L’attuale massacro russo è la riproposizione di un
copione più volte visto anche in anni recentissimi: a Kiev, Ukraina, nel 2012,
in occasione degli europei di calcio; a Sochi, Russia, nel 2014 dove si
svolgevano le Olimpiadi invernali; in
Marocco, pochi mesi fa, in attesa dell’arrivo di una delegazione FIFA che valutasse la candidatura
del paese ad ospitare i Mondiali 2026.
Quello che si ripete con regolare precisione è che, in occasione di eventi calcistici di
particolare risonanza, in alcuni paesi migliaia di cani, che normalmente vivono
nelle strade in vario modo integrati nel tessuto urbano, o in alcuni casi senza
che nessuno si preoccupi di idonei
interventi di sterilizzazione, divengono improvvisamente elementi di disturbo, dissonanti
rispetto ad una presunta immagine di civiltà, presenze moleste e sgradevoli da eliminare. Sui modi per farlo c’è
grande tolleranza e scarsa pubblicità:
ci sono i bocconi avvelenati e le armi da fuoco, ma nel passato è giunta
notizia persino di cerbottane e picconate, inferte con perizia da squadroni
della morte, composti da volenterosi esecutori di ordini evidentemente non così
sgraditi, resi per altro più appetibili da un riconoscimento in denaro per ogni
“carcassa” presentata. Le autorità sembrano poco preoccupate da una possibile
propaganda negativa, forti del fatto che ogni volta anche la peggior grana è
sfumata in denunce via via sempre più
flebili delle organizzazioni animaliste internazionali, in questa ultima
occasione poco più che silenti, e in rimozione totale della carneficina al primo
fischio di inizio che fa della vasca dello stadio fonte di obnubilamento di
ogni malessere dell’animo, tanto efficace e popolare da fare impallidire al confronto una fumeria
dell’oppio della Cina ottocentesca.
martedì 19 giugno 2018
MONDIALI 2018: CALCI AI PALLONI E PALLOTTOLE AI CANI
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