Se
uno dei quotidiani più diffusi mette sulla copertina del suo inserto
l’immagine di tre grossi pezzi di carne rossa con striature di grasso
sotto il titolo "Carne al TOP", la tipologia stessa dell’immagine, più
adatta alla vetrina di una macelleria che ad un settimanale, qualche
riflessione la impone.
Il piatto è ghiotto, per restare in tema,
ed è bene individuare gli ingredienti. Che i media, con il loro potere
culturale, sociale, politico ed economico, non mostrino aperture alla
difesa del mondo animale è cosa nota e spiegabile: lo sfruttamento
animale nelle sue variegate forme dà lavoro e/o arricchisce un infinito
numero di persone, allevatori, aziende, commercianti, ricercatori, case
farmaceutiche. Ce ne è quanto basta per uno schieramento senza se e
senza ma dalla parte "giusta", quella che nega, rimuove, svilisce la
sofferenza degli animali. Ma loro sono ubiquitari nelle nostre vite,
necessari, irrinunciabili. I media, che non lo
ignorano, si
occupano solo di alcuni e solo in determinati contesti: non vi è
giornale che non dedichi spazi inteneriti a vicende di cani in attesa
del proprio padrone scomparso o alla vecchia signora che spende la
pensione per nutrire i gatti; il veterinario dice la sua su come
evitasre la carie al coniglietto e tutti sanno quanto funziona la
pet-therapy.
Contestualmente un pietosissimo velo di silenzio è
steso sul non politicamente corretto, cioè sui tragici costi pagati
dagli animali all’alimentazione "normale", basata sul consumo di carne:
la pubblicità è pervasiva, ma attenta a scindere nelle parole e nelle
immagini il prodotto finito dalla sua origine: troppo sensibile ormai
gran parte dei consumatori che mangiano di gusto, ma si ribellano al
ricordare l’origine di tante prelibatezze. Decantare il tonno in scatola
non è rischioso, perché, poveretto, pressato com’è nella scatoletta,
non reca traccia della sua morte cruenta e crudelissima. Così noi, anime
belle del mondocivilizzato, ad eccezione di un po’ di machi che
come sport praticano la caccia, di tanti vivisettori che si esercitano
in quella che autorevoli riviste scientifiche hanno definito "cattiva
scienza", di tanti operatori che fanno in prima persona il lavoro sporco
e, con le parole di Coetzee, hanno avvolto la loro anima nel carapece,
pur sostenendo con il nostro stile alimentare il massacro degli animali,
abbiamo eliminato dal nostro repertorio mentale i riferimenti al loro
olocausto: davvero una nuova sensibilità si è andata instaurando, grazie
ad una progressiva eliminazione di spettacoli di violenza, crudeltà,
accanimento brutale, alla cui esposizione si deve un processo di
spegnimento della pietà.
L’immagine di carne, nervi, sangue e
grasso, destinata ad un pubblico del tutto eterogeneo, segna un salto di
qualità. Bisogna ricordare che molte cose vanno succedendo: i movimenti
in difesa degli animali negli ultimi anni e nei potentissimi spazi
della rete, paralleli a quelli
dell’informazione ufficiale, stanno
portando in superficie gli orrori di cui l’uomo si macchia nei
confronti degli animali: immagini raccapriccianti, violenza inaudita,
spietato infierire su esseri indifesi stanno scioccando un numero sempre
maggiore di persone. E la nuova sensibilità, frutto di una cultura che
ha nascosto la violenza e incentivato un rapporto che piace considerare
scevro da crudeltà verso le altre specie, non tollera tali immagini:
pericolo, allora, che l’ondata empatica vada montando e generi un
atteggiamento di rifiuto: pericolo per l’industria, l’indotto,
l’arricchimento; per la struttura stessa di questa nostra civiltà.
E’
in questa ottica che va letta la nuova strada tentata dai media: strada
già aperta quando l’ecatombe di volatili, suini, bovini, rei non
confessi della propagazione di nuove epidemie, è andato in onda senza
veli o quasi nei tg: la teoria della colpa (dagli all’untore, sono stati
loro, sterminiamoli per la nostra salvezza) ha illuso i media
che
l’opinione pubblica avrebbe capito e si sarebbe unita al coro, ma così
non è andata, la protesta è montata e lo scempio ha potuto proseguire
solo dietro le quinte.
Qualcosa di analogo succede ora: alcuni
brevissimi spazi alle ingiurie degli allevamenti intensivi sono stati
inopinatamente riservati in programmi e ore di grande ascolto. Apriti
cielo: proteste a non finire di tutti coloro che sulla morte degli
animali vivono e prosperano. Da qui una nuova strategia: se non è più
possibile nascondere completamente la violenza sugli animali, se il
pericolo di fuga di notizie si concretizza in luoghi e spazi che si
credevano blindati, serve agire diversamente: non più negare il
problema, ma renderlo accettabile. La cornice cognitiva è ottimale: un
settimanale a larghissima diffusione può sdoganare qualunque cosa
accompagnato dal pregiudizio positivo: se lo dicono loro!
Insomma: la guerra bene o male la si può sempre giustificare: si usano eufemismi, si nobilita la causa, si
consegnano
medaglie alla memoria; ma nessuno ne parlerebbe con l’ausilio della
foto di una gamba amputata: non si turba così la gente. Se un giorno
qualcuno lo facesse, davvero saremmo entrati in una fase diversa della
carneficina: vorrebbe dire che non occorre nemmeno più nascondere,
perché è possibile fare rientrare l’orrore nell’ambito dell’accettabile.
Altri,
davvero altri vorremmo che fossero gli animali sulle copertine dei
settimanali e nella realtà: non ridotti a brandelli di nervi e sangue,
ma nella loro interezza di esseri "gettati insieme a noi nello splendore
e nel travaglio di questa terra."
La pubblicità di carne, pesce, latte e latticini è davvero insopportabile: mostra il contrario di ciò che quel cibo è. Sembra che gli animali non vedano l'ora di saltare nel nostro piatto e che le mucche non vedano l'ora di offrire il nostro latte a noi, sacrificando l'alimentazione del loro cucciolo. Gli animali felici sulle copertine dei giornali sono uno strumento subdolo per farci sentire a posto con la coscienza: sono felici per merito nostro.. perché li trattiamo bene... E se sono aniamali da macello, mica ce li fanno vedere nel macello: sono nei prati a pascolare, naturalmente felici, ovviamente ignari di ciò ce li aspetta.
RispondiEliminaSi, è il grande imbroglio della pubblicità, ma anche dell'informazione in generale: nascondere e mentire. Siamo messi proprio bene!
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