuare all’infinito citando Malala,
adolescente pakistana che si appella a solidarietà, compassione e giustizia
nella sua lotta contro le enormi ingiustizie del suo paese; a preti in prima
linea contro le mafie quali don Puglisi e don Diana; a tutti i dissidenti che,
in parti diverse del mondo, rompono la compattezza del muro di illegalità
morale che si trovano davanti, in genere pagando spaventosi prezzi personali;
per concludere con la giovanissima Greta Thunberg e la sua pervicace pretesa di
giustizia per il pianeta.
4. Quale pensi sia stato il tuo
principale contributo al pensiero antispecista e/o del veganismo etico?
Sono
psicologa: i miei articoli e i miei libri sono scritti nella prospettiva che mi
è propria. Dall’inizio, nei miei scritti ho applicato alla comprensione della
relazione umano-nonumano le stesse categorie di pensiero usate dalla psicologia
per decodificare le relazioni intraspecifiche, tra gli umani: nel 2006, quando
venne pubblicato il mio “Noi abbiamo un sogno”, l’approccio era relativamente
nuovo e destò grande interesse. Mettere in luce, per esempio, i meccanismi di
difesa che permettono agli umani di fare del male ai propri consimili senza
esserne consapevoli e senza sperimentare il senso di colpa conseguente, e poi
evidenziare il chiaro parallelo con le strategie messe in atto nei confronti
degli altri animali permette di acquisire fondamentali consapevolezze. Dai
lettori del saggio è arrivato un feed back importante: andavo a toccare
dinamiche in cui tutti potevano riconoscersi e questo significava avere a
disposizione categorie per interpretare il proprio e l’altrui atteggiamento nei
confronti dei nonumani. In tantissime altre situazioni l’approccio psicologico
è risultato illuminante: nel portare alla conoscenza il valore simbolico del
cibo, nel rilevare la potenza del linguaggio, nell’applicare alle relazioni
interspecifiche il concetto di banalità del male, nel parlare di controllo e
discontrollo delle emozioni.
Il mio documento sulle ricadute negative, dal punto di vista di una pedagogia
che metta al proprio centro l’empatia, di tutti gli spettacoli basati
sull’abuso degli animali, a partire dai circhi, è condiviso e sostenuto da nomi
importantissimi del panorama psicologico nazionale e internazionale http://annamariamanzoni.blogspot.com/p/documento-psicologi.…
5. La riflessione sull’antispecismo
e sul veganismo etico è spesso caratterizzata da contrapposizioni piuttosto
forti che, in alcuni casi, si spostano dalla discussione sui temi alla
focalizzazione su specifici punti di vista e talvolta sulla singola persona.
Qual è la tua opinione in proposito?
Le dinamiche
all’interno del mondo animalista e antispecista non si discostano purtroppo un
gran chè da quelle che caratterizzano tutte le altre realtà: dopo una fase
iniziale in cui sono stati messi a fuoco problemi, obiettivi di massima,
strategie è successo quello che succede per esempio nel mondo politico: le
formazioni, nel senso di gruppi e associazioni, si sono moltiplicate
all’ennesima potenza, di certo a volte per motivi storici o geografici, vale a
dire perché i gruppi si sono formati e sono cresciuti intorno ad un nucleo
abbastanza identificabile e ricostruibile, oppure, per quanto riguarda le
piccole associazioni, in funzione della vicinanza, che creava le condizioni per
una reale e fattiva collaborazione. E fin qui tutto bene.
I problemi cominciano a definirsi quando le associazioni smettono di
collaborare l’una con l’altra e la reciproca squalificazione prende a dilagare.
In alcuni casi l’ostilità si esprime anche solo ignorando le iniziative
proposte da altri, il chè equivale ad affossarle, facendo mancare un
fondamentale sostegno.
