La relazione che noi abbiamo con i
piccioni è il risultato dell’evoluzione di quella che nel corso del tempo è andata costruendosi, a partire dal più lontano passato,
attraverso le fasi storiche e la
simbologia che ha coinvolto questi animali.
STORIA
Innanzi tutto, la storia del nostro rapporto con i piccioni, come per
altro quella del nostro rapporto con ogni altro animale, è da sempre una storia
non di pacifica e rispettosa convivenza, come sarebbe bello poter credere, ma
di regolare e continuo sfruttamento.
Sappiamo che i colombi furono addomesticati alcune migliaia di anni
fa; venivano allevati come animali da cortile fin dall'antichità; gli allevamenti erano diffusi in
Grecia ai tempi di Omero (1000 anni A.C.), si vedevano nelle piazze e nelle
strade di Atene, ne parla Aristotele
nel 300. a. C. .
Tutto ciò ad uso
alimentare in quanto il piccione
non è mai sfuggito agli appetiti umani ed è sempre stato considerato animale di cui nutrirsi:
nel Medio Evo ogni castello aveva le sue colombaie nelle torri, che garantivano
una scorta sempre disponibile di carne fresca, considerata una prelibatezza,
tanto da essere utilizzata come merce di scambio nelle trattative commerciali.
Il
piccione è stato a lungo uno dei volatili più utilizzati nella
cucina tradizionale italiana,
apprezzato nel Medioevo, per la sua carne quasi bianca, e oggi in Italia riesce a sottrarsi ad un destino di uccisione
ad uso alimentare solo in virtù delle difficoltà di allevamento rispetto ad
altri piccoli volatili, quali le quaglie, e a preoccupazioni igieniche; anche
se gli animali più giovani ne sono
ancora vittime e, in paesi non lontani dal nostro, quali quelli del Nord Africa, il loro uso alimentare è
invece regolare e diffusissimo.
Il loro utilizzo come cibo ha avuto
luogo in barba al fatto che da sempre sono state loro riconosciute doti e abilità particolari,
quelle che consentivano di trasmettere dispacci e li hanno
resi ovunque famosi con l’appellativo di “piccioni
viaggiatori”, in grado di
compiere una sorta di servizio postale, in quanto capaci di compiere
voli e di tornare poi alla base; ancora
oggi queste loro caratteristiche sono oggetto di studio: si ritiene che
siano rese possibili da capacità di tipo
olfattivo, o riferite al magnetismo terrestre, comunque in relazione anche al
ruolo esercitato dal sole e dalla luce.
Queste abilità erano note in tutto il mondo: lo erano in Italia; in Cina
già nel terzo secolo A.C. esisteva un servizio postale che, grazie ai
colombi viaggiatori, metteva in comunicazione Pechino con tutte le regioni
dell’Impero. Se ne ha notizia in riferimento all’India; gli storici
dicono che in Persia, essendo l’allevamento dei colombi proibito ai
cristiani, vi furono molte conversioni
all’islamismo per potere aggirare il divieto.
Il loro uso quali agenti di portatori di messaggi, mai interrotto nel
corso del tempo, è stato sfruttato soprattutto in relazione alle necessità belliche; ma durante il periodo
Napoleonico, persino il finanziere londinese Nathan Rotschild,
danneggiato nelle sue vaste operazioni di borsa dal blocco navale e dai ritardi
nelle comunicazioni, pensò di servirsi dei piccioni per ottenere da ogni parte
d'Europa notizie tempestive e utili.
La fama dei favolosi guadagni realizzati dal Rotschild con tale sistema, incitò altri uomini d'affari a servirsene e nel 1840 il giornalista tedesco Reuter, fondatore dell'omonima agenzia di informazioni e precursore di tutte le moderne agenzie di stampa, organizzò un regolare servizio postale con piccioni, in sostituzione della interrotta linea telegrafica frala Germania , la Francia e il Belgio.
La fama dei favolosi guadagni realizzati dal Rotschild con tale sistema, incitò altri uomini d'affari a servirsene e nel 1840 il giornalista tedesco Reuter, fondatore dell'omonima agenzia di informazioni e precursore di tutte le moderne agenzie di stampa, organizzò un regolare servizio postale con piccioni, in sostituzione della interrotta linea telegrafica fra
Maria
Stuarda, regina di
Scozia, vissuta nel 1500, durante
la sua prigionia durata circa 20 anni e conclusasi con la sua decapitazione per
volere della regina Elisabetta d’Inghilterra,
chiese di poterli allevare in gabbia per ingannare il tempo, di certo
senza attenzione alle loro caratteristiche di specie; anticipò in tal modo la
moderna legge che permette di tenere piccoli animali in carcere.
