“Uomini chiamati
rosticcieri-trattori si mettono in mezzo alla strada per affondare il coltello
nel dorso di un agnello belante (….); poi si abbandona lo sventurato animale
che, dopo avere perduto il sangue goccia a goccia, spira con una lunga agonia.
Questa scena, che si rinnova a tutte le ore del giorno, ha per spettatori tutti
i bambini del vicinato i quali, già
intrepidi come il vittimario[1],
insultano l’agnello immolato”.
Questo passo fu scritto da
Sylvain Marechal, giornalista e scrittore, verso la fine del 1700; descrive la
situazione della città di Parigi, in cui i macelli erano all’aperto, e
operavano in continuazione sotto gli occhi di tutti, fornendo uno spettacolo
straziante a cui rispondeva da una parte l’indifferenza dei passanti, dall’altra
il tifo per il più forte da parte dei bambini, lì ad imparare la lezione
quotidianamente impartita.
Sono trascorsi da allora ben più
di due secoli, che hanno visto cambiamenti epocali nei confronti della esibizione
della violenza e anche della
considerazione che abbiamo degli animali, ma davvero “sei ancora tu, uomo della
pietra”: le notizie che arrivano dalla
Romania richiamano le immagini che prendono corpo nelle parole di Marechal, con
i cani che hanno preso il posto degli
agnelli . Quello che sta succedendo in questi giorni è la conseguenza di un fatto oscuro di cronaca che ha visto la
morte atroce di un bambino, imputata all’aggressione di un cane di strada,
nonostante si dica vengano nascoste in realtà
ben altre oscenità, visto le voci che si rincorrono sul fatto che si
tratterebbe in realtà di un omicidio ad
opera di pedofili, poi più o meno abilmente camuffato. Indipendentemente da quale sia la verità, l’episodio
si è subito trasformato in occasione per la recrudescenza di una mai
sopita caccia al pericoloso criminale,
colpevole di ogni male, criminale
individuato non in uno, ma in tutti i cani rumeni, costretti da una
orrida politica al riguardo a fare vita randagia, sempre sottoposti ad angherie
di ogni tipo.
L’episodio, qualunque sia la
dinamica reale che lo ha determinato, è comunque solo la causa occasionale di
quella guerra aperta contro i cani, che era lì pronta a scatenarsi. Non
esistono guerre che scoppiano per caso né all’improvviso: c’è una
preparazione che è fatta non solo di produzione di armi, ma soprattutto di organizzazione e istigazione all’odio per
il “nemico”: è solo a queste condizioni che un accadimento imprevisto porta in
tempi brevissimi alla esplosione di quella violenza, che viene incanalata nella
apertura delle ostilità , in realtà rigonfie di ben altre ragioni per deflagrare.
L’assassinio di Sarajevo non
avrebbe provocato il primo conflitto mondiale, se non ci fossero stati a
disposizione l’apparato bellico messo a punto da tanti stati e la contestuale
esaltazione del militarismo; gli stati
occidentali non sarebbero corsi a combattere contro Saddam Hussein se non avessero passato
decenni a costruire infernali arsenali di guerra, preparando gli animi con il
richiamo ossessivo alla necessità della difesa e della sicurezza.
La guerra ai cani della Romania,
con la pretesa di leggi che la
legalizzino, non è la conseguenza della drammatica morte del bimbo di 4 anni: è
preparata da lungo tempo in questo caso non con la riserva di armi, perché i diligenti esecutori del volere
comune se la cavano benissimo con sassi e bastoni, sempre a portata di mano, ma
con l’opportuna educazione delle
coscienze: si fa esplodere nella popolazione un’aggressività tenuta sempre
desta, alimentata dalla propaganda della pericolosità dei cani, che è solo
frutto dell’abitudine ad affamarli, terrorizzarli, favorirne l’organizzazione in branchi; perché è certo che uccidere a
bastonate migliaia di animali con tanto zelo e scrupolosità richiede una crudeltà
cieca e feroce, che necessita di opportuno addestramento, addestramento
compiuto con le uccisioni che nel tempo non si sono mai fermate, ma sono solo meno
concentrate ed esibite.
L’attuale richiesta di leggi che legalizzino
il massacro è solo la punta dell’iceberg di una situazione diffusissima; solo
un anno fa è stata la volta dei cani dell’Ucraina, rei di imbrattare il
panorama territoriale incompatibilmente con la necessità di dare al mondo un’immagine
linda e civile del paese, che ospitava i campionati europei di calcio. Anche
allora parte dell’opinione pubblica internazionale (ma solo quella non
obnubilata dalla festa del pallone) restò
basita davanti a tanto orrore e levò vibrantissime quanto inutili proteste. Si
tratta del ripetersi di episodi eclatanti, in grado di smuovere con l’eccezionalità dei numeri un osservatorio internazionale altrimenti distratto: ma si inseriscono su una tragica metodica
quotidianità di molti paesi, in cui le leggi a difesa degli animali sono
primitive o del tutto inesistenti, di cui veniamo a conoscenza con tutti gli
orridi particolari di accompagnamento grazie alla tecnologia e alla fulminea
capacità della “rete” di informare tutti e subito.
