domenica 26 settembre 2021

Orrore alle Isole Faroe

    Non che la gente comune sappia un gran che delle isole Faoer, che salgono alla ribalta della cronaca in genere una volta all’anno sempre nella stessa occasione: quando i suoi abitanti si dilettano a fare strage di delfini e balene. Si tratta di un gruppo di 18 isole, lassù nel nord, tra Scozia, Islanda e Norvegia, territori autonomi, ma appartenenti alla Danimarca, orgogliosamente estranee al Trattato di Schengen; autorizzate di conseguenza a non rispettare una normativa europea del 1992, che ripudia qualsiasi forma di caccia ai cetacei. La popolazione complessiva, poco più di   52.000 persone si legge,  può godere di un tenore di vita che da un po’ di anni a questa parte viene considerato molto più che accettabile.

domenica 5 settembre 2021

CAVALLI E OLIMPIADI

   

C
he gli umani non possano fare a meno degli altri animali è indiscutibile: la cosa è però
priva  di reciprocità dal momento che invece  la quasi totalità di loro vivrebbe incredibilmente meglio senza di noi, o, volendo essere ancora più precisi, potrebbe almeno vivere se noi stessimo alla larga.

Detto questo, sarebbe davvero auspicabile che almeno in qualche occasione ce la potessimo fare a lasciarli in pace. Occasioni tra cui potrebbero a buon diritto annoverarsi le Olimpiadi, manifestazione  in cui la meglio gioventù mondiale prova a superare se stessa in ogni e qualsivoglia disciplina. Splendido spettacolo, se non fosse che siamo riusciti ad inquinarlo con l’irrinunciabile spettacolo di forme di abuso a danno di qualche animale non umano. Certo, non succede più che le manchevolezze umane siano arbitrate con la punizione a frustate di qualcuno, reo di falsa partenza, come si legge avvenisse  a quelle di 2700 anni fa; sarebbe scandalo. Ma i diritti li riserviamo alla nostra specie (in genere….), le frustate alle altre.

domenica 15 agosto 2021

NO…NON MI LASCIARE

Gli abbandoni di animali cosiddetti d’affezione come indice del rapporto distorto che abbiamo con loro. Era stata facile previsione: la corsa all’adozione di un animale, preferibilmente un cane, durante il lock down da Covid, avrebbe potuto ritorcesi contro di lui data la fragilità delle motivazioni che ne erano alla base. A partire da quella,  oggetto di scherno,  ma reale, connessa al fatto che i cani ci permettevano, in qualità di loro accompagnatori, quelle uscite “per i suoi bisogni e la passeggiatina” negate agli altri umani costretti in casa; per proseguire con quella legata alla ricerca di compagnia, ammantata da sfumature altruistiche del tipo “adesso che sono a casa posso dedicarmi a lui come si deve”, rovesciamento speculare del più credibile “adesso che sono chiuso in casa, mi distraggo un po’”. Pochi pensieri su quel dopo, già puntualmente divenuto presente, che parla di  cessioni e/o abbandoni in crescita (dati ENPA).

venerdì 9 luglio 2021

ABBATTUTi COME VITELLI


 

I fatti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, oggetto della cronaca di questi giorni, che parlano di vessazioni a danno dei detenuti, fanno riferimento a uno dei tanti modi in cui si declina il concetto di tortura. Tortura che, in Italia, è considerata reato dal luglio del 2017, con l’entrata in vigore della legge al riguardo, la cui discussione si era protratta per quasi 30 anni, anni irti di una infinità di ostacoli, attribuibili ad un’ innegabile diffusa giustificazione dei comportamenti aggressivi che possono avere luogo ad opera dei tutori dell’ordine a danno dei cittadini, detenuti o meno che siano.