Decisamente peggio vanno le cose quando l’attacco è diretto, insultante. Il
desiderio di prevalere, di essere più bravi, più famosi, di avere più successo
finisce per farla da padrone e per oscurare persino le questioni, per quanto
enormi, di cui ci si sta occupando. Niente di nuovo sotto il sole: Freud
definiva “narcisismo delle piccole differenze” il nocciolo di questa dinamica,
che ben conosceva e riconosceva come attiva anche tra le varie società
psicoanalitiche: siamo in buona compagnia, a quanto pare! I “nemici” finiscono
per essere riconosciuti non in quelli che sostengono posizioni inconciliabili
con le proprie, ma in quelli simili a sé perché è con loro che il confronto è
più rischioso, in quanto capace di offuscare il nostro primato: se, nelle cose di
cui ci stiamo occupando, un altro ha avuto un’idea più brillante, un’iniziativa
di maggior successo, mobilita reazioni poco nobili, dettate da un amor proprio
ferito anche se ammantate da giustificazioni diverse: si finisce così per
considerare nemico chi fino a poco tempo prima era compagno di strada. E’
sempre Freud a rilevare che ogni relazione stretta contiene un fondo di
ostilità, di cui non si è in genere consapevoli perché rimossa: è questa che
poi viene alla luce e si concretizza. E, per inciso, lo stesso Freud riteneva
che ogni relazione stretta contiene ambivalenze e finiva per osservare, anche
in base all’esperienza con il suo cane Jofi, che solo l’amore uomo-cane è
davvero puro, totalizzante, immune da tali ambivalenze.
In sintesi a volte l’aggressività, espressione appunto di questo genere di
dinamiche, serve a difendere il proprio piccolo o grande orticello, minacciato
da chi potrebbe risultare “un po’ più bravo”: attaccarlo, isolarlo, criticarlo
sono i mezzi per arginare la sua pericolosità. Con buona pace per i nonumani
che in tutto questo sembrano scomparire dalla nostra vista e soprattutto dal
nostro interesse.
Assolutamente doveroso chiarire che tutto quanto detto riguarda solo una parte
del problema, presa in considerazione da una prospettiva psicologica; ben altra
questione è quella riferita all’esistenza di differenze sostanziali nella
filosofia di base di varie associazioni, che su alcune questioni davvero sono
impossibilitate a trovare un terreno comune. La più macroscopica è, per esemplificare,
quella tra i sostenitori del cosiddetto benessere animale e chi parla invece di
liberazione animale. Per chi fosse interessato, la questione, che ritengo di
enorme importanza è analizzata sul mio blog
http://annamariamanzoni.blogspot.com/…/benessere-animale-ch…
6. Educazione e animali. In base alla
tua esperienza, come dovrebbe avvenire una corretta educazione degli animali umani
per quanto riguarda la relazione con gli animali non umani?
Questione fondamentale: siamo quello che siamo in minima parte per le
nostre caratteristiche genetiche, in massima parte per quello che siamo
diventati in virtù dell’ambiente in cui siamo vissuti, del clima familiare che
abbiamo respirato, del contesto culturale che ci condiziona costantemente (si
veda anche il libro “Tra cuccioli ci si intende”, Graphe edizioni). Sono questi
gli ambiti in cui alcune nostre caratteristiche in nuce vengono portate alla
superficie e amplificate mentre altre vengono represse e cancellate. Sono i
modelli che ci sono stati proposti o imposti che vanno a definirci lungo un
continuum dall’empatia alla crudeltà. E questi modelli possono essere
macroscopici: crescere in una famiglia in cui il linguaggio delle relazioni è
quello declinato su prepotenza e prevaricazione del più forte sul più debole ci
forgia come individui violenti, così come una famiglia in cui vige il rispetto
permette alle nostre predisposizioni empatiche di prendere forma. Il modo in
cui vengono trattati gli altri animali entra a buon diritto in queste
dinamiche: picchiare il cane perché ha sporcato il tappeto o dare un calcio al
gatto che è salito sul divano sono scuola di violenza; come lo sono altre abitudini
non stigmatizzate in quanto sono legali: tenere un uccellino in gabbia è un
comportamento carico di significati perché corrisponde a negare il diritto ad
un essere vivente e senziente alla propria libertà di volare, mistificando il
significato del suo canto come segno di gioia; l’eccitazione e l’emozione del
papà cacciatore che inonda la casa ed ha il suo culmine con il “riporto” di
cadaveri di animali innocenti esibiti come trofeo sdogana una forma di sadismo;
l’abitudine all’indifferenza nel vedere un cavallo imprigionato tra morso,
briglie, paraocchi è antipedagogia. Oggi gli studi su questo argomento si
susseguono: ma bisognerebbe ricordare che ben oltre un secolo fa nella
discussione di un Disegno di legge del parlamento Italiano sulla Protezione
degli Animali si leggeva: “La tutela degli Animali è connessa con il problema
dell’Educazione”. Si leggeva: ma chi lo ha letto?