Questi volatili non sono stati messi in salvo neppure dal ruolo di vittime sacrificali.
La legge di Mosè prevedeva infatti il loro sacrificio come forma di espiazione
da parte dei poveri che, non potendosi
permettersi una pecora o un agnello, in umile alternativa potevano offrire a
Dio una coppia di tortore o di piccioni. Non è forse inutile soffermarsi per
qualche riflessione su questo fatto che diamo sempre per scontato perché di
cosiddetti sacrifici animali abbiamo sentito parlare dai banchi di scuola come
di usanza da accettare acriticamente, senza prendersi la briga di considerarne
la crudeltà . Bene lo fa con la sua prosa imbevuta di poesia Jose’ Saramago, premio Nobel per la
letteratura nel 1998 che, nel suo bellissimo libro “Il vangelo secondo Gesù
Cristo”, racconta dei volatili che vengono portati in coppia al tempio per
essere offerti in sacrificio dopo la nascita di Gesù per ripristinare la
purezza di Maria; di loro dice: “Non
sanno cosa li aspetta, anche se il sentore di penne bruciate e di carne che si
diffonde nell’aria non dovrebbe ingannare nessuno. Giuseppe li porta
rannicchiati nel palmo delle sue mani da operaio e loro, illusi, soltanto per soddisfazione
gli danno qualche beccatina alle dita ricurve a mo’ di gabbia, quasi volessero
dire al nuovo padrone “Meno male che ci hai comprato, vogliamo stare con te” ma
la pelle di Giuseppe è troppo dura per avvertire e decifrare il loro amorevole
alfabeto morse….Moriranno per riconoscere e confermare la purificazione di
Maria. Uno spirito voltairiano, ironico e irriverente, non si lascerebbe
sfuggire l’occasione di osservare che sembra sia condizione per mantenere la
purezza nel mondo il fatto che vi esistano animali innocenti”. Segue la
descrizione orribile del luogo privo di pietà, tutto un vociare, un gridare di
uomini e animali, sangue che scorre, gemiti, coltellacci, accette, seghe. E
Saramago aggiunge: “Qualunque
anima che non dovrà neppure essere santa, un’anima normale troverà difficile
capire come Dio possa sentirsi felice in mezzo a una simile carneficina,
essendo, come dice di essere, il padre degli uomini e delle bestie. Ma nessuno
presta attenzione a quello che succede, perché
quella dei volatili è solo una piccola morte”. Quindi, vittime
innocenti che vengono sacrificate per lavare le colpe dei colpevoli, condizione
che sembra una costante nella storia, indegna persino di decodficazione, perché
tutti sembrano trovarsi d’accordo su questa soluzione, in cui, a pagare la pena
per peccati non commessi, sono esseri privi di parola. E non è a mio avviso
lecito sentirsi rassicurati perché oggi non vengono più portate al tempio
vittime sacrificali, le vittime animali di ogni specie restano tali, uccise
negli infiniti macelli di tutti i paesi, che, in prossimità di ogni festa
comandata, amplificano a dismisura il loro lavoro.
Quindi usati come alimentazione, per i
sacrifici, come relatori di messaggi.
Ma non basta ancora: questi animali
vengono usati da secoli per un’altra
usanza assolutamente barbara, quella del tiro al piccione, che si è sviluppato a
partire dal 1700 con la diffusione dei fucili a pietra focaia, che aveva reso
più facile la caccia ai volatili. Divenne in breve tempo un divertimento per
i nobili, in Italia come in Russia e
negli altri paesi europei. Si organizzavano gare e in breve divenne uno sport (live-pigeon shooting) , che
inizialmente doveva servire come una modalità di allenamento alla caccia vera e
propria e poi si trasformò in una
pratica ludica autonoma. Cominciarono ad essere organizzate gare con variabili
più o meno divertenti quali l’uso di cappelli per coprire le buche, da cui poi
venivano fatti uscire i piccioni (Old
Hats Inn); in seguito la fantasia umana sia articolò ed inventò nuovi
divertimenti con l’introduzione di vari
tipi di handicap e di cassette e congegni meccanici, in sostituzione dei vecchi
cappelli. All’inizio il tiratore aveva a disposizione un solo colpo per volta,
poi si cominciarono ad usare fucili a due canne.