Le testimonianze sono gallerie
degli orrori allo stato puro; le descrizioni ci coinvolgono e ci travolgono anche perché
riguardano i cani, che nel nostro mondo sono non solo tra i più amati, ma anche
vero ponte tra noi e tutti gli altri animali: ne conosciamo la vita emotiva e sentimentale
articolatissima, la capacità di gioire, la vulnerabilità alla paura, la
tensione verso una relazione vivacissima fatta di attaccamento, di propensione
alla condivisione del tempo e dello spazio; sappiamo quale incredibile capacità
di intuire il nostro pensiero faccia parte di quel loro universo che non
finiamo mai di scoprire con ammirato stupore. E sappiamo quale dolore possono
causarci con la loro perdita e
l’incolmabilità del loro andarsene. Ecco: sono loro quegli esseri che vengono oggi in
altri paesi perseguitati, terrorizzati, uccisi a colpi di bastone, lasciati ad agonizzare in mezzo al loro stesso sangue
mentre contro il loro corpo martoriato si imperversa ancora un po’ e non
importa se sono cuccioli persi di paura, cagne che stanno partorendo, scheletri
vaganti in cerca di compassione.
Le stragi in atto, quelle già
compiute e quelle programmate, devono suscitare
una rivolta civile contro questa
violenza, nella consapevolezza che è coltivata giorno per giorno e che quindi
contrastarla significa non solo
intervenire per bloccare una legge barbara, ma rimettere in discussione
un modello di civiltà, che non riconosce diritti agli animali e considera
legittimo ogni sorta di maltrattamento a loro carico . Contestualmente bisogna
riflettere sulle proporzioni e valenze enormi del coinvolgimento delle giovani
generazioni: si tratta di una violenza
che è accettata, esibita, giustificata con ragioni che attengono la difesa
degli umani, la necessità della sicurezza, nonché una totale svalutazione delle
vittime, i cani, visti e considerati alla stregua di nemici pericolosi, indegni
quindi di pietà: tanto che il massacrarli
è ritenuta azione meritoria, degna di plauso
e ammirazione.
Quale educazione ai bambini? La
risposta è scontata: il loro senso morale si forma su questi insegnamenti: ciò
che fanno i loro padri, zii e nonni è ciò che loro imparano e prima e meglio lo
faranno tanto più godranno del plauso degli adulti e la loro autostima crescerà
insieme alla stima di cui sono alla ricerca. Una violenza tanto cieca, sordida,
oscena ripropone e riproduce se stessa: quei bambini, quegli adolescenti stanno
imparando una precisa lezione, che li allontana dalla pietà e dall’empatia; crescono nuove
generazioni che perpetuano il non riconoscimento della sofferenza dell’altro e l’idea del mondo come
il luogo della prepotenza e della crudeltà. Questi bambini sono gli eredi e i
discendenti di quegli altri, che secoli fa e in altri luoghi , lo scrittore
Marechal guardava con sgomento essere già dalla parte del più forte e
incredibilmente metterci del loro per incrudelire un po’ di più sugli agnelli tormentati
e agonizzanti, già senza forze e incapaci di difesa: davanti all’enorme
ingiustizia in atto, imparavano la lezione della prevaricazione, della
crudeltà, del diritto del più forte.
Inutili e fuorvianti sono i
discorsi che si levano a condannare in toto i rumeni, come ieri gli ucraini e
come tutti i giorni i cinesi e gli altri popoli autori di pubbliche atrocità
sugli animali; degli uni chiediamo l’espulsione dall’Unione Europea, degli
altri l’espulsione da che? In ogni caso non è costruendo un cordone sanitario
che li isoli nel loro contesto che i
cani si salveranno, che anzi questo li condannerebbe in modo assoluto e
definitivo, in assenza di qualsiasi forma di controllo.
Non possiamo per altro non
riflettere sulla nostra di storia, di noi che affondiamo le nostre radici in
quegli abomini pubblici che sono stati gli spettacoli dell’impero romano: non
siamo stati confinati insieme ai nostri orrori, ma abbiamo fatto un percorso di
progressivo allontanamento dall’esaltazione pubblica della violenza contro gli
animali. Pur tacendo di allevamenti intensivi e macelli, non possiamo per altro
ignorare ciò che nel mondo occidentale ancora oggi avviene e che ripropone su altri
animali esattamente ciò che in Romania avviene sui cani: anche da noi come da
loro puntualmente si scatena la caccia all’untore, che a volte è
impersonificato dai bovini, colpevoli del dilagare, vero o presunto, del morbo
della mucca pazza, in realtà resa pazza dalla nostra stessa follia, a volte dai
volatili, che forse magari chissà potrebbero diffondere l’influenza aviaria,
dal momento che le condizioni in cui li costringiamo ne sono il terreno ideale.