7. Secondo la tua opinione, qual è
la relazione tra la violenza nei confronti degli umani e quella nei confronti
degli animali?
Il discorso
è estremamente vasto e articolato: il link è evidente, potente, innegabile.
Rimandando ad un necessario approfondimento (si veda “Sulla cattiva strada”,
Sonda editore), basta ricordare che da più di 30 anni anche il DSM, manuale dei
Disturbi Mentali in uso in tutto il mondo occidentale, ne prende atto quando
pone la violenza sugli animali come uno degli indicatori del disturbo della
Condotta in età infantile o adolescenziale, in pratica equiparandola ad altre
forme di violenza: purtroppo, però, questa consapevolezza scientifica non si è
ancora tradotta in conseguenti approcci al problema.
Al di fuori di ogni approfondimento teorico, lo sanno bene le società criminali
di ogni luogo, varie mafie di casa nostra incluse, che addestrano i più giovani
a forme di crudeltà gratuita sugli animali come tirocinio ad altre forme
estreme di brutalità; nelle biografie dei serial killer è facilissimo ritrovare
precoci abitudini a torturare cani o gatti; non stupisce nessuno che nei paesi
dove non sono rispettati i diritti umani, vale a dire dove le persone sono
facilmente esposte a trattamenti inumani, parlare di rispetto per i nonumani
non trovi ascolto. Ma in fondo basta anche solo riflettere che gli animali sono
esseri senzienti, che quindi soffrono quando colpiti o maltrattati, e che i
segnali di sofferenza che inviano sono tanto simili ai nostri: l’indifferenza
in risposta agli uni corrisponde all’indifferenza nei confronti degli altri; il
sadismo in risposta agli uni corrisponde al sadismo in risposta agli altri.
8. Quali sono, secondo te, i
meccanismi che rendono insensibili o indifferenti alla sofferenza degli animali
sfruttati?
Questo
argomento, fondamentale nella relazione umani-nonumani, è centrale nel saggio
“Noi abbiamo un sogno” (Bompiani, 2006), a cui non posso che rimandare. Di
certo la fa da padrona la rimozione, per cui il problema viene costantemente
non affrontato, con l’ausilio dello stato delle cose, vale a dire la non
accessibilità per esempio dei macelli, dell’interno dei laboratori di vivisezione,
dei luoghi di addestramento degli animali dei circhi o della “doma” dei
cavalli. Direttamente connessa alla rimozione è la negazione stessa della
verità, che permette di affermare che gli animali sono soggetti a “macellazione
umanitaria”; che nei circhi vivono una splendida vita tra l’amore e il rispetto
dei circensi; che i cavalli, siccome amano correre, sono felici di farlo nelle
gare ippiche e nelle scuole di equitazione, e che la frusta con cui vengono
costretti a correre tanto da farsi scoppiare il cuore è un simpatico gingillo.
E poi c’è l’uso distorto del linguaggio che edulcora o falsifica la realtà; la
normalizzazione di ogni crudeltà attraverso la sua legalizzazione, di cui
l’esempio più eclatante è la caccia; c’è l’implicita convinzione che in fondo
gli animali si meritino quello che facciamo loro, convinzione costruita
attraverso una continua denigrazione del loro essere, come ben dimostra la
rappresentazione svilita di molti di loro, a cominciare dal maiale. Si potrebbe
continuare con il confronto vantaggioso, comunemente chiamato benaltrismo, per
cui ben altro c’è di cui preoccuparsi; o sul ruolo dell’autorità su cui
scarichiamo tutte le responsabilità, che invece ci appartengono. Insomma: è un
capitolo di enorme importanza, fondamentale per acquisire consapevolezza delle
dinamiche che sono attive al nostro interno, capaci di renderci complici della
più grande carneficina quotidianamente in atto, senza che il nostro sonno venga
disturbato.
9. Cosa si potrebbe/dovrebbe fare
per sensibilizzare le persone sulla condizione degli animali e cambiare i
comportamenti degli umani?