Essendo
considerato uno sport, si diffuse
nelle località balneari e climatiche, venne ospitato in circoli eleganti, e
divenne passatempo per il turismo d’elite. Famose, tra tutte, le gare a Montecarlo, a cui partecipavano
nobili di gran parte d’Europa, nobili che, bisogna ricordarlo, sono da sempre tradizionalmente dediti alla
caccia: e molto ci sarebbe da riflettere
sul rapporto caccia - guerra, nel senso
che è del tutto innegabile che la caccia sia una forma ritualizzata di guerra:
anche l’organizzazione di tipo militaresco che accompagnava questo “sport” (divise, regole ferree, diplomi…) rinforza il
parallelo.
Durante la Belle
Epoque era tra le discipline sportive meglio remunerate. Vale
la pena ricordare che le gare potevano prevedere che ogni tiratore sparasse a
1000 uccelli, con una media di oltre 100
uccelli uccisi ogni ora da ogni partecipante. Negli anni ’20 comparvero i primi
piattelli in sostituzione dei
piccioni, e i piccioni d’argilla, di rame,
o costruiti con bitume di catrame. Le
motivazioni erano esclusivamente di tipo economico: meno costosi. Se questo
salvò la vita a molti volatili non si può non notare come la loro reificazione
fosse completa: sparare a oggetti o a piccioni era considerato alla stessa
stregua e la scelta era dettata da pura convenienza, non dalla considerazione
che si aveva a che fare con esseri senzienti. Il tiro al piccione fu disciplina
olimpica nel 1906; nel 1930 a Roma fu
organizzato un campionato mondiale di tiro al piccione. Per altro accompagnato
da altre specialità quali il tiro allo storno, al passero, alla quaglia, con
nuove disposizioni che permettevano di sparare a questi volatili anche in tempo
di divieto. Furono addirittura organizzate gare di velocità e di resistenza: ammazzarne quanti più possibile, il
più velocemente possibile, fino a non poterne più.
In Italia
il tiro al piccione è stato finalmente abolito per legge l’11 febbraio
1992: sopravvive purtroppo in molti altri paesi, tra cui Spagna e Portogallo.
Altri elementi di conoscenza di questi animali sono collegati al simbolismo
che rivestono: e l’importanza dei simboli non può essere sottaciuta
, perché si tratta di strumenti che possiedono
una potente forza evocativa, catartica, comunicativa; suggeriscono invece di
dire e aprono orizzonti in cui le conoscenze si fondono con un modo particolare
di sentire. E’ grazie alla valenza di simbolo che l’oggetto
o, come in questo caso, l’animale,
assume particolare importanza, sta a significare molto più di ciò che è; ciò ha
luogo in contesti culturali che attribuiscono al simbolo un significato non
omogeneo a quello tipico di altri
contesti: in altri termini i simboli non
hanno valenza universale, ma possiedono un significato che può non essere affatto
condiviso al di fuori di una cerchia, più o meno ampia che sia. Noi ne sperimentiamo il potere senza
accorgercene, perché sono un mezzo per esprimere emozioni, sentimenti, realtà
interiori che si oggettivano in immagini descrittive e metaforiche.
La colomba ha assunto nel tempo il significato di simbolo di pace, perché nella tradizione cristiana si ricollega all’episodio della Genesi in cui si parla del diluvio universale: alla fine del diluvio fu proprio la colomba a tornare da Noè, portando nel becco un ramoscello d’ulivo a testimonianza dell’avvenuta riconciliazione fra Dio e il suo popolo, il che segnava la fine del castigo divino e l’inizio di una nuova epoca.
La colomba nella simbologia cristiana rappresenta altresì lo Spirito Santo. E’ inoltre simbolo di innocenza, per la sua forma semplice e perché bianca, colore dell’innocenza appunto. Colombe sono anche le anime dei fedeli nella vita eterna, perché nella nuova esistenza acquisiscono una nuova vita non contaminata dal peccato. Da qui deriva l’uso che è ancora in vita oggi in moltissimi paesi di liberare delle colombe bianche ai matrimoni. Anche se non così ubiquitaria, è un’abitudine presente anche in Italia, dove addirittura si possono noleggiare colombe e quindi restituirle dopo l’uso. Nemmeno questo ha messa al riparo questo animale da un’usanza barbara come quella in vita fino a pochi anni orsono a Orvieto, dove, il 15 agosto, una colombella veniva crocefissa su una sorta di disco su cui venivano poi fatti scoppiare dei petardi.
