INTERVISTE

EDUCARE ALL'AMORE VERSO GLI ANIMALI: UNA PRIORITA' IRRINUNCIABILE

Intervista ad Annamaria Manzoni

Pubblicato il da ilbattitoanimale

IL blog ilbattitoanimale, impegnato a contribuire per la divulgazione di una cultura della vita al di la delle specie, è onorato di ospitare su queste pagine le preziose dichiarazioni della dottoressa Annamaria Manzoni.

Psicologa e psicoterapeuta, saggista, impegnata nell’ambito degli studi e delle ricerche che mettono in relazione la violenza sugli animali in tutte le sue forme con quella praticata dagli umani sui propri simili.

Autrice di libri che oltre a trattare il tema suindicato, affrontano anche l’esperienza del legame affettivo che lega gli umani agli animali, e di come questo sia anche alla base dello sviluppo di sentimenti di cura e di empatia verso il prossimo.

 

 

D: Dottoressa Manzoni, intanto grazie per aver accettato di dedicarci parte del suo tempo per mettere a disposizione di chi ci legge la sua professionalità e la sua umanità.

Dunque, esiste una relazione fra violenza praticata sugli animali e quella esperita fra umani, e quindi all’interno della nostra specie?


 


A.M. "E’ una relazione di cui finalmente si torna a parlare: non è certo una scoperta, ma se mai una riscoperta, visto che a trattare di questo argomento sono stati poeti, scrittori, filosofi a partire almeno da 2000 anni fa quando Ovidio nel primo secolo a.C. affermava che “la crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà contro gli uomini
”. Nel corso dei secoli lo hanno ribadito intellettuali che rappresentavano non il pensiero dominante, ma un pensiero minoritario, non per questo meno valido. Molti ignorano che anche politici italiani, quali Giuseppe Zanardelli e Filippo Torriggiani, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, hanno fatto affermazioni avanzatissime dal punto di vista della consapevolezza del link che unisce violenza inter e intraspecifica, mettendo in guardia dal pericolo di una atrofizzazione della sensibilità insito nel maltrattamento dei nonumani.

 

La consapevolezza di cui si mostrano portatori è tale da fare impallidire i nostri attuali legislatori, nella grande maggioranza dei casi indifferenti ad un problema di cui dovrebbero invece farsi carico con adeguato senso di responsabilità. Un giornalista e scrittore ambientalista, Kieran Mulvaney, afferma che “se fossimo governati da persone di buon senso, la protezione degli animali rientrerebbe tra le priorità di ciascuno”.

 

Gli psicologi, poi, essenzialmente negli ultimi trenta anni, hanno preso atto di questo legame, parlandone in modo inequivocabile anche in uno dei testi fondamentali di riferimento quale è il Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali: tra i criteri per diagnosticare il Disturbo della Condotta e il Disturbo Antisociale di Personalità, la crudeltà contro gli animali è equiparata a quella sugli umani"

 

 

D: Caccia, pesca, circhi, vivisezione, macelli, allevamenti, gabbie, pellicce, sagre, combattimenti; se, come sosteneva Gandhi, il valore di una civiltà si misura da come tratta gli animali, viste le sevizie atroci che infliggiamo ad altre specie viventi (associate sempre ad una giustificazione ideologica, scientifica, alimentare), la nostra società dovrebbe dunque possedere un livello evolutivo estremamente basso.

Lei che ne pensa?

 

A.M. "Di sicuro lo stato delle cose è terribile e i nonumani sono, tra tutti gli esseri senzienti, quelli che portano il peso delle maggiori sofferenze, inflitte per sadismo, per indifferenza, per abitudine, ma soprattutto all’interno di uno stato delle cose in cui il loro sfruttamento e la loro uccisione sono sviliti a non-problema. Se le leggi pongono o cercano di porre argini all’esondare di comportamenti crudeli agiti da singoli individui, il problema vero è quello delle tante forme in cui la violenza, lungi dall’essere stigmatizzata, è legale, costituisce il nerbo stesso della nostra convivenza dove il nutrirsi di animali è considerato, per usare le definizioni usate dalla psicologa Melanie Joy, normale, naturale, necessario.

 

Da una parte vanno realizzandosi progressi se pure lentissimi: il progredire della civiltà induce ad interiorizzare la convinzione che gli esseri senzienti sono depositari di diritti, lo sono gli uomini, e poi sono stati prese in considerazione le donne, in seguito i bambini, gli omosessuali, i portatori di handicap (tutte “categorie a parte” rispetto agli uomini!!!!)

 

Non è certo un caso che i diritti degli animali non abbiano possibilità di affermazione dove non sono rispettati quelli umani: si dà per scontato che in paesi di dittature totalitarie, di regimi sanguinari siano riservati agli animali trattamenti che ci fanno inorridire. Specularmente, lo sviluppo di un pensiero “civilizzato” può aprire strade prima impercorribili. Non è certo una strana coincidenza che negli Stati Uniti d’America il 1865 abbia visto l’abolizione della schiavitù, con la ratifica del Tredicesimo Emendamento, e nel 1866 abbiano preso vita le prime associazioni per la protezione degli animali.

 

L’ombra lunga si sta allungando coinvolgendo anche i diritti dei non umani. Ma è contestualmente vero che , dall’altra parte, le forme di violenza istituzionalizzate, prima fra tutte quella agita nei macelli, stiano raggiungendo numeri stratosferici in virtù della industrializzazione, delle macellazioni a catena di montaggio ; senza che grande parte della popolazione arrivi a prendere atto che non basta che un’azione sia legalizzata perché smetta di essere violenta, crudele, inaccettabile"

 

 

D: Osservando l’innato interesse che i bambini molto piccoli dedicano agli animali, i quali non vedono di certo “cibo”, in un agnellino, in un maialino o in un cavallo, quali strategie educative si possono adottare affinché fin da bambini si continui a sviluppare e sostenere un sano legame affettivo fra cuccioli umani e cuccioli animali?