Bisogna
agire a 360°: fondamentale è l’informazione, che deve essere portata avanti
senza sosta. Incredibilmente utili anche per il loro impatto mediatico sono
gesti eclatanti quali la liberazione dei beagle o l’occupazione dei laboratori
di vivisezione. Bisogna poi lavorare per scardinare i luoghi comuni, che sono
il terreno principe della mistificazione della realtà. Bisogna lottare perché
nuove sensibilità e cambiamenti di costume siano sanciti dalle leggi: basta
pensare che sono decenni che si fanno manifestazioni contro l’abuso degli
animali nei circhi, con un mastodontico impiego di energie che è servito a
mobilitare l’opinione pubblica, ma senza l’emanazione di una legge ad hoc non
si arriva a porre fine ad uno sfruttamento, la cui barbarie e il cui
anacronismo sono sotto gli occhi di tutti. Analogamente è un’impresa ciclopica
quella di convincere ogni persona che tenere l’uccellino in gabbia è incivile e
crudele, perché è radicata la convinzione che tenerselo in casa sia
dimostrazione d’amore: devono essere i legislatori a sancirne la proibizione,
quei legislatori, che ahimè solo nell’immaginario sono avanguardie, promotori
di un cambiamento capace di tradurre in rinnovamento dei comportamenti le
istanze che sono frutto di nuove sensibilità, nuove conoscenze etologiche,
nuova concezione dei diritti.
I media dal canto loro avrebbero il dovere di essere coartefici di queste
trasformazioni, in virtù dell’enorme potere che possiedono. Paradigmatico ciò
che sta avvenendo a proposito dell’uccisione delle donne da parte dei loro
compagni: i maltrattamenti anche estremi sulle donne sono purtroppo una realtà
dalle radici antiche: ma solo quando, in concomitanza con l’introduzione del
neologismo femminicidio, si è cominciato a dare rilievo da prima pagina ad ogni
episodio di violenza sulle donne da parte di uomini gelosi o respinti il
problema è entrato nella consapevolezza di tutti. Immaginiamo allora che ogni
giorno i telegiornali si aprano o i giornali riportino in prima pagina notizie
e immagini sulle condizioni dei nonumani in ogni contesto di abuso, a partire
dai macelli: una buona fetta della gente prenderebbe alla fine atto che lo
stato delle cose è inaccettabile.
In sintesi, la questione animale è una questione di enormi proporzioni, a cui
tutti coloro che ne sono coinvolti devono dare il proprio contributo,
differenziato a seconda delle proprie predisposizioni: scrivere, divulgare,
manifestare, agire, boicottare, lavorare in canili, gattili, rifugi,
associazioni, salvare rospi, disturbare i cacciatori, dissentire. Soprattutto
mantenere uno stile di vita coerente con il rispetto per tutti i nonumani.
10. A tuo parere e in base alla tua
esperienza, l’interazione con gli animali non umani può essere di aiuto per
umani in situazioni di fragilità? Ci può essere davvero reciprocità in queste
situazioni oppure è solo un altro modo per ‘usare’ gli animali a servizio
dell’uomo?
Il rapporto
con le altre specie è assolutamente fondamentale: è da molti anni che è stato
coniato il termine “biofilia” per designare l’attrazione naturale dell’uomo per
natura e animali, tanto che l’assenza di questo contatto è foriera di
conseguenze designate con l’espressione Deficit di Natura, che è una sorta di
disadattamento che si esprime con tendenze depressive, scarsa capacità di
concentrazione, isolamento.
Detto questo, credo che il senso della domanda sia riferito agli animali che
definiamo pet: è esperienza del tutto comune e innegabile che la vita condivisa
con un cane, un gatto, un criceto, un coniglietto si arricchisce in modo
potente, sia che ci si trovi in condizioni di solitudine o invece ricche di
relazioni, in periodi di benessere o invece di fragilità. Il nocciolo del
problema risiede però non tanto nella presenza di un altro animale, quanto
piuttosto nella tipologia di relazione che abbiamo con lui: solo e soltanto se
questa relazione è fonte di piacere e benessere reciproco può essere
arricchente, altrimenti, come purtroppo tanto spesso succede, diventa esercizio
di potere: uccelli in gabbia, pesci nella boccia, cane alla catena sono la
punta dell’iceberg di relazioni distorte e drammaticamente sbilanciate, fonte
di sofferenza per i nonumani, ma anche di pervicace declino morale per gli
umani.