La storia della tortura è antichissima e ben documentata dagli studiosi. Limitando l’ottica solo ai tempi più recenti, l’idea di fondo che le carceri siano quasi per loro stessa natura luoghi di prepotenza e prevaricazione tra i detenuti e sui detenuti, è stata supportata anche da un’enorme filmografia, che, di certo, comprende  titoli atti a soddisfare, con la messa in onda di una sadismo fuori controllo, i bisogni voyeristici e morbosi di una vasta porzione di  pubblico. Ma anche opere importanti, di esplicita denuncia di un sistema malato, divenute in modi diversi dei cult-movies dalle più svariate ambientazioni: tanto per citare  Papillon (1974; Guyana francese); Fuga di mezzanotte (1978; Turchia) ;  Nel nome del padre (1993) e Hunger (2008; Irlanda del nord). Solo l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda gli Stati Uniti: Bruebaker (1980);  Le ali della libertà (1994); L’isola dell’ingiustizia-Alcatraz (1995);  Sleepers (1996). Limitandoci alle cose di casa nostra,  senza dimenticare “Detenuto in attesa di giudizio” con la denuncia, regolarmente rimossa, di Alberto Sordi dei mali grotteschi del sistema giudiziario, è ovvio ricordare Diaz, sul G8 di Genova, e Sulla mia pelle,  ricostruzione della tragica uccisione di Stefano Cucchi.

sabato 26 giugno 2021

Nel Caffè di Massimo Gramellini i commenti al monumento alla porchetta

  


Certo non deve essere facile commentare ogni giorno un fatto, attenti ad apparire intelligenti, arguti, un po’ dissacranti e fuori dal coro mentre ci si canta dentro: l’operazione forse pesa un po’sulla testa di Massimo Gramellini e questa può essere la spiegazione allo scritto odierno che trasuda stanchezza e sfiancamento davanti alla levata di scudi contro l’”opera d’arte” in oggetto: una scultura in travertino che rappresenta una porchetta, apparsa a Trastevere per rigenerare (???), insieme ad altre installazioni, le piazze romane in collaborazione con un’accademia di belle (???) arti.



Gramellini, davanti all’indecenza del monumento alla porchetta, vale a dire alla statua di un maiale morto, legato “come un salame”, con gli occhi chiusi e la bocca spalancata nella smorfia di dolore che di certo ha accompagnato anche il suo ultimo respiro, riesce solo a sbuffare , infastidito dallo sdegno degli “animalisti”, e si lamenta che al giorno d’oggi, o tempora o mores, “ogni sensibilità individuale si arroga il diritto di porre il veto sull’universo intero”. Certo, Gramellini, come chiunque altro, è libero di pensare e di dare i giudizi che vuole: il problema è che lui i suoi giudizi e i suoi pensieri, li mette sulla prima pagina del Corriere della Sera, non esattamente un notiziario parrocchiale. Pensieri e giudizi che vedono nella esposizione di un brandello dell’olocausto animale (dalle proporzioni oceaniche viste le centinaia di milioni di esseri senzienti uccisi ogni giorno) un problema che attiene se mai alla sensibilità individuale, da cui lui pare orgogliosamente dissociarsi, o al più un problema da ricondurre all’amore o al disamore per il bello: una questione di estetica, insomma.



Non si può che provare sbigottimento e incredulità davanti alla riduzione a problema individuale di quella che è una vera e propria tragedia planetaria, da parte di un media tanto potente: e ci si chiede se sia più intollerabile che tale tragedia sia sfruttata ad uso e consumo del narcisistico piacere di un’esposizione “artistica” (il virgolettato è d’obbligo) o per l’ennesima minimizzazione a cui sottoporre il coinvolgimento nella questione animale: problema di sensibilità individuale, dice lui. L’assenza di una sola parola di condanna, che non sia quella contro l’irritante ingerenza degli onnipresenti animalisti, risulta più eloquente di qualsiasi discorso. Lasciamo allora Massimo Gramellini e la testata per cui lavora ai loro articoli, ai titoloni e agli approfondimenti sulla pandemia, che, nelle migliaia di pagine ad essa dedicate in questo anno e mezzo, sono riusciti (per altro in ottima compagnia della quasi totalità del giornalismo nazionale e forse internazionale) ad eludere in modo pressocchè assoluto non dico un’analisi, ma almeno uno sguardo critico sulla nostra relazione distorta e distruttiva con gli altri animali. Per tutti loro questa conoscenza pare saldamente fissata alla fase della ridicolizzazione, lontana anni luce da quella dell’accettazione: probabile che non ci arriveranno in tempo, e che il ritardo lo pagheremo tutti, a partire dai nonumani, per proseguire con  noi umani, e non solo in termini di etica, ma anche di sopravvivenza. Anche se loro ancora si ostinano a non sapere..