 

A.M. "Qualunque tipo di educazione passa non tanto dalle teorie, quanto piuttosto dalla proposta di modelli: la naturale attrazione nei confronti dei nonumani da parte dei bambini è una risorsa enorme, una ricchezza da coltivare, prova provata che gli animali sono cablati nelle profondità stesse della nostra coscienza, da cui esercitano un richiamo, un incanto, una lusinga che i bambini sono pronti a recepire. I bambini non vivono però sotto vuoto, ma all’interno di contesti sociali, e prima ancora familiari, in cui respirano l’aria che è data loro da respirare. Gli adulti trasmettono ciò che sanno e ciò che sono: tante volte propongano comportamenti abitudinari, ritenendoli unica opzione possibile, anzi: senza neppure interrogarsi al proposito. Vi sono famiglie in cui i pet siano oggetto di violenze ed è facile capire come stiano insegnando ai propri figli che è così che ci si comporta con chi dipende da noi, perché è più debole, perché ci è affidato. Ma vi sono casi che veicolano messaggi più striscianti; pensiamo banalmente a case in cui siano tenuti degli uccellini in gabbia, oppure cani alla catena, o pesci nelle bocce. Animali che desiderano e meritano una vita di libertà sono costretti a spazi angusti, sono immobilizzati, negati nelle loro propensioni e nei loro desideri. Il tutto nell’indifferenza generale e nell’abitudine a misconoscere ogni segnale di sofferenza, di cui viene data una lettura di comodo, divergente da quella corretta. Vengono così inoltrati e sostenuti principi di prepotenza, di insensibilità, di non rispetto che finiscono per incistarsi nei pensieri dei bambini, i quali nella grande maggioranza dei casi non coglieranno la violenza implicita in quelle situazioni e saranno indotti ad interpretare la prepotenza in atto quale normale norma di comportamento. Grande insegnamento di insensibilità, che va plasmando le coscienze.

 

Pensiamo poi, ancora per esemplificare, come la pesca, cosiddetta sportiva, sia ancora oggi considerata attività pacifica, bucolica, tranquillo complemento ad una giornata immersi nella natura. Anche in questi casi i bambini possono essere invitati a condividere il piacere di sperimentare la canna da pesca, recente regalo del nonno o dello zio, e educati a “pescare”, vale a dire cercare di catturare pesci che, con l’amo in bocca, si dibattono in cerca di salvezza mentre soffocano nell’aria. Ecco: la soddisfazione dei grandi che plaudono all’impresa del pescatore in erba e lo sollecitano a misconoscere il tormento del pesce, a rispondere con gioia alla sua prolungata agonia, è implicita terribile scuola di insensibilità.

 

Un file enorme si apre poi a proposito dell’alimentazione: i genitori tendono a proporre e riproporre ai propri figli le proprie abitudini e convinzioni: è quindi “normale”, in società carniste come lo è la nostra, che i bambini vengano cresciuti mangiando animali: senza che ne abbiano la minima consapevolezza, come dimostrano le tante ricerche che affermano che, a cinque anni, la grande maggioranza di loro non è cosciente che il cibo che ha nel piatto è un animale.

 

D: Può dirci qualcosa sul documento degli psicologi in merito alle valenze antipedagogiche del circo e di altre forme di sfruttamento animale? I princìpi che sostanziano questa iniziativa e soprattutto se ha prodotto qualche visibile effetto auspicato.

 

Il documento parte proprio dalla considerazione che gli psicologi, per formazione e per dovere, hanno l’opportunità e il compito di occuparsi e preoccuparsi di formazione, di educazione, di decodificare anche i tracciati meno evidenti attraverso cui vengono trasmessi valori e contenuti: non dovrebbero quindi astenersi dal prendere in considerazione le conseguenze di atti e abitudini che , spacciati per normali, comportano invece atteggiamenti forieri di misconoscimento delle emozioni e dei sentimenti di chi si ha di fronte.

 

In questa ottica, situazioni in cui i nonumani sono costretti a sottomettersi a chi è più forte, a comportamenti che negano le loro propensioni e sono fonte di grande o grandissima sofferenza, devono essere decodificate nei loro effetti e nelle loro conseguenze sul piano educativo. E’ grave che siano invece considerate fonte di divertimento per i più piccoli, perché in questo modo va in onda un’educazione alla non empatia, empatia, che invece, giova ricordarlo, dovrebbe essere alla base dell’educazione stessa perché è competenza prosociale, fondamentale a suggerire comportamenti di rispetto, imprescindibili se si ha a cuore la formazione di società e contesti in cui l’attenzione ai diritti degli altri sia la bussola che orienta le scelte. I circhi che sfruttano animali, gli zoo, le sagre che li umiliano sono un concentrato tossico di cattiva educazione.

 

Il documento, sottoscritto da personaggi davvero illustri del panorama culturale dei giorni nostri, viene spessissimo citato e usato al fine di dare vita a riflessioni e doverosi cambiamenti: purtroppo finchè la politica si manterrà così timida davanti ai compiti che le competono, così indifferente anche al cambiamento di sensibilità che sta attraversando la nostra società, non potranno cessare queste forme di tortura sugli animali. Anche una ben diversa coscienza, che tiene lontane sempre più persone da contesti del genere, viene bypassata dai lauti contributi che governo dopo governo i nostri politici si ostinano ad elargire. Il documento degli psicologi si affianca a quello di un’altra categoria professionale, quella dei veterinari: la Federazione Veterinari Europei nel 2014 ha chiesto la fine dell’impiego di animali nei circhi, perché condizione insostenibile sulla scorta delle loro caratteristiche etologiche. In sintesi, come dicono i veterinari, gli animali non lo possono sopportare; come dicono (alcuni) psicologi la sofferenza che ne consegue getta le sue ombre lunghe anche sui fruitori bambini"

 

 

D: Lei è anche autrice di interessanti libri sui temi che stiamo affrontando. A quale dei suoi lavori editoriali è più affezionata? E quale, fra loro, riassume al meglio il messaggio che lei diffonde con rigore e serietà?

 

A.M. "Amo tanto Noi abbiamo un sogno, lo amo specularmente alle tantissime attestazioni di affetto che mi sono arrivate da chi me lo ha descritto come leva decisiva nella propria vita nello smantellare tanti meccanismi autoassolutori che siamo soliti mettere in atto nelle pratiche di vita che i nonumani sono costretti a pagare a causa nostra. Il fatto che sia stato diffuso in Messico, nell’edizione spagnola, e che ne sia stato tratto un filmato, La nostra specie, ne ha poi ampliato la risonanza.

Si è comunque ritirato un po’ sullo sfondo mentre, andando avanti a scrivere, tante altre dinamiche andavano disvelandosi anche ai miei occhi, permettendomi di arrivare a sistematizzare il discorso, a mio avviso fondamentale, della violenza con Sulla cattiva strada.

Che dire? Qualcuno mi ha mandato la foto di uno dei miei libri portato con sé in barca d’estate, per non staccarsene, qualcuno mi ha detto di tenere sempre sul comodino una copia di un altro. Insomma: mi danno molte emozioni, o forse a darmele sono i miei lettori, a cui sono affezionata come loro mi dicono di esserlo a me"

 

 

D: Dottoressa, grazie ancora per il tempo che ci ha dedicato. Può concludere con un auspicio, un annuncio, qualcosa che riassuma e riepiloghi l’estrema importanza degli argomenti trattati.