La colomba ha assunto nel tempo il significato di simbolo di pace, perché nella tradizione cristiana si ricollega all’episodio della Genesi in cui si parla del diluvio universale: alla fine del diluvio fu proprio la colomba a tornare da Noè, portando nel becco un ramoscello d’ulivo a testimonianza dell’avvenuta riconciliazione fra Dio e il suo popolo, il che segnava la fine del castigo divino e l’inizio di una nuova epoca.
La colomba nella simbologia cristiana rappresenta altresì lo Spirito Santo. E’ inoltre simbolo di innocenza, per la sua forma semplice e perché bianca, colore dell’innocenza appunto. Colombe sono anche le anime dei fedeli nella vita eterna, perché nella nuova esistenza acquisiscono una nuova vita non contaminata dal peccato. Da qui deriva l’uso che è ancora in vita oggi in moltissimi paesi di liberare delle colombe bianche ai matrimoni. Anche se non così ubiquitaria, è un’abitudine presente anche in Italia, dove addirittura si possono noleggiare colombe e quindi restituirle dopo l’uso. Nemmeno questo ha messa al riparo questo animale da un’usanza barbara come quella in vita fino a pochi anni orsono a Orvieto, dove, il 15 agosto, una colombella veniva crocefissa su una sorta di disco su cui venivano poi fatti scoppiare dei petardi.
Nella mitologia greca il
piccione era un animale sacro. Ma secondo la religione greco-romana i piccioni erano simbolo di Venere, dell’amore, perché
tubano e si picchettano: ancora oggi si usa la metafora del tubare e fare i piccioncini per riferirsi agli
scambi amorosi. Di conseguenza nel Cristianesimo sono a volte stati considerati
simboli di lussuria, in riferimento
al fatto che il
maschio corteggia la compagna, con quei caratteristici atteggiamenti che hanno
fatto elevare questi uccelli a simbolo dell'amore. Da questa danza amorosa per
altro esce unita la coppia, che, è interessante sapere , può mantenersi stabile
per l'intera durata della vita.
E non è forse un caso
che Dante ne parli nel V canto dell'inferno, nel cerchio dei lussuriosi, dove
di Paolo e Francesca dice “quali colombe dal disio chiamate”, con l'ali alzate
e ferme, al dolce nido vengono per l'aer dal voler portate".
L'INTELLIGENZA
DEI PICCIONI
Ci sono interessanti ricerche che danno atto che
si tratta di animali che hanno un’intelligenza tutt’altro che umile; le
conoscenze del passato sulle loro capacità sono state arricchite da altre
considerazioni, che però non diventano patrimonio comune perché di loro viene
evidenziato solo l’aspetto negativo. Da sempre è noto che sanno orientarsi
su distanze di centinaia di km; recenti studi (Ricerca dell’Università
di Keio in Giappone; rivista Animal Cognition; Mediterranean Institute of
Cognitive Neuro Science) dimostrano che possono incamerare e mantenere in
memoria per anni dalle 800 fino alle 1200 immagini; sono in grado di
riconoscere la propria immagine, come delfini ed elefanti; sono dotati di grandi capacità visive, che permettono
loro di riconoscere, addestrati a
farlo, un quadro di Van Gogh da uno di Chagall, Monet o Picasso, e poi
riescono trasferire la discriminazione ad altri dipinti degli stessi autori mai
veduti prima.
Che siano o meno intelligenti, secondo quelli che
sono parametri umani, è un dato di conoscenza, che nulla può avere a che fare
con il rispetto, nel senso che ogni specie è dotata di quel tipo di
intelligenza che è funzionale agli individui della specie stessa. E’ però non
privo di importanza il fatto che di questo si parli molto poco: è la stessa
cosa che si verifica in relazione a moltissimi altri animali, che non sono
conosciuti per sé stessi, ma solo grazie alla rappresentazione che ne viene
fornita. Non si tratta di un fatto casuale: rappresentare un animale con
caratteristiche negative è il modo di svalutarlo e, attraverso questa
svalutazione, rendere più facile il ruolo che vogliamo svolga nei nostri
confronti. Lo stesso meccanismo per altro è usato anche in relazione agli
umani, nei confronti dei quali, nel corso di infinite guerre, sono stati usati
appellativi tratti dal mondo animale per svalutare il nemico di turno e premettere
nei suoi confronti l’emergere di tutta quella aggressività e crudeltà, che sono
le condizioni per vincere una guerra.