 https://headtopics.com/it/la-grande-porchetta-il-caffe-di-massimo-gramellini-20664069

venerdì 7 maggio 2021

SALVATE LA BAMBOLA BOBO

    


 

 

 

 

 

 

 

Ci risiamo: un gruppo di ragazzini tra i nove e i dieci anni ad Acate, nel ragusano, armati di forbici e lamette, ha cercato di tagliare le orecchie ad un cucciolo di cane, un piccolo randagio che bazzicava insieme ai suoi fratellini in un cortile del quartiere; l’impresa  è stata interrotta  grazie all’intervento di un giovane di passaggio che, uditi i lamenti, ha messo in salvo l’animale, lo ha portato dal veterinario e ha reso nota la cosa. Il piano dei bambini contemplava che il trattamento proseguisse a carico degli altri cuccioli; la zia di uno di loro ha comunque spiegato ai  commentatori incompetenti e  calunniosi  che il nipotino voleva solo rendere più bello il cane.

Questi i fatti di cui si sta occupando la cronaca, con il risalto giustamente già riservato a fatti di analoga gravità  che vanno ripetendosi: ci furono i quattro di Sangineto che torturarono a morte, giusto per divertirsi, il cane Angelo e ne pubblicarono lo strazio sui social; il bidello che ammazzò a colpi di scopa il gattino macchiatosi del reato imperdonabile di essere entrato senza autorizzazione nel cortile di una  scuola elementare; il farabutto che trascinò il suo cane incatenato al paraurti dell’auto facendolo morire non prima che fosse ridotto a pezzi.

sabato 13 marzo 2021

FEMMINISMI E ALTRE LIBERAZIONI

 


 

 

 

 

 

 

 

 

Era il 1792  quando il filosofo Thomas Taylor, in risposta  a “Una rivendicazione dei diritti delle donne” di Mary Wollstonecraft, rispondeva provocatoriamente che, se si riconoscevano diritti alle donne, allora si sarebbe dovuto riconoscerli anche agli animali. Pensava ovviamente di risultare provocatorio, di suscitare sconcerto o ilarità, proprio come divertito e sconcertato era evidentemente lui davanti all’ipotesi che le donne potessero aspirare ad essere portatrici di diritti. Ma, suo malgrado, la sua tesi, ripulita dalle connotazioni connesse alla sua preoccupante visione a tunnel sulle cose,  risulta quanto mai azzeccata: comporta  un link, che è politico, psicologico, esistenziale tra questione femminile e questione animale, benchè lui fosse lontano mille miglia dall’intuirla e riuscisse a risolverla solo come battuta.