 

A.M. "Con Josè Saramago, con Anna Maria Ortese, non posso che dire che questo mondo è sbagliato, non imperfetto: sbagliato. Un’inversione di rotta è non auspicio, ma necessità profonda, perchè la sofferenza enorme, ubiquitaria, estrema, ingiusta degli animali, umani e nonumani, rende il mondo così come è indegno di essere vissuto"

 

 

Grazie ancora per la sua gentilezza. Buon lavoro e tanti in bocca al lupo per le sue attività.

Naturalmente senza che crepi nessun lupo.

 

A.M. "Lunga vita a tutti i lupi!"

 

A presto.

 

A.M. "A presto!"


http://ilbattitoanimale.over-blog.com/2017/04/educare-all-amore-verso-gli-animali-una-priorita-irrinunciabile.intervista-alla-dottoressa-annamaria-manzoni.html







A proposito di chi lavora nei macelli: intervista a Radio.veg.it



https://podcastgen.radioveg.it/media/2019-11-12_chiaro_e_scuro_01_save_movement_integrale.mp3






 

 

 INTERVISTA A TANA LIBERI TUTTI  15 febbraio 2020


Abbiamo intervistato Annamaria Manzoni e la ringraziamo molto per la sua gentilezza e la sua disponibilità nel rispondere alle nostre domande. Annamaria è una psicologa impegnata da molti anni sui temi dei diritti degli animali e sulla relazione tra animali umani e animali non umani. Maggiori indicazioni sul suo lavoro le potete trovare qui:
www.annamariamanzoni.it
Grazie Annamaria!
Buona lettura!

1. Quando sei diventata vegana e perché?
Allora, se dovessi rifarmi alla famosa tripartizione di Tom Regan, che vede lo sviluppo di una coscienza animalista e vegetarista avere inizio da input e posizioni diverse (lui parla di vinciani, damasceni e temporeggiatori), io mi riconosco in una posizione vinciana dal punto di vista delle convinzioni, nel senso che da sempre, o per lo meno dal momento a cui risalgono i miei ricordi, ho sentito forte in me empatia e solidarietà verso gli altri animali e senso di rivolta verso ogni prepotenza nei loro confronti; ma c’è voluto tempo perché capissi che la risposta, per quanto osteggiata dal clima culturale assolutamente dominante e pervasivo, non poteva prescindere dal rifiuto totale a mangiarli; ancora più tempo per abbracciare una filosofia di vita totalmente vegana. In sintesi, diciamo vegetariana da una trentina d’anni, vegana da una quindicina. A mia discolpa per i lunghi tempi impiegati posso solo ricordare che trenta anni fa si era ancora molto soli in questo genere di scelte, vale a dire circondati da incomprensioni, insofferenza, critiche a tutto tondo; ma soprattutto erano molto poco diffuse le teorie di riferimento e questo si traduceva nella necessità di fornire costantemente “giustificazioni” alle proprie scelte con il ricorso a spiegazioni articolate, che scalzassero quelle che erano considerate verità inattaccabili, sorta di dogmi sdoganati in luoghi comuni; e le spiegazioni dovevano essere elaborate “in proprio”, senza quei riferimenti autorevoli che oggi sono a disposizione di chiunque, e che rimandano ad uno scandagliamento a 360° della questione animale, esaminata da prospettive etiche, filosofiche, etologiche, biologiche, psicologiche, giuridiche.

2. Quali sono i teorici/pensatori dell’antispecismo e/o del veganismo etico che hanno avuto maggiore influenza sulle tue idee e sul tuo modo di pensare?
Dopo tante letture non è facile distinguere l’origine di ogni pensiero e teorizzazione, che vanno a formare una sorta di summa mentale, sfaccettata, composita. Va tenuto presente quello che ho già detto, vale a dire che è stata la sensibilità nei confronti degli altri animali ad aprirmi gli occhi: significa che ogni immagine di violenza su di loro parlava da sola di prepotenza e di ingiustizia, di nonviolenza come necessità in ogni relazione, nessuna esclusa. Gli autori che hanno via via aggiunto tasselli di comprensione sono stati tanti, tanti i libri in qualche punto illuminanti: tra gli altri quelli di Leone Tolstoj (Contro la caccia e il mangiar carne), Jim Mason (Un mondo sbagliato), Tom Regan (Gabbie vuote), Charles Patterson (Un’eterna Treblinka), Mark Howthorne (Bleating hearts), Matthieu Ricard (Sei un animale), Melanie Joy (Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali, indossiamo le mucche) …

3. Quali sono, nella tua visione, le idee cardine del pensiero antispecista e/o del veganismo etico?
Io mi ritrovo essenzialmente nella convinzione che la strada maestra sia quella della nonviolenza, che si esprime sia nell’approccio che nella strategia. Se l’ideale di vita è quello di un mondo pacificato, tutte le forme di violenza e di sfruttamento devono essere contrastate, nessuna esclusa. E’ necessario anche raggiungere una consapevolezza matura al proposito, vale a dire che tutte le forme in cui la crudeltà si esprime sono collegate l’una all’altra, per quanto il link molte volte non sia immediatamente percepibile. Un tempo erano le convinzioni dei pacifisti a sostenerlo: Gandhi, Capitini, Marcucci, Schhweitzer; oggi sono tanti gli studi scientifici che mettono in luce le interconnessioni tra tutte le manifestazioni di crudeltà. Vale la pena citare un mastodontico studio al proposito di Stephen Pinker, “Il declino della violenza”, che, attraverso una quantità immensa di dati, lo illustra in modo esemplare. E che si situa sulla linea di altri studi imperniati sull’altra faccia della medaglia, vale a dire sull’empatia, quali “L’età dell’empatia” di Frans de Waal, e “La civiltà dell’empatia” di Jeremy Rifkin. Superfluo aggiungere che il termine pacifico non ha nulla a che spartire con la passività, il buonismo o l’arrendevolezza. Se la lezione di Gandhi, che non arretrava di un passo rispetto alla rivendicazione delle proprie istanze, insegna, sono tanti gli altri riferimenti esemplari: da Pietro Pinna, obiettore di coscienza che non si sottrasse al carcere nel coerente rifiuto di prestare servizio militare e pose il primo tassello verso la sua abolizione, a figure quali Franco Basaglia, che riuscì a scardinare le basi di un’istituzione oppressiva e repressiva quale quella dei manicomi. E si potrebbe continuare all’infinito citando Malala, adolescente pakistana che si appella a solidarietà, compassione e giustizia nella sua lotta contro le enormi ingiustizie del suo paese; a preti in prima linea contro le mafie quali don Puglisi e don Diana; a tutti i dissidenti che, in parti diverse del mondo, rompono la compattezza del muro di illegalità morale che si trovano davanti, in genere pagando spaventosi prezzi personali; per concludere con la giovanissima Greta Thunberg e la sua pervicace pretesa di giustizia per il pianeta.