Non è estranea a questo meccanismo la diffusione della convinzione che i piccioni siano portatori
di malattie, cosa che gli studiosi ridimensionano marcatamente rispetto a
quanto divulgato; ma tali constatazioni non sono sufficienti a smentire i luoghi comuni, che sono funzionali ancora
una volta a giustificare i nostri atteggiamenti aggressivi; per altro è vero
che, per esempio, sono molto più
pericolosi certi tipi di tartarughine
che invece, soprattutto in America, vengono regalate ai bambini, con buona pace
delle conseguenze.
FOBIE
I piccioni,
come molti altri animali, i gatti, i ragni possiedono un carattere perturbante
poiché non rappresentano solo sé stessi, ma rimandano a qualcosa di lontano, di
inconscio, dimenticato, come poco fa accennato a proposito dei simboli.
Sono di conseguenza oggetto privilegiato di fobie; occorre a questo
proposito distinguere il concetto di fobia da quello di paura. La paura è un meccanismo
importantissimo per la sopravvivenza, in quanto ci permette di cogliere la
pericolosità di certe situazioni e a comportarci di conseguenza, con
atteggiamenti di evitamento o di preparazione consapevole. L’ evoluzione stessa
ha selezionato in noi meccanismi di reazione alla paura, che precedono
l’analisi razionale, che per sua stessa natura e complessità, è più lenta e di
conseguenza meno efficace nell’immediato.
La fobia, invece, rimanda ad un timore irrazionale per oggetti o situazioni che non dovrebbero provocarne e che, proprio in virtù di questa irrazionalità, non scompaiono di fronte ad una prova di realtà; il fobico è consapevole dell’irrazionalità delle sue paure che però non è in grado di risolvere o tenere a bada. Le fobie sono cariche di significati simbolici, in quanto gli oggetti, ma soprattutto gli animali temuti, perché di loro in genere si tratta, rinviano in un modo più o meno deformato a una pulsione repressa.
La fobia, invece, rimanda ad un timore irrazionale per oggetti o situazioni che non dovrebbero provocarne e che, proprio in virtù di questa irrazionalità, non scompaiono di fronte ad una prova di realtà; il fobico è consapevole dell’irrazionalità delle sue paure che però non è in grado di risolvere o tenere a bada. Le fobie sono cariche di significati simbolici, in quanto gli oggetti, ma soprattutto gli animali temuti, perché di loro in genere si tratta, rinviano in un modo più o meno deformato a una pulsione repressa.
Sono ovviamente sintomi di un malessere, di un disagio interno che,
attraverso meccanismi di difesa dell’Io
(rimozione e spostamento) , viene trasferito su un oggetto esterno, che il
soggetto fobico ritiene più facile evitare. Il risultato è che il problema
reale viene rimosso, non viene riconosciuto, e l’oggetto o l’animale su cui
viene riversato viene considerato la somma di tutti i mali, viene investito di
significati negativi, viene disprezzato e temuto. Quindi invece di riconoscere
i propri limiti, si disprezza l’animale.
Perché si parli di vera e propria fobia ci deve
essere continuità: tutti noi normalmente ci spaventiamo se per esempio un
uccello vola improvvisamente a pochi centimetri dalla nostra faccia, ma il
fobico si spaventa anche se lo vede in televisione, è portato quindi a mettere in atto meccanismi e comportamenti
“di evitamento”, il chè ovviamente
finisce per limitare fortemente l’ambito esperienziale. Tra le moltissime fobie da cui è possibile
essere affetti (circa 600 diversi tipi) un posto di tutto rispetto è occupato
dalle
ornitofobie, vale a dire fobie degli uccelli, particolarmente diffuse soprattutto tra le donne. Tra queste quella dei piccioni è al primo posto. Entrano in gioco anche se si tratta di uccelli in gabbia, in televisione, al cinema o in fotografia e in genere cominciano a manifestarsi nei primi anni di vita. Si può argomentare che il timore sia collegato per esempio al fatto che volino e sono quindi poco controllabili, che possono arrivare dall’alto e non offrire scampo, che sono mobili e imprevedibili; o al fatto che sono dotati di becco: beccare è azione negativa, significa urtarsi, colpirsi; o ancora alla percezione di sporcizia a loro collegata, che è evidente nel riferimento allo “schifo” tanto comune nei discorsi sui piccioni, il chè rimanda ad un altro tipo di paura, quella appunto dello sporco (rupofobia) collegata a paure nella sfera della fisicità, sessualità, o a sentimenti di colpa. I piccioni nello specifico sono uccelli molto vicini, perché vivono negli spazi urbani, spesso alternano il volo al fatto di camminare e quindi la sensazione di pericolo è vissuta come tangibile; inoltre, a differenza per esempio della gallina che è chiusa nel pollaio, il piccione è libero, libero quindi, secondo l’inconscio, di fare del male. .
