Di certo uno zoosafari non è uno
zoo: non ci son gabbie, gli animali non vanno avanti e indietro con movimenti
stereotipati che manifestino la loro sofferenza; non si incrociano gli sguardi
immobili di quelli che sembrano avere abdicato persino ai desideri ed hanno
smesso di lottare per una irraggiungibile libertà.
Eppure, anche se quelli che vi
sono portati a vivere non sono assoggettati alle peggiori limitazioni, tante
cose non appaiono condivisibili in
questi luoghi, in cui di naturale non si trova nulla. Il fatto è che qui la loro
presenza è finalizzata a fungere da merce, da attrazione per futuri potenziali
visitatori, grandi e soprattutto piccoli;
in uno spazio delimitato vengono immessi animali di specie diversificate, i più svariati, a seconda
delle decisioni e delle convenienze del proprietario, che li fa nascere a
questo preciso scopo e abitare luoghi che
sono lontanissimi e diversi da quelli d’origine; qui devono restare in una
sorta di arca di Noè allargata in cui molte sono le specie che devono essere
rappresentate e possibilmente tenute in condizioni che ne favoriscano la riproduzione,
ma senza esagerare.
La grande maggioranza degli animali che popolano
gli zoosafari, quando si trovano nei luoghi dove sarebbero deputati a vivere se
lasciati in santa pace, conducono un’esistenza sociale complessa, in gruppi
speciespecificamente organizzati in cui esistono relazioni parentali, di coppia,
amicali; in cui gli anziani svolgono un ruolo importante per i più giovani; in
cui i piccoli crescono con l’apporto di tanti diversi adulti in ruoli
differenti. La vita e la morte lì seguono altri ritmi, sono estremamente composite, affascinanti e
tragiche al tempo stesso, perché passano attraverso la lotta per la
sopravvivenza, la difficoltà delle condizioni naturali, le differenze marcate
dalla propria forza o dalla propria debolezza. Di tutto ciò uno zoosafari non
può certo dare conto, imbrigliate come sono le esistenze degli animali lì trattenuti;
è scontato che le condizioni originarie non possono essere fittiziamente
riprodotte, e di conseguenza ogni intento conoscitivo è destinato ad abortire
sul nascere; meglio ancora: non è neppure perseguito, perchè l’unico vero scopo è miniaturizzare contesti di vita ben lontani
dall’originale, secondo le leggi di un
mercato teso a fornire non conoscenza, ma superficiale divertimento. Non è edificante lo spettacolo di macchine e
pullman che attraversano questi spazi sputacchiando i loro gas di scarico; lo è
ancor meno quello di vocianti ragazzini che, tra un panino e l’altro, allungano
ogni tipo di junk food a quelli tra gli animali che, proprio come loro, dovrebbero invece poter contare su
scelte alimentari sensate.
Insomma: si impongono alcune riflessioni sul
senso della istituzione degli zoosafari, che prende il via da un dato di
realtà, individuabile nella naturale forte attrazione che i bambini nutrono per
gli animali: lo testimoniano l’osservazione comune e tutti gli studi di
riferimento che parlano di una predilezione, di un bisogno imprescindibile, che
li fa sentire più vicini a loro che agli
adulti umani, fatti della stessa essenza che avvicina al loro il proprio
piccolo essere. Non è certo un caso,
quindi, che vengano creati contesti destinati ai bambini che includono presenze
animali. Ma ciò che gli adulti troppo spesso fanno è misconoscere che quella
dei bambini è un’attrazione reale, solidale, curiosa, amorevole con la vera natura degli animali, non certo
con quell’interfaccia alterata e
deformata che essi diventano quando sono privati della loro libertà e della loro
essenza, che è fatta di abitudini e comportamenti strutturati sui loro luoghi e sulle loro relazioni
intraspecifiche, con il correlato di emozioni e affetti, parte imprescindibile del
loro modo di stare sulla terra. Mostrare ai bambini animali privati di tutto
ciò che li definisce, ridotti ad attori svogliati nel teatro dove la loro unica
funzione è essere guardati, è inevitabilmente scuola di irrispettoso dominio su
di loro. Non può essere questo il modo per ricercare una relazione, neppure vagamente conoscitiva,
con gli animali, che, allontanati dal branco e dalle loro naturali condizioni
di vita, si riducono a pallida fotocopia
di se stessi; non si devono procurare il cibo così come sarebbe nella loro
natura fare, non si riproducono secondo i ritmi naturali: qui gli operatori
parlano piuttosto di incubatrici dove porre uova di struzzo, o di esemplari ideali per la
riproduzione con cui fare accoppiare quelli a disposizione, da portare quindi in altri contesti da raggiungere con viaggi anche lunghi e
certamente stressanti, per ottimizzare il “risultato”: il bell’esemplare.
Ancora una volta va in scena la
rappresentazione di un rapporto di predominio: l’uomo decide a proprio
esclusivo vantaggio di immettere in un contesto definito animali da trasformare
in attrazione turistica e in macchina da soldi e gli animali da parte loro non
possono che abdicare alla loro essenza in un rapporto up-down falsamente sdoganato
come momento di immersione nella natura.
Una iniziativa, allo stato
attuale delle cose, è ancora possibile attuare
per dare un senso a questi luoghi, che segni, e non solo simbolicamente, una
sorta di riappacificazione tra le specie:
trasformarli in santuari dove accogliere animali salvati e “dismessi” da ruoli
insopportabili, dalla prigionia di circhi e di zoo, da un destino di
allevamenti intensivi e si riduzione a cibo. In questo caso avrebbe una giustificazione
il loro inserimento in un ambiente che, pure non essendo quello di origine, li
ripagherebbe da angherie e ingiustizie, permettendo loro brandelli di vita non
tormentata. In questo caso sarebbe legittimato pedagogicamente mostrarli ai
bambini, per il sollievo che loro di
certo proverebbero nel prendere atto che a volte la linea dell’ingiustizia può
essere interrotta e che preoccuparsi della riabilitazione delle vittime può
diventare il compito di una vita. In questo caso sì gli adulti finalmente interpreterebbero
nel migliore dei modi il senso dell’educazione come accompagnamento al rispetto,
alla difesa, all’accoglimento solidale dell’altro.
(Articolo scritto per ESSEREANIMALI)
(Articolo scritto per ESSEREANIMALI)
Hai fatto un quadro perfetto di cosa siano veramente gli zoosafari perché vengono sempre spacciati per paradisi. Inoltre, sapere che sono meta delle gite di istruzione delle scuole è deprimente. Non so come faccia un docente di scienze a spiegare la natura partendo da lì.
RispondiEliminaPaola Re
E' vero: ci sono persone che più delle altre hanno il dovere di tenere gli occhi aperti sulla realtà: gli insegnanti sono tra questi. Insegnare ai bambini a vedere le cose per quelle che sono anzichè aderire alla rappresentazione che ne diamo sarebbe un enorme passo avanti.
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