4. Quale pensi sia stato il tuo principale contributo al pensiero antispecista e/o del veganismo etico?
Sono psicologa: i miei articoli e i miei libri sono scritti nella prospettiva che mi è propria. Dall’inizio, nei miei scritti ho applicato alla comprensione della relazione umano-nonumano le stesse categorie di pensiero usate dalla psicologia per decodificare le relazioni intraspecifiche, tra gli umani: nel 2006, quando venne pubblicato il mio “Noi abbiamo un sogno”, l’approccio era relativamente nuovo e destò grande interesse. Mettere in luce, per esempio, i meccanismi di difesa che permettono agli umani di fare del male ai propri consimili senza esserne consapevoli e senza sperimentare il senso di colpa conseguente, e poi evidenziare il chiaro parallelo con le strategie messe in atto nei confronti degli altri animali permette di acquisire fondamentali consapevolezze. Dai lettori del saggio è arrivato un feed back importante: andavo a toccare dinamiche in cui tutti potevano riconoscersi e questo significava avere a disposizione categorie per interpretare il proprio e l’altrui atteggiamento nei confronti dei nonumani. In tantissime altre situazioni l’approccio psicologico è risultato illuminante: nel portare alla conoscenza il valore simbolico del cibo, nel rilevare la potenza del linguaggio, nell’applicare alle relazioni interspecifiche il concetto di banalità del male, nel parlare di controllo e discontrollo delle emozioni.
Il mio documento sulle ricadute negative, dal punto di vista di una pedagogia che metta al proprio centro l’empatia, di tutti gli spettacoli basati sull’abuso degli animali, a partire dai circhi, è condiviso e sostenuto da nomi importantissimi del panorama psicologico nazionale e internazionale
http://annamariamanzoni.blogspot.com/p/documento-psicologi.…

5. La riflessione sull’antispecismo e sul veganismo etico è spesso caratterizzata da contrapposizioni piuttosto forti che, in alcuni casi, si spostano dalla discussione sui temi alla focalizzazione su specifici punti di vista e talvolta sulla singola persona. Qual è la tua opinione in proposito?
Le dinamiche all’interno del mondo animalista e antispecista non si discostano purtroppo un gran chè da quelle che caratterizzano tutte le altre realtà: dopo una fase iniziale in cui sono stati messi a fuoco problemi, obiettivi di massima, strategie è successo quello che succede per esempio nel mondo politico: le formazioni, nel senso di gruppi e associazioni, si sono moltiplicate all’ennesima potenza, di certo a volte per motivi storici o geografici, vale a dire perché i gruppi si sono formati e sono cresciuti intorno ad un nucleo abbastanza identificabile e ricostruibile, oppure, per quanto riguarda le piccole associazioni, in funzione della vicinanza, che creava le condizioni per una reale e fattiva collaborazione. E fin qui tutto bene.
I problemi cominciano a definirsi quando le associazioni smettono di collaborare l’una con l’altra e la reciproca squalificazione prende a dilagare. In alcuni casi l’ostilità si esprime anche solo ignorando le iniziative proposte da altri, il chè equivale ad affossarle, facendo mancare un fondamentale sostegno.
Decisamente peggio vanno le cose quando l’attacco è diretto, insultante. Il desiderio di prevalere, di essere più bravi, più famosi, di avere più successo finisce per farla da padrone e per oscurare persino le questioni, per quanto enormi, di cui ci si sta occupando. Niente di nuovo sotto il sole: Freud definiva “narcisismo delle piccole differenze” il nocciolo di questa dinamica, che ben conosceva e riconosceva come attiva anche tra le varie società psicoanalitiche: siamo in buona compagnia, a quanto pare! I “nemici” finiscono per essere riconosciuti non in quelli che sostengono posizioni inconciliabili con le proprie, ma in quelli simili a sé perché è con loro che il confronto è più rischioso, in quanto capace di offuscare il nostro primato: se, nelle cose di cui ci stiamo occupando, un altro ha avuto un’idea più brillante, un’iniziativa di maggior successo, mobilita reazioni poco nobili, dettate da un amor proprio ferito anche se ammantate da giustificazioni diverse: si finisce così per considerare nemico chi fino a poco tempo prima era compagno di strada. E’ sempre Freud a rilevare che ogni relazione stretta contiene un fondo di ostilità, di cui non si è in genere consapevoli perché rimossa: è questa che poi viene alla luce e si concretizza. E, per inciso, lo stesso Freud riteneva che ogni relazione stretta contiene ambivalenze e finiva per osservare, anche in base all’esperienza con il suo cane Jofi, che solo l’amore uomo-cane è davvero puro, totalizzante, immune da tali ambivalenze.
In sintesi a volte l’aggressività, espressione appunto di questo genere di dinamiche, serve a difendere il proprio piccolo o grande orticello, minacciato da chi potrebbe risultare “un po’ più bravo”: attaccarlo, isolarlo, criticarlo sono i mezzi per arginare la sua pericolosità. Con buona pace per i nonumani che in tutto questo sembrano scomparire dalla nostra vista e soprattutto dal nostro interesse.
Assolutamente doveroso chiarire che tutto quanto detto riguarda solo una parte del problema, presa in considerazione da una prospettiva psicologica; ben altra questione è quella riferita all’esistenza di differenze sostanziali nella filosofia di base di varie associazioni, che su alcune questioni davvero sono impossibilitate a trovare un terreno comune. La più macroscopica è, per esemplificare, quella tra i sostenitori del cosiddetto benessere animale e chi parla invece di liberazione animale. Per chi fosse interessato, la questione, che ritengo di enorme importanza è analizzata sul mio blog
http://annamariamanzoni.blogspot.com/…/benessere-animale-ch…