ornitofobie, vale a dire fobie degli uccelli, particolarmente diffuse soprattutto tra le donne. Tra queste quella dei piccioni è al primo posto. Entrano in gioco anche se si tratta di uccelli in gabbia, in televisione, al cinema o in fotografia e in genere cominciano a manifestarsi nei primi anni di vita. Si può argomentare che il timore sia collegato per esempio al fatto che volino e sono quindi poco controllabili, che possono arrivare dall’alto e non offrire scampo, che sono mobili e imprevedibili; o al fatto che sono dotati di becco: beccare è azione negativa, significa urtarsi, colpirsi; o ancora alla percezione di sporcizia a loro collegata, che è evidente nel riferimento allo “schifo” tanto comune nei discorsi sui piccioni, il chè rimanda ad un altro tipo di paura, quella appunto dello sporco (rupofobia) collegata a paure nella sfera della fisicità, sessualità, o a sentimenti di colpa. I piccioni nello specifico sono uccelli molto vicini, perché vivono negli spazi urbani, spesso alternano il volo al fatto di camminare e quindi la sensazione di pericolo è vissuta come tangibile; inoltre, a differenza per esempio della gallina che è chiusa nel pollaio, il piccione è libero, libero quindi, secondo l’inconscio, di fare del male. .
Una incredibile rappresentazione letteraria della fobia del piccione ci
viene offerta da Patrick Suskind (autore tedesco, famoso soprattutto per
il suo romanzo “Il profumo” da cui è stato tratto un film di discreto
successo) nel suo romanzo breve e forse poco noto, scritto nel 1987, che si intitola appunto “Il
piccione”, storia di un uomo derelitto, che ha subito molte ingiurie dalla
vita e ha imparato a difendersene ritirandosi in una vita sempre uguale,
ripetitiva, priva di relazioni, che lo rassicura proprio per la sua
prevedibilità. Ebbene, questa vita viene un giorno improvvisamente gettata
all’aria quando Jonathan, il protagonista, sulla porta del bagno vede un
piccione, finito lì chissà come. Queste sono le parole con cui lo descrive: lo fissava con il suo occhio sinistro,
piccolo disco circolare, marrone, con una punta centrale nero, era spaventoso a
vedersi. privo di ciglia, privo di sopracciglia, totalmente nudo, rivolto
all’esterno e mostruosamente spalancato senza decenza alcuna, ma nello stesso
tempo c’era in quell’occhio un che di riservato e di scaltro. Jonathan
trasale per lo spavento, gli si rizzano
i capelli per il terrore, scappa, si chiude in camera, vacilla si siede, tremante
con il cuore che gli batte selvaggiamente,
la fronte fredda come il
ghiaccio, il sudore che scorre. “Non puoi ammazzarlo ma non puoi vivere con
lui. Un piccione è la quintessenza del caos e dell’anarchia, un piccione
svolazza qua e là in modo inconsulto, ti artiglia e ti becca negli occhi,
sporca di continuo e diffonde batteri devastanti e virus della meningite, un
piccione non resta solo, attira altri piccioni, ha rapporti sessuali e si
riproduce con una rapidità folle, un esercito di piccioni ti assedierà,” “Più di tutto lo disgustava il fatto che
potesse entrare in contatto fisico con lui, che lo beccasse o che gli sfiorasse
con le ali le mani o il collo o addirittura che si posasse su di lui con le
zampe spianate ad artiglio. Quando sentì un batter d’ali secco e breve si sentì
invaso dal panico. Il piccione, l’orrendo animale, sarebbe stato lì ad
aspettarlo con le sue zampe rosse ad artiglio, circondato da escrementi e da
piccole piume vaganti, con il suo terribile occhio nudo e sbattendo le ali con
strepito avrebbe cominciato a volare e avrebbe sfiorato lui con la sua ala….”