Prescindendo dalla ricostruzione del cammino faticosissimo delle donne in direzione della parità di genere e di quello solo agli albori degli altri animali, portato avanti per interposta persona,  in difesa almeno della loro sopravvivenza,  è importante riflettere sui modi in cui si estrinseca questa particolare alleanza interspecifica donne-animali.

sabato 26 dicembre 2020

Una scomodissima verità


Il grande scandalo  dell’occultamento del problema dell’alimentazione nell’agenda della salvaguardia della natura: tra vecchie e nuove generazioni

Il grido d’allarme sui cambiamenti climatici, sul degrado ambientale,  sulla necessità di un cambiamento di rotta rispetto ad un intero modello di sviluppo  risuona sempre più forte. Se molti degli appelli degli scienziati da anni cadono nel vuoto, grande risonanza ha invece avuto  quello tanto più comprensibile e accattivante della giovanissima Greta Thunberg, che,  gridando al mondo che la nostra casa è in fiamme,  richiama i “grandi”  alle loro responsabilità. Le cose che dice non sono certo nuove:  è innegabile che le sue parole assumono una semantica nuova e potente soprattutto  grazie al  “personaggio”: il viso corrucciato , l’aspetto infantile affondato nelle felpe troppo grandi,  le lunghissime trecce da folletto da  saga nordica, movimentano il suo linguaggio diretto e arrabbiato che stride con quello di chi parla in politichese, tra mediazioni e vergognosi compromessi.

giovedì 26 novembre 2020

BOTTICELLE

   

E’ recente la cronaca fiorentina del cavallo che ha cercato una via d’uscita dal giogo a cui era costretto: si è ribellato ed è fuggito nelle strade e fin nella loggia dei Mercanti, creando scompiglio e sconcerto intorno.

E’ stato bravo quel cavallo perché, buttando all’aria furiosamente la botticella (carrozzella? Fiacchera?), ha scosso l’indifferenza nei suoi confronti dei passanti, lì a Firenze: come già era successo in seguito alla morte di un suo conspecifico, stramazzato sotto il sole nei giardini della reggia di Caserta, o allo svenimento di altri per caldo e fatica nelle trafficate strade romane o nei roventi viali palermitani. Ogni volta si sono registrate le reazioni di chi chiede che si ponga finalmente fine all’anacronistico uso di animali per trasportare persone, reazioni ben tollerate dalle autorità, fiduciose in un rapido esaurirsi della rabbia e in un altrettanto veloce ritorno alla normalità, senza ricadute a livello legislativo: sdegnatevi pure, tanto nulla cambia. Di fatto, ad oggi il parlamento si è ben guardato dal legiferare al proposito e le amministrazioni locali si dividono tra quelle del tutto disinteressate alla cosa e quelle che, pur più disponibili, appaiono giuridicamente impossibilitate a proibirne l’uso.

A fronte del numero non grande di animali coinvolti, grande è invece il significato di quella che è una lunga tradizione di sfruttamento: oltre al dolore di ogni singolo soggetto, è l’esposizione della sottomissione di esseri indifesi a costituire scandalo morale. I cavalli sono aggiogati e chiusi tra due sbarre, lo sguardo è limitato dai paraocchi, la bocca è ostruita dal morso, i movimenti del collo sono governati dalle redini; l’impossibilità di muovere un passo, tra una corsa e l’altra, è assoluta; il carico da portare, ad un trotto più o meno sostenuto, può essere pesante, ma anche pesantissimo. In altri termini, si tratta del ritratto vivente di schiavi, la cui sottomissione è malcelata sotto pennacchi colorati e accessori leziosi, ulteriori oltraggi alla loro animalità.

L’abituale indifferenza dei passanti, che non degnano di uno sguardo quelli che sono veri e propri monumenti alla prevaricazione di chi è forte su chi è (reso) debole, è il risultato pericoloso dell’assuefazione allo stato delle cose e della mistificazione in atto: si guarda l’immagine dolente di un animale ridotto in schiavitù e si vede un elemento pittoresco del  panorama urbano, delizia dei turisti e gioia dei bambini, che gli animali li amano tanto e apprezzano lo scampanellare gioioso che accompagna il rumore degli zoccoli sul selciato: di certo, piace loro crederlo, quei cavalli sono felici di farsi letteralmente carico della stanchezza o della pigrizia altrui, quasi si trattasse di una propensione naturale, di libera scelta. Proprio come le mucche, così contente di offrirci il latte, sottratto ai loro figli mandati al macello.