Alla prima avvisaglia la carneficina si scatena contro un numero smisurato di
animali che vengono gasati, bruciati vivi, sotterrati ancora prima di essere
morti. Certo, non sono cani, ma davvero basta questo ad assolverci? Certo: le
carneficine avvengono in genere dietro le quinte, non nei luoghi pubblici, in
genere lontano dalle telecamere, per lo meno da quando i media hanno dovuto
prendere atto che certi loro servizi informativi avevano agitato un’opinione
pubblica non sufficientemente preparata
e quindi riottosa davanti alla presunta normalità di quanto vedeva. Così,
prudentemente, in ossequio al volere del potere, hanno preso l’abitudine di esercitare
il dovere di cronaca con molta
parsimonia, relegando la notizia in qualche trafiletto interno, da cui per
esempio apprendiamo, se per caso riusciamo a scovarlo, dell’uccisione in queste stesse
settimane di un milione di volatili in Emilia Romagna .
Prendiamo atto, nel giudicare gli
orridi accadimenti della Romania, anche di quanto succede da noi, dove la
difesa di alcune specie di animali è contestuale all’inferno a cui condanniamo
tutti gli altri, e come troppo spesso una politica di nascondimento e
occultamento sostituisca i cambiamenti reali.
E’ assolutamente necessario intervenire con tutti
i mezzi leciti per salvare i cani rumeni, e perché tutte le leggi di tutti gli
stati siano davvero in sintonia con la formazione di una coscienza individuale e
collettiva che la violenza la contrasti davvero, contro qualunque specie di
animale, esibita o occultata che sia. Ne siamo purtroppo anni luce distanti.
[1] Termine
con cui, nel rito sacrificale romano antico, veniva indicato l’assistente del
sacerdote sacrificatore, che legava la vittima e preparava l’immolazione.
Milioni di animali vengono sterminati tutti i giorni dell'anno, davanti all'indifferenza dei governi di tutto il mondo ma davanti ai cani, i migliori amici dell'uomo, spesso fa capolino un briciolo di sensibilità. Questo strage è una sconfitta per tutto il mondo.
RispondiEliminaPaola Re
Lo capisco bene, Paola, che ci sono motivi per inorridire senza interruzione: ma a volte certi avvenimenti scuotono le coscienze, come è stato il caso di Green Hill, di chi la coscienza la lascia dormiente. Visto che le ignominie succedono, facciamo dirompere le reazioni.
EliminaGuerra, dici bene, Annamaria, mi colpisce moltissimo questa tua riflessione.
RispondiEliminaOgni anno c'è una guerra - per esempio, ed è il più immediato, perché della guerrta ha tutte le esteriorità - contro cinghiali, cervi, caprioli, 'colpevoli' di 'invadere' campi e abitati umani, crrature pericolose in ogni senso, odiose dunque odiate; adesso, s'è scatenta la guerra alle orride nutrie, così simili a topi giganti, responsabili persino di crolli, frane, smottamenti. E poi, mi vien da pensare, che infien, qualcuni vorrebbe anche una guerra contro quegli umani 'estremisti' che gli animali - questi e tutti gli altri - li difendono, li proteggono, li rispettano e li amano.
Guerra sempre contro i più deboli, capro espiatorio di tutte le nefandezze umane, Quegli estermisti degli animalisti invece basta deriderli dall'alto del pensiero dominante. Un abbraccio Giovanni.
EliminaLa mia cagnolina è stata salvata da Save the dogs, chi l'ha avuta prima di me in Romania, l'ha sicuramente amata, poi chissà perché è diventata una randagetta.
RispondiEliminaSeguo da tanti anni la questione dei cani in Romania, mi fa rabbia vedere come sono trattati, ma forse i nostri connazionali che acquistano cuccioli di razza dai trafficanti, anche se fanno gli struzzi, non sono migliori dei boia dei canili.
Io penso che un sacco di volte la gente rifuiuti di conoscere, informarsi, cercare di capire: l'indifferenza è la peggiore delle calamità. E poi ci sono i contesti in cui la crudeltà diventa la norma e l'orrore stile di vita. Da certi punti di vista credo che la Romania rientri proprio in questi casi. Felice per la tua cagnolina, che ha avuto un'altra chance , che immagino la ripaghi di tutto.
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