Ci sono tutti gli elementi della fobia: irrazionale, assoluta, delirante.
Un animale del tutto innocuo diventa il luogo delle proiezioni di tutto il
malessere psichico da cui è inondato il protagonista. Diventa quindi
minaccioso, spaventevole, orrendo, bisogna scappare, ma non c’è scampo.
|
Molto interessante, come sempre, grazie Annamaria.
RispondiEliminaGrazie Caterina per il sostegno!
EliminaCaro Roberto, quelle degli animali che si mutilano pur di non restare prigionieri è una di quelle realtà che, tra le tante, tolgono il fiato. E mostrano noi stessi allo specchio. Grazie per essere sempre attento a tutto quello che va succedendo.
RispondiEliminaDovremmo imparare ad amare tutti gli esseri viventi anche quelli che destano in noi repulsione, paura o ribfezzo.
RispondiEliminaO meglio ancora, se ci riusciamo, a non provare affatto paura e ribrezzo!
EliminaGrazie del commento Paolo.
Buona sera, non so definirle il mio rapporto con i piccioni: sin da piccola quando ne vedevo uno morto per strada rimanevo sconvolta per giorni e avevo difficoltà a dormire poiché temevo fmdi ritrovarmi quei corpi decomposti sotto alle lenzuola. Mi capitava spesso di sognarlo (anche le galline, dal posteriore in giù, decomposti nel letto o nella vasca da bagno), ora di rado, secondo lei, cosa potrebbe esserci dietro a questo fastidio? Grazie in anticipo
RispondiEliminaNon è mai facile definire l'origine di disturbi in assenza di informazioni precise. Esiste comunque un problema di fobia degli animali che pare in qualche modo staccata dagli avvenimenti della vita. Qui ci si inltra in un discorso complicato sull'inconscio collettivo.
RispondiEliminaDa piccolo li allevavo, da liberi (nel senso che non stavano in gabbia, ma ricorrevano a me, nella tettoia della mia finestra sul cortile, perché ero il loro sostegno quotidiano per cibo e acqua). I più socievoli e coraggiosi superavano il limite della comprensibile diffidenza, e si posavano sulle mie mani. Una volta ho anche salvato un piccione variopinto orrendamente mutilato da qualche sadico che voleva impedirgli di fare la cosa per lui più naturale, volare: gli erano state amputate le remiganti con le forbici. Si chiamava Rodolfo, e mi riconosceva come il suo amico umano, mi seguiva come un cagnolino... Si era conquistato l'affetto dei bambini del vicinato, che lo chiamavano - vociando - "Rodolfo! Rodolfo!"... Inutile dire che, negli anni della mia meravigliosa infanzia tra i piccioni, non mi sono mai beccato un pidocchio o una pulce, né tanto meno meningite o altre pestilenze. Quando, di rientro da una vacanza estiva, ansioso di rivedere il mio amico, scoprii che non si faceva vedere da alcuni giorni, e capii che non sarebbe più tornato, fu un vero trauma. A qualcuno potrebbe sembrare un paragone azzardato e esagerato, ma per me - bambino sensibile che, come un piccolo San Francesco, entrava in sintonia con gli uccelli - fu come rivivere l'abbandono di mio padre, che era venuto a mancare improvvisamente qualche anno prima... Da allora - ogni volta che sento parlare dei piccioni come animali schifosi, da evitare perché portatori di malattie - ripenso ai miei amici alati (abilissimi ed eleganti volatori, corteggiatori superbi, affettuosissimi con la prole) e provo un motto interiore di disgusto, di ribellione. E mi torna in mente Rodolfo, l'amore incondizionato che sapeva dare, senza chiedere niente in cambio, se non cibo, acqua e compagnia, tubando rumorosamente quando mi vedeva o, semplicemente, invadevo i suoi spazi. Non credo che riuscirò mai a capire la cattiveria gratuita, o soltanto il "pregiudizio", che l'uomo riserva alla natura. Gianluca
RispondiEliminaGianluca, è bellissimo quello che scrivi. Grande testimonianza in prima persona. Grazie
RispondiEliminaBuonasera Annamaria...un mese fa ho trovato un piccione che stava in disparte di fronte alla vetrina del fornaio perché aveva un'ala evidentemente fratturata...sono riuscita a catturarlo e per fortuna ho trovato un veterinario disposto a seguirlo...è un mese che me ne prendo cura e finalmente 2 giorni fa il veterinario ha tolto la fasciatura...ho allestito per la "riabilitazione" la stanza che uso come studio, rivestendola con teli da pittore ...non so se riprenderà a volare...spero tanto...le scrivo perché il suo articolo oltre che interessante é davvero profondo e da voce a tutta una serie di pensieri "di pancia" che ultimamente volontariamente o involontariamente sto sempre piu' sviluppando.Rispetto per ogni essere vivente...nella vera essenza di Vita molto spesso succede siamo noi uomini di molto inferiori a chi consideriamo inferiore...