Una riflessione si impone: l’attribuzione di falsi significati, la narrazione fuorviante dello stato delle cose è uno strumento potente di alterazione della conoscenza, in grado di sdoganare come piacevole, normale, naturale ciò che è invece prepotenza, sfruttamento, crudeltà. Il sistema di valori intorno, la cosiddetta cultura, il marchio di legalità plasmano il pensiero e deresponsabilizzano.

E’ infinita l’attesa che la politica assolva i suoi mandati e prenda atto, buon ultima, che ormai anche la scienza, non solo la sensibilità individuale, riconosce agli animali capacità di sentire desideri, dolore, gioia, e che ciò implicherebbe il dovere da parte nostra di agire in modo conseguente, vale a dire rispettandoli nei loro bisogni, fisici ed emotivi. L’immobilismo da contrastare è però anche quello degli altri attori sulla scena: sono gli utenti, i turisti, tutti quelli che quei cavalli aggiogati li usano, come fossero taxi a motore sempre acceso, e, consapevoli o meno che siano, sono di fatto gli utilizzatori finali dello sfruttamento in atto, che, in assenza del loro apporto, non potrebbe che avere termine. Il principio a cui attenersi è semplice: non tutto ciò che è legale è civile, è etico, è giusto. Anzi.

Il cavallo fiorentino, ribelle come già era stata Tornasol, rifiutatasi in mondovisione di correre il palio a Siena, ci ha gettato in faccia il suo dolore e la sua esasperazione: la risposta non può essere ancora e sempre una reazione di  breve stupore da far precipitare nell’oblio ancora prima che la botticella sia rimessa in sesto. Se non sappiamo reagire alla sonnolenta normalità del male, facciamoci almeno scuotere dall’audacia di chi osa andare contro e usciamo da quella indifferenza, che cronicizza tanta parte della sofferenza che ci circonda.

     

domenica 22 novembre 2020

IL MESSAGGIO IN NERO DI TELEFONO AZZURRO

 


 

 

 

 

 

 

Il 20 novembre, in concomitanza con il 31esimo anniversario della Convenzione ONU, è stata celebrata la  Giornata Internazionale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Telefono Azzurro, associazione in difesa dei bambini, che non necessita di presentazione, con l’occasione ha dato il via alla campagna  #primaibambini Quest’anno il momento è particolarmente drammatico, vista l’emergenza Covid-19, e i bambini, quali soggetti deboli, devono essere particolarmente tutelati, come è nelle corde dell’associazione che di loro si occupa.      Lo spot che ha scelto è presto descritto: la casa brucia, perfetta metafora degli eventi attuali e alla Nostra Casa in Fiamme, come la racconta Greta Thunberg; dall’interno arrivano lamenti e richieste d’aiuto, mentre tutto intorno la gente cerca disordinatamente di mettersi in salvo, qualcuno con un bimbo in braccio: chiaro il riferimento ai diffusi vissuti di panico che la paura di non  farcela contro un pericolo non ben individuabile  porta con sé.

Un uomo robusto (l’autorità forte che non ci abbandona al nostro destino), dopo un attimo di incertezza, si slancia su per le scale, incrociando chi fugge in direzione opposta alla sua e apre con una spallata la porta della stanza in fiamme dove, in fondo, due fratellini, un maschietto e una femminuccia, seduti per terra, l’uno accanto all’altra insieme al loro cane, appaiono terrorizzati. L’uomo si avvicina incurante delle fiamme che potrebbero avvolgerlo, li guarda per un attimo e, al di là di qualunque sensata aspettativa, afferra il cane e se ne va portando in salvo lui e lasciando i bambini al loro destino.

Insomma, dalla tragedia alla farsa: perché a questo punto non si può che restare basiti davanti al finale a sorpresa e riderci sopra come ad uno scherzo inaspettato.