11. Intersezioni, convergenze,
terreno comune, obiettivi comuni. In questo periodo si discute sempre più di
quello che potrebbe unire diversi movimenti e gruppi per la liberazione e i
diritti degli animali umani e di quelli non umani, per la difesa dell’ambiente,
ecc. Qual è la tua valutazione in proposito?
La difesa
del diritto degli animali alla vita, al benessere, alla nonsofferenza, quindi
l’obiettivo della liberazione animale, trova in se stesso le ragioni al proprio
esistere. Ma è anche vero che esiste una interrelazione profonda tra tutti i
fenomeni, che sarebbe assurdo ignorare, nella consapevolezza che ogni
situazione ha conseguenze e riflessi su altre. Se è vero come è vero che esiste
un link tra tutte le forme di violenza, anche le situazioni di benessere si
collegano e si contaminano vicendevolmente. E’ chiaro, per esempio, che la
difesa degli animali ha fortissime connessioni con la difesa dell’ambiente, che
non è certo scandaloso rilevare. Scandalosa è se mai l’omissione di questo link
da parte delle associazioni ambientaliste e degli studiosi ambientalisti, che
riescono a non nominare la questione animale nelle loro argomentazioni: un
esempio per tutti, additato con chiarezza da Cowspiracy, la vergognosa
omissione del problema nel documentario “Una scomoda verità” (2006) , dell’ex
vice presidente americano Al Gore che per 118 minuti di analisi delle cause e
dei rimedi al riscaldamento globale riesce a non nominare la responsabilità
degli allevamenti intensivi. Questione umana, questione animale, questione
ambientale sono parti di una stessa questione, senza separazione. Ciò che resta
fondamentale è uscire dalla predominante posizione antropocentrica e non
considerare, come di solito si fa, la salvaguardia della natura e quella degli
animali al servizio dell’esclusivo benessere umano. Per altro le
interconnessioni sono tante: prima tra tutte la posizione di parte del mondo
femminista che rivendica la necessità di non separare le lotte di liberazione
delle donne da quelle degli animali. E su questa materia gli studi e gli
approfondimenti vanno ampliandosi in continuazione. Interessante un film di
qualche anno fa, Pride, che ricostruiva l’inedita alleanza dei minatori,
durante gli scioperi nel periodo thatcheriano, con gli omosessuali nonché con
le attiviste vegane. Tanto da imparare, tanti spunti da approfondire.
Per concludere questa carrellata su tante questioni fondamentali, che in questo
contesto hanno potuto essere solo accennate, mi piace ricordare la riflessione
del giornalista ecologista Kieran Mulroney che afferma che “se fossimo
governati da persone di buon senso la difesa degli animali sarebbe la prima
delle preoccupazioni”. Ci rendessimo conto della profondità di questa
affermazione, avremmo fatto emergere una volta per tutte la centralità della
questione animale e le imperdonabili rimozioni a cui è sottoposta non solo
dalla gente comune, ma anche da grandissima parte di quel mondo politico che,
perso nelle schermaglie di potere, continua ad ignorarla, passando senza vedere
in mezzo a quegli abissi di ingiustizia e sofferenza in cui da sempre
costringiamo i nonumani.
---
Letture consigliate per approfondire:
- Melanie Joy: Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali, indossiamo le mucche
- Mark Howthorne: Bleating hearts
- Annamaria Manzoni: Noi abbiamo un sogno
- Annamaria Manzoni: In direzione contraria
- Annamaria Manzoni: Sulla cattiva strada
- Annamaria Manzoni: Tra cuccioli ci si intende
- Jim Mason: Un mondo sbagliato
- Charles Patterson: Un’eterna Treblinka
- Stephen Pinker: Il declino della violenza
- Tom Regan: Gabbie vuote
- Matthieu Ricard: Sei un animale
- Leone Tolstoj: Contro la caccia e il mangiar carne
INTERVISTA di FEDERICA GIORDANI ad ANNAMARIA MANZONI
1- Video che mostrano le atrocità degli allevamenti di animali cosiddetti "da reddito" sono diventate sempre più accessibili al pubblico grazie a internet e ai social: crede che questo possa essere utile per la diffusione della filosofia vegan?
1- E’ necessario conoscere la realtà: tutti noi, in qualche momento, siamo passati attraverso la visione di video, e di certo è stato importante perché l’immaginazione da sola non sarebbe sufficiente a dare conto della mastodontica crudeltà in atto. L’esperienza per molti è drammatica, ma, se miliardi di animali sono costretti a subire le peggiori atrocità ad opera dell’uomo, noi umani quelle stesse atrocità, di cui tanto spesso siamo gli utilizzatori finali, siamo tenuti a guardarle.