6. Educazione e animali. In base alla tua esperienza, come dovrebbe avvenire una corretta educazione degli animali umani per quanto riguarda la relazione con gli animali non umani?
Questione fondamentale: siamo quello che siamo in minima parte per le nostre caratteristiche genetiche, in massima parte per quello che siamo diventati in virtù dell’ambiente in cui siamo vissuti, del clima familiare che abbiamo respirato, del contesto culturale che ci condiziona costantemente (si veda anche il libro “Tra cuccioli ci si intende”, Graphe edizioni). Sono questi gli ambiti in cui alcune nostre caratteristiche in nuce vengono portate alla superficie e amplificate mentre altre vengono represse e cancellate. Sono i modelli che ci sono stati proposti o imposti che vanno a definirci lungo un continuum dall’empatia alla crudeltà. E questi modelli possono essere macroscopici: crescere in una famiglia in cui il linguaggio delle relazioni è quello declinato su prepotenza e prevaricazione del più forte sul più debole ci forgia come individui violenti, così come una famiglia in cui vige il rispetto permette alle nostre predisposizioni empatiche di prendere forma. Il modo in cui vengono trattati gli altri animali entra a buon diritto in queste dinamiche: picchiare il cane perché ha sporcato il tappeto o dare un calcio al gatto che è salito sul divano sono scuola di violenza; come lo sono altre abitudini non stigmatizzate in quanto sono legali: tenere un uccellino in gabbia è un comportamento carico di significati perché corrisponde a negare il diritto ad un essere vivente e senziente alla propria libertà di volare, mistificando il significato del suo canto come segno di gioia; l’eccitazione e l’emozione del papà cacciatore che inonda la casa ed ha il suo culmine con il “riporto” di cadaveri di animali innocenti esibiti come trofeo sdogana una forma di sadismo; l’abitudine all’indifferenza nel vedere un cavallo imprigionato tra morso, briglie, paraocchi è antipedagogia. Oggi gli studi su questo argomento si susseguono: ma bisognerebbe ricordare che ben oltre un secolo fa nella discussione di un Disegno di legge del parlamento Italiano sulla Protezione degli Animali si leggeva: “La tutela degli Animali è connessa con il problema dell’Educazione”. Si leggeva: ma chi lo ha letto?

7. Secondo la tua opinione, qual è la relazione tra la violenza nei confronti degli umani e quella nei confronti degli animali?
Il discorso è estremamente vasto e articolato: il link è evidente, potente, innegabile.
Rimandando ad un necessario approfondimento (si veda “Sulla cattiva strada”, Sonda editore), basta ricordare che da più di 30 anni anche il DSM, manuale dei Disturbi Mentali in uso in tutto il mondo occidentale, ne prende atto quando pone la violenza sugli animali come uno degli indicatori del disturbo della Condotta in età infantile o adolescenziale, in pratica equiparandola ad altre forme di violenza: purtroppo, però, questa consapevolezza scientifica non si è ancora tradotta in conseguenti approcci al problema.
Al di fuori di ogni approfondimento teorico, lo sanno bene le società criminali di ogni luogo, varie mafie di casa nostra incluse, che addestrano i più giovani a forme di crudeltà gratuita sugli animali come tirocinio ad altre forme estreme di brutalità; nelle biografie dei serial killer è facilissimo ritrovare precoci abitudini a torturare cani o gatti; non stupisce nessuno che nei paesi dove non sono rispettati i diritti umani, vale a dire dove le persone sono facilmente esposte a trattamenti inumani, parlare di rispetto per i nonumani non trovi ascolto. Ma in fondo basta anche solo riflettere che gli animali sono esseri senzienti, che quindi soffrono quando colpiti o maltrattati, e che i segnali di sofferenza che inviano sono tanto simili ai nostri: l’indifferenza in risposta agli uni corrisponde all’indifferenza nei confronti degli altri; il sadismo in risposta agli uni corrisponde al sadismo in risposta agli altri.

8. Quali sono, secondo te, i meccanismi che rendono insensibili o indifferenti alla sofferenza degli animali sfruttati?
Questo argomento, fondamentale nella relazione umani-nonumani, è centrale nel saggio “Noi abbiamo un sogno” (Bompiani, 2006), a cui non posso che rimandare. Di certo la fa da padrona la rimozione, per cui il problema viene costantemente non affrontato, con l’ausilio dello stato delle cose, vale a dire la non accessibilità per esempio dei macelli, dell’interno dei laboratori di vivisezione, dei luoghi di addestramento degli animali dei circhi o della “doma” dei cavalli. Direttamente connessa alla rimozione è la negazione stessa della verità, che permette di affermare che gli animali sono soggetti a “macellazione umanitaria”; che nei circhi vivono una splendida vita tra l’amore e il rispetto dei circensi; che i cavalli, siccome amano correre, sono felici di farlo nelle gare ippiche e nelle scuole di equitazione, e che la frusta con cui vengono costretti a correre tanto da farsi scoppiare il cuore è un simpatico gingillo. E poi c’è l’uso distorto del linguaggio che edulcora o falsifica la realtà; la normalizzazione di ogni crudeltà attraverso la sua legalizzazione, di cui l’esempio più eclatante è la caccia; c’è l’implicita convinzione che in fondo gli animali si meritino quello che facciamo loro, convinzione costruita attraverso una continua denigrazione del loro essere, come ben dimostra la rappresentazione svilita di molti di loro, a cominciare dal maiale. Si potrebbe continuare con il confronto vantaggioso, comunemente chiamato benaltrismo, per cui ben altro c’è di cui preoccuparsi; o sul ruolo dell’autorità su cui scarichiamo tutte le responsabilità, che invece ci appartengono. Insomma: è un capitolo di enorme importanza, fondamentale per acquisire consapevolezza delle dinamiche che sono attive al nostro interno, capaci di renderci complici della più grande carneficina quotidianamente in atto, senza che il nostro sonno venga disturbato.

9. Cosa si potrebbe/dovrebbe fare per sensibilizzare le persone sulla condizione degli animali e cambiare i comportamenti degli umani?
Bisogna agire a 360°: fondamentale è l’informazione, che deve essere portata avanti senza sosta. Incredibilmente utili anche per il loro impatto mediatico sono gesti eclatanti quali la liberazione dei beagle o l’occupazione dei laboratori di vivisezione. Bisogna poi lavorare per scardinare i luoghi comuni, che sono il terreno principe della mistificazione della realtà. Bisogna lottare perché nuove sensibilità e cambiamenti di costume siano sanciti dalle leggi: basta pensare che sono decenni che si fanno manifestazioni contro l’abuso degli animali nei circhi, con un mastodontico impiego di energie che è servito a mobilitare l’opinione pubblica, ma senza l’emanazione di una legge ad hoc non si arriva a porre fine ad uno sfruttamento, la cui barbarie e il cui anacronismo sono sotto gli occhi di tutti. Analogamente è un’impresa ciclopica quella di convincere ogni persona che tenere l’uccellino in gabbia è incivile e crudele, perché è radicata la convinzione che tenerselo in casa sia dimostrazione d’amore: devono essere i legislatori a sancirne la proibizione, quei legislatori, che ahimè solo nell’immaginario sono avanguardie, promotori di un cambiamento capace di tradurre in rinnovamento dei comportamenti le istanze che sono frutto di nuove sensibilità, nuove conoscenze etologiche, nuova concezione dei diritti.
I media dal canto loro avrebbero il dovere di essere coartefici di queste trasformazioni, in virtù dell’enorme potere che possiedono. Paradigmatico ciò che sta avvenendo a proposito dell’uccisione delle donne da parte dei loro compagni: i maltrattamenti anche estremi sulle donne sono purtroppo una realtà dalle radici antiche: ma solo quando, in concomitanza con l’introduzione del neologismo femminicidio, si è cominciato a dare rilievo da prima pagina ad ogni episodio di violenza sulle donne da parte di uomini gelosi o respinti il problema è entrato nella consapevolezza di tutti. Immaginiamo allora che ogni giorno i telegiornali si aprano o i giornali riportino in prima pagina notizie e immagini sulle condizioni dei nonumani in ogni contesto di abuso, a partire dai macelli: una buona fetta della gente prenderebbe alla fine atto che lo stato delle cose è inaccettabile.
In sintesi, la questione animale è una questione di enormi proporzioni, a cui tutti coloro che ne sono coinvolti devono dare il proprio contributo, differenziato a seconda delle proprie predisposizioni: scrivere, divulgare, manifestare, agire, boicottare, lavorare in canili, gattili, rifugi, associazioni, salvare rospi, disturbare i cacciatori, dissentire. Soprattutto mantenere uno stile di vita coerente con il rispetto per tutti i nonumani.