RispondiEliminaSmettere di considerare alla stregua di "cose" tutti gli esseri che vivono con noi su questo pianeta sono sicura che
gioverebbe tantissimo alla nostra specie.
Noi ci sentiamo al centro dell'universo solo perché da soli qui ci siamo messi...ma è una posizione che non ci giova e ci fa vedere distorte molte e molte realtà.
Ho trovato il suo articolo per una sorta di "sincronicità "cercando notizie sulle ali dei piccioni...grazie di cuore!!!
Grazie Annalisa. Inutile dire che condivido quello che scrivi. Visto che sei entrata in questo mio blog, penso che troverai tantissime cose in sintonia con i tuoi pensieri: mi occupo, qui, quasi esclusivamente della questione animale, nelle sue interrelazioni con la questione umana!
RispondiEliminaBuonasera, sono la regina dei piccioni. L'ho scoperto oggi in via definitiva e qualche giorno fa come battuta autoironica. Convivo con la fobia dei volatili da quasi tutta la vita, dunque da 4 decadi sicuramente. Sono certa di avere, in questo momento, due piccioni appollaiati alle mie persiane, per trascorrere la notte. Sono convinta che gli umani siano dotati di magnetismo o qualcosa che comunica agli altri profondità nostre. Insomma, dove vado io arrivano loro, vivo a Bologna, quindi piazza Maggiore sarebbe off limits per me. Ho pensato di sedermi sui gradoni di Sala Borsa, non l'ho fatto perché tenevo il loro arrivo. Sono rimasta in piedi, dopo 10 secondi arriva un bel gruppetto di piccions lì dove avrei voluto sedermi io. Se non è amore questo.. Li trovo bellissimi, con il loro collo cangiante, intelligenti e rispettosi, ci cediamo il passo a vicenda quando ci incontriamo per la strada. Sono divertenti e hanno un'aria troppo simpatica. Mi spiace avere questa fobia e mi spiace sapere che molte persone li disprezzano, li chiamano bestiacce schifose, per me sono i miei amatissimi nemici. Ho messo dei fogli di stagnola sui davanzali e delle ciotole col pepe, dicono che così stanno lontani. Ciò nonostante al calar del sole si piazzano sulle persiane, ho anche paura di muoverne una per il terrore che lui o lei possa entrarmi in cucina dalla finestra. Mia madre al telefono stamattina mi ha detto che sono i miei guardiani e io ci voglio credere. Grazie per avere scritto questo articolo, prima o poi andrò a vedere cosa nasconde la mia fobia. Lunga vita ai piccioni. Rita
RispondiEliminaBeh Rita che dire? Sembra un racconto di fantasia. Comunque bello.
RispondiEliminaLi ami e li temi, li fuggi e li cerchi. Come tante cose della vita...
Grazie infinite, Annamaria
EliminaGrazie Annamaria... Io adoro tutti gli animali ma verso i piccioni ho un amore incondizionato... Ne ho salvati tanti e continuerò a farlo. Ogni mattina lascio solo del pane. Sono creature molto timide e sensibili... Poverini.. Sempre odiati.. È non se lo meritano
RispondiEliminaGrazie a te Unknown per la tua delicatezza
EliminaAdoro i colombi che sono stati sempre la più dolce e simpatica compagnia della mia vita.... ne ho soccorso diversi e con vari problemi e liberarli dopo è stato bellissimo.... sono veramente creature intelligentissime e sensibili Vincenzo
RispondiEliminaCapisco la tua soddisfazione: grazie Vincenzo per averla condivisa
EliminaCreature sensibili e ricche di sentimenti. Max
RispondiEliminaE' bello, Max, che ci sia chi è in grado di vederle queste doti
Elimina