2 - Che ruolo ha, in generale, l'immagine nella comprensione del
fenomeno della violenza sugli animali?
2-L’immagine è uno sguardo sullo stato delle cose, per quanto colto in una
frazione di tempo limitatissima, ed è quindi importante. Ma di questo “materiale”
bisogna fare un uso adeguato, vale a dire in un contesto preciso, informativo o didattico;
secondo me mai certe foto dovrebbero per esempio essere usate come sfondo di un post o come immagine di
copertina. E questo non tanto per rispetto dell’interlocutore, che può ritrarsi
perché impreparato a gestire lo shock conseguente, ma anche per evitare una sorta di assuefazione. L’abuso
di immagini di atrocità può dare vita ad una sorta di adattamento, che finisce
per neutralizzare le emozioni connesse all’esperienza della visione. Per
esemplificare , pensiamo al crocefisso, emblema del cristianesimo: la raffigurazione della crocefissione, finita
persino in graziosi gingilli magari preziosi (senza opposizione della chiesa), sembra
avere perso qualsiasi riferimento alla crudeltà
e al dolore che ne sono l’essenza. Purtroppo siamo capaci di assuefarci alle
peggio cose e a trasformare in icona neutra anche ciò che contiene
testimonianze che dovrebbero invece sconvolgerci. Le immagini della sofferenza
animale possono seguire lo stesso destino. La gente deve sapere: ma avere
costantemente davanti agli occhi certe immagini, una volta che l’informazione è
passata, può essere controproducente perché riduce il potenziale emotivo per
una sorta di assuefazione; contestualmente può anche succedere che, per le
persone più sensibili, si trasformi in un’esperienza di insopportabile
masochismo o, all’opposto, alimenti il sadismo
di altri, di cui non possiamo ignorare l’esistenza, che nelle atrocità trovano
il brodo di cultura delle dinamiche vivaci nel loro psichismo
3 - Le è capitato di usare queste immagini? Quali sono le
"regole" interne che si è data a riguardo?
3 Non sono solita usare immagini cruente o particolarmente atroci: ne uso
piuttosto altre che suggeriscono invece di conclamare, mostrano non tanto corpi lacerati e
sanguinanti, ma se mai sconvolgimento o incredulità nell’espressione degli animali. Per altro personalmente uso le
parole molto più che le immagini: è un codice diverso, ma che si rifà a
dinamiche simili: anche le parole possono essere cruente e sconvolgenti o
invece, come è nel mio stile, possono traghettare empatia e compassione,
solleticare uno struggimento che si
esprime come rivolta contro lo stato delle cose. Il feedback spesso è stato
positivo: in molti mi hanno riferito di
cambiamenti sostanziali avvenuti nel loro pensiero e quindi nei loro
comportamenti, a fare inizio dall’adesione al veganismo come espressione di un cambio di prospettiva che vede gli animali
in un’ottica davvero antispecista.
4 - A suo avviso la gente dovrebbe vedere di più o di meno rispetto ad
ora?
Per quello che ho già detto, non è questione di quantità, ma di qualità: le
immagini devono essere contestualizzate, deve esserci uno spazio per l’emergere
di emozioni, che poi si devono strutturiare in pensieri. L’esperienza della
“visione” non deve essere solo scioccante, ma dare la stura ad un cambiamento
di rotta.
5 - Quali sono state durante gli anni di cui ha avuto esperienza, le reazioni ottenute grazie alle immagini "shock"?
Mi è capitato di essere chiamata a presentare documentari quali Earthlings, che è a mio avviso uno dei maggiori concentrati di tutte le violenze immaginabili, davvero intollerabili. Le reazioni dei presenti, nell’immediato, sono state quelle di raccapriccio, incredulità, rabbia. Non posso ovviamente sapere come siano poi state elaborate da ognuno; non è mancato comunque chi, a distanza di qualche tempo, mi ha detto: “Si, però poi si torna a quello che si è sempre fatto”.
A COSA SERVE ESSERE VEGANI? da Federica Giordani a.....
https://www.vegolosi.it/news/interviste-vegane/a-cosa-serve-essere-vegani/
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