10. A tuo parere e in base alla tua esperienza, l’interazione con gli animali non umani può essere di aiuto per umani in situazioni di fragilità? Ci può essere davvero reciprocità in queste situazioni oppure è solo un altro modo per ‘usare’ gli animali a servizio dell’uomo?
Il rapporto con le altre specie è assolutamente fondamentale: è da molti anni che è stato coniato il termine “biofilia” per designare l’attrazione naturale dell’uomo per natura e animali, tanto che l’assenza di questo contatto è foriera di conseguenze designate con l’espressione Deficit di Natura, che è una sorta di disadattamento che si esprime con tendenze depressive, scarsa capacità di concentrazione, isolamento.
Detto questo, credo che il senso della domanda sia riferito agli animali che definiamo pet: è esperienza del tutto comune e innegabile che la vita condivisa con un cane, un gatto, un criceto, un coniglietto si arricchisce in modo potente, sia che ci si trovi in condizioni di solitudine o invece ricche di relazioni, in periodi di benessere o invece di fragilità. Il nocciolo del problema risiede però non tanto nella presenza di un altro animale, quanto piuttosto nella tipologia di relazione che abbiamo con lui: solo e soltanto se questa relazione è fonte di piacere e benessere reciproco può essere arricchente, altrimenti, come purtroppo tanto spesso succede, diventa esercizio di potere: uccelli in gabbia, pesci nella boccia, cane alla catena sono la punta dell’iceberg di relazioni distorte e drammaticamente sbilanciate, fonte di sofferenza per i nonumani, ma anche di pervicace declino morale per gli umani.

11. Intersezioni, convergenze, terreno comune, obiettivi comuni. In questo periodo si discute sempre più di quello che potrebbe unire diversi movimenti e gruppi per la liberazione e i diritti degli animali umani e di quelli non umani, per la difesa dell’ambiente, ecc. Qual è la tua valutazione in proposito?
La difesa del diritto degli animali alla vita, al benessere, alla nonsofferenza, quindi l’obiettivo della liberazione animale, trova in se stesso le ragioni al proprio esistere. Ma è anche vero che esiste una interrelazione profonda tra tutti i fenomeni, che sarebbe assurdo ignorare, nella consapevolezza che ogni situazione ha conseguenze e riflessi su altre. Se è vero come è vero che esiste un link tra tutte le forme di violenza, anche le situazioni di benessere si collegano e si contaminano vicendevolmente. E’ chiaro, per esempio, che la difesa degli animali ha fortissime connessioni con la difesa dell’ambiente, che non è certo scandaloso rilevare. Scandalosa è se mai l’omissione di questo link da parte delle associazioni ambientaliste e degli studiosi ambientalisti, che riescono a non nominare la questione animale nelle loro argomentazioni: un esempio per tutti, additato con chiarezza da Cowspiracy, la vergognosa omissione del problema nel documentario “Una scomoda verità” (2006) , dell’ex vice presidente americano Al Gore che per 118 minuti di analisi delle cause e dei rimedi al riscaldamento globale riesce a non nominare la responsabilità degli allevamenti intensivi. Questione umana, questione animale, questione ambientale sono parti di una stessa questione, senza separazione. Ciò che resta fondamentale è uscire dalla predominante posizione antropocentrica e non considerare, come di solito si fa, la salvaguardia della natura e quella degli animali al servizio dell’esclusivo benessere umano. Per altro le interconnessioni sono tante: prima tra tutte la posizione di parte del mondo femminista che rivendica la necessità di non separare le lotte di liberazione delle donne da quelle degli animali. E su questa materia gli studi e gli approfondimenti vanno ampliandosi in continuazione. Interessante un film di qualche anno fa, Pride, che ricostruiva l’inedita alleanza dei minatori, durante gli scioperi nel periodo thatcheriano, con gli omosessuali nonché con le attiviste vegane. Tanto da imparare, tanti spunti da approfondire.
Per concludere questa carrellata su tante questioni fondamentali, che in questo contesto hanno potuto essere solo accennate, mi piace ricordare la riflessione del giornalista ecologista Kieran Mulroney che afferma che “se fossimo governati da persone di buon senso la difesa degli animali sarebbe la prima delle preoccupazioni”. Ci rendessimo conto della profondità di questa affermazione, avremmo fatto emergere una volta per tutte la centralità della questione animale e le imperdonabili rimozioni a cui è sottoposta non solo dalla gente comune, ma anche da grandissima parte di quel mondo politico che, perso nelle schermaglie di potere, continua ad ignorarla, passando senza vedere in mezzo a quegli abissi di ingiustizia e sofferenza in cui da sempre costringiamo i nonumani.

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Letture consigliate per approfondire:
- Melanie Joy: Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali, indossiamo le mucche
- Mark Howthorne: Bleating hearts
- Annamaria Manzoni: Noi abbiamo un sogno
- Annamaria Manzoni: In direzione contraria
- Annamaria Manzoni: Sulla cattiva strada
- Annamaria Manzoni: Tra cuccioli ci si intende
- Jim Mason: Un mondo sbagliato
- Charles Patterson: Un’eterna Treblinka
- Stephen Pinker: Il declino della violenza
- Tom Regan: Gabbie vuote
- Matthieu Ricard: Sei un animale
- Leone Tolstoj: Contro la caccia e il mangiar carne

 

 

 INTERVISTA di FEDERICA GIORDANI ad ANNAMARIA MANZONI


1- Video che mostrano le atrocità degli allevamenti di animali cosiddetti "da reddito" sono diventate sempre più accessibili al pubblico grazie a internet e ai social: crede che questo possa essere utile per la diffusione della filosofia vegan?
1- E’ necessario conoscere la realtà: tutti noi, in qualche momento, siamo passati attraverso la visione di video, e di certo è stato importante perché l’immaginazione da sola non sarebbe  sufficiente a dare conto della mastodontica crudeltà in atto. L’esperienza per molti è drammatica, ma, se miliardi di animali sono costretti a subire le peggiori atrocità ad opera dell’uomo, noi umani quelle stesse atrocità, di cui tanto spesso siamo gli utilizzatori finali, siamo tenuti a guardarle.

2 - Che ruolo ha, in generale, l'immagine nella comprensione del fenomeno della violenza sugli animali?
2-L’immagine è uno sguardo sullo stato delle cose, per quanto colto in una frazione di tempo limitatissima, ed è quindi importante. Ma di questo “materiale” bisogna fare un uso adeguato, vale a dire in  un contesto preciso, informativo o didattico; secondo me mai certe foto dovrebbero per esempio essere usate  come sfondo di un post o come immagine di copertina. E questo non tanto per rispetto dell’interlocutore, che può ritrarsi perché impreparato a gestire lo shock conseguente, ma anche  per evitare una sorta di assuefazione. L’abuso di immagini di atrocità può dare vita ad una sorta di adattamento, che finisce per neutralizzare le emozioni connesse all’esperienza della visione. Per esemplificare , pensiamo al crocefisso,  emblema del cristianesimo: la  raffigurazione della crocefissione, finita persino in graziosi gingilli magari preziosi (senza opposizione della chiesa), sembra avere perso qualsiasi  riferimento alla crudeltà e al dolore che ne sono l’essenza. Purtroppo siamo capaci di assuefarci alle peggio cose e a trasformare in icona neutra anche ciò che contiene testimonianze che dovrebbero invece sconvolgerci. Le immagini della sofferenza animale possono seguire lo stesso destino. La gente deve sapere: ma avere costantemente davanti agli occhi certe immagini, una volta che l’informazione è passata, può essere controproducente perché riduce il potenziale emotivo per una sorta di assuefazione; contestualmente può anche succedere che, per le persone più sensibili, si trasformi in un’esperienza di insopportabile masochismo o, all’opposto,  alimenti   il sadismo di altri, di cui non possiamo ignorare l’esistenza, che nelle atrocità trovano il brodo di cultura delle dinamiche vivaci nel loro psichismo

3 - Le è capitato di usare queste immagini? Quali sono le "regole" interne che si è data a riguardo?
3 Non sono solita usare immagini cruente o particolarmente atroci: ne uso piuttosto altre che suggeriscono invece di conclamare,  mostrano non tanto corpi lacerati e sanguinanti, ma se mai sconvolgimento o incredulità  nell’espressione  degli animali. Per altro personalmente uso le parole molto più che le immagini: è un codice diverso, ma che si rifà a dinamiche simili: anche le parole possono essere cruente e sconvolgenti o invece, come è nel mio stile, possono traghettare empatia e compassione, solleticare uno  struggimento che si esprime come rivolta contro lo stato delle cose. Il feedback spesso è stato positivo: in molti  mi hanno riferito di cambiamenti sostanziali avvenuti nel loro pensiero e quindi nei loro comportamenti, a fare inizio dall’adesione al veganismo come espressione di  un cambio di prospettiva che vede gli animali in un’ottica davvero antispecista.  

4 - A suo avviso la gente dovrebbe vedere di più o di meno rispetto ad ora?
Per quello che ho già detto, non è questione di quantità, ma di qualità: le immagini devono essere contestualizzate, deve esserci uno spazio per l’emergere di emozioni, che poi si devono strutturiare in pensieri. L’esperienza della “visione” non deve essere solo scioccante, ma dare la stura ad un cambiamento di rotta.

5 - Quali sono state durante gli anni di cui ha avuto esperienza, le reazioni ottenute grazie alle immagini "shock"?

Mi è capitato di essere chiamata a presentare documentari quali Earthlings, che è a mio avviso uno dei maggiori concentrati di tutte le violenze immaginabili, davvero intollerabili. Le reazioni dei presenti, nell’immediato, sono state quelle di raccapriccio, incredulità, rabbia. Non posso ovviamente sapere come siano poi state elaborate da ognuno; non è mancato comunque chi, a distanza di qualche tempo, mi ha detto: “Si, però poi si torna a quello che si è sempre fatto”.


 

A COSA SERVE ESSERE VEGANI? da Federica Giordani  a.....

https://www.vegolosi.it/news/interviste-vegane/a-cosa-serve-essere-vegani/                                    

                                   A cosa serve essere vegani? - Interviste - Vegolosi.it

Abbiamo voluto raccogliere i contributi di alcune delle figure italiane di riferimento sul tema della cultura vegana.

Lo speciale è in aggiornamento e mano a mano vogliamo ospitare sempre più voci autorevoli su una domanda che appare strana ma che ha avuto l’obiettivo di stimolare una riflessione: a cosa serve essere vegani?

Speriamo davvero che possano essere testi di ispirazione e confronto per molti

 

 

INTERVISTA AD ALI, ANIMAL LAW ITALIA, 2023 SULLE VALENZE ANTIPEDAGOGICHE DELL’ABUSO DEGLI ANIMALI IN CIRCHI, SPETTACOLI E MANIFESTAZIONI


 

Come nasce il "Documento di psicologi sulle valenze antipedagogiche dell’abuso degli animali in circhi, spettacoli e manifestazioni" e cosa dichiara? https://annamariamanzoni.blogspot.com/p/documento-psicologi.html

Il documento parte da una considerazione generale, vale a dire che la relazione con gli altri animali, che è un bisogno profondo della nostra specie, in grado di incidere profondamente sul piano cognitivo ed emotivo, risulta fondamentale anche nel percorso di crescita dei bambini. A questa relazione, su cui gli psicologi, per loro stessa formazione, avrebbero il dovere e la responsabilità di esprimersi, fino a non molto tempo fa  è stata assicurata una scarsa attenzione: considerato che il rapporto con le altre specie è tanto spesso connotato di violenza, vale a dire di una componente drammatica, pervasiva nei nostri comportamenti, l’omissione risulta particolarmente grave. Per quanto le forme di violenza sugli animali siano infinite,  mi è parso comunque basilare almeno “smascherare” quelle forme di mistificazione a cui i più piccoli vengono esposti, vale a dire quelle situazioni in cui la prepotenza e la sopraffazione inflitte dagli umani, il dolore e la sofferenza subiti di conseguenza dagli animali vengono  dissimulati, trasformati nel loro contrario e proposti ai bambini come occasioni di gioioso divertimento. Il riferimento è a contesti di cui i bambini stessi costituiscono il pubblico privilegiato: quindi circhi, zoo, manifestazioni varie che abusano di animali, non rispettati nelle loro esigenze etologiche, privati della libertà, costretti a comportamenti innaturali. Per quanto ancora oggi ci sia chi si ostina a parlarne come di occasioni educative, si tratta invece di contesti fortemente antipedagogici.

Chi ha firmato il documento?

Nonostante non vi sia stata  diffusione da parte istituzionale, vale a dire degli ordini professionali, i colleghi che hanno sottoscritto il documento sono stati circa 800, numero da non sottovalutare viste anche le diffuse esplicite o implicite ritrosie ad esporsi. Andare contro il pensiero dominante, a quanto pare, genera ancora paure e reazioni autoprotettive in tutte le categorie. Assolutamente fondamentale, al di là dei numeri, risulta comunque la grande autorevolezza dei primi sottoscrittori, che ho personalmente contattato: tra loro figurano docenti universitari di enorme prestigio, esperti italiani e stranieri di  temi della violenza, responsabili di centri per la prevenzione e il trattamento dei traumi, studiosi dei percorsi articolati e spesso disconosciuti che portano all’emergere di comportamenti antisociali, conosciutissimi divulgatori di teorie strutturatesi nel corso di lunghi lavori in commissioni parlamentari per l’infanzia.

 

Cosa è accaduto in seguito?

Il Documento è stato poi tradotto in inglese e in francese ad opera di Eurogroup for Animals, che lo ha condiviso.

Due fatti lo hanno indirettamente sostenuto molto tempo dopo: la risoluzione (27.03.2015) del Comitato di Psicologi dell’Accademia Polacca delle Scienze che definisce  detrimental, vale a dire dannoso, nocivo per l’educazione l’uso degli animali nei circhi. E poi la dichiarazione della Federazione dei Veterinari Europei (06.06.2015) che giudica tale uso  ingiustificabile.

Quali potrebbero essere le conseguenze del circo e di altri spettacoli che sfruttano gli animali sull’educazione dei più piccoli?

Il circo esibisce animali, che non sono adeguati al contesto ambientale e climatico a cui sono costretti. Li vede obbligati a performances innaturali, dal momento che in natura gli orsi non vanno in bicicletta, gli elefanti non stanno ritti sulle zampe posteriori, i cavalli non tollerano di essere montati da tigri che sono loro predatori, i leoni non mantengono le fauci aperte e immobilizzate con la testa del domatore infilata dentro né attraversano cerchi infuocati. Sul piano cognitivo si danno ai bambini informazioni false su ciò che quegli animali sono e sul loro comportamento: quello esibito nei circhi in realtà è ottenuto solo attraverso metodi di ferocissimo ammaestramento, che per altro sono a conoscenza di chiunque non voglia girare la testa dall’altra parte. Ma persino più grave è la diseducazione all’empatia, perché i bambini sono indotti a non cogliere o comunque a disinteressarsi ai segnali di sofferenza che gli animali inviano. Tutto l’apparato intorno, musiche, colori, lustrini, incitamento del pubblico all’entusiasmo e all’applauso contribuiscono ad un enorme fraintendimento di ciò che sta avvenendo. La figura del domatore viene mistificata in quella di uomo coraggioso e va perso il significato stesso del verbo domare, che fa riferimento ad un’azione tesa a spegnere gli istinti vitali, ad annullarli per paura e per dolore. La muscolatura ostentata  dal domatore ne sostiene la connotazione macha, strappaapplausi e non  sollecita il  biasimo  che lo spettacolo del dominio e dell’oppressione su esseri soggiogati dovrebbe mobilitare. La frusta, che è una sorta di sua propaggine ineludibile, non viene colta nella sua realtà di strumento minaccioso, atto a risvegliare negli animali la memoria delle ferite già subite, ma semplice accessorio sibilante. A buon completamento, i bambini in genere sono condotti, nell’intervallo tra i due tempi o a fine spettacolo, a vedere da vicino gli animali in gabbia, prigionieri senza colpa, che possono esprimere il loro disagio con andirivieni ossessivi o dondolii,  o grida lanciate nel linguaggio della loro specie: i genitori li accompagnano in un fugace passaggio completato da qualche distratto commento. Dal momento che sono loro ad averci portato i figli, di certo non li aiuteranno a cogliere la grande ingiustizia in atto, a decodificare i segnali di rabbia o rassegnazione  che riempiono quelle gabbie. Non solleciteranno da parte loro l’unica domanda sensata, vale a dire Che ci fanno qui? Parafrasando le parole della studiosa di elefanti Gay Bradshaw, queste gabbie diventeranno educative solo quando verranno mostrate vuote, in una sorta di pellegrinaggio tra le tante crudeltà del passato, a monito di non vederle mai più ripetute.

In tutto questo ci sono bambini dotati di particolare sensibilità che sono in grado, nonostante tutto, di rendersi conto della tristezza dell’animale che hanno di fronte, anche solo guardandolo negli occhi, e di sentire su di sé la sua sofferenza. Ma tutto l’apparato spinge verso reazioni diverse. Insomma:  se l’educazione è o dovrebbe essere prima di tutto insegnamento al rispetto per l’altro, qui va invece in onda una forma di diseducazione, in direzione contraria all’insegnamento dell’empatia, che è quella capacità  di sintonizzarsi sulle emozioni e lo stato d’animo dell’altro, in una sorta di risonanza emotiva. E’ una capacità di straordinaria importanza  tanto da avere spinto il primatologo Franz de Waal addirittura  ad affermare  Se fossi Dio, lavorerei al raggiungimento dell’empatia, e  Jeremy Rifkin, stimatissimo autore di Ecocidio,  a sostenere che la storia dell’umanità dovrebbe essere riletta mettendo al centro non  l’Homo Homini lupus, ma  l’Homo Empathicus. Mentre  Barack Obama nei suoi discorsi preelettorali aveva parlato della mancanza di empatia come di una delle condizioni da osteggiare nella costruzione di un mondo migliore. La situazione in cui sono costretti gli animali soggiogati nei circhi, presentata come momento di gioia per i bambini, è un inaccettabile stimolo ad andare in direzione contraria al suo insegnamento, dal momento che, per svilupparsi, ha bisogno di modelli adeguati, non certo di allegra esibizione di dominio e di oppressione.

Alcuni hanno discusso la tua posizione poiché non sostenuta da dati scientifici. Qual è la tua risposta a queste obiezioni?

Può pretendere dati scientifici al proposito solo chi non ha idea della complessità dell’educazione, dei modelli su cui si struttura, del percorso ingarbugliato e tutt’altro che lineare che porta alla formazione di personalità che possono essere definite, semplificando, empatiche o invece aggressive.

Per dare una risposta sintetica, mi limito a porre questa domanda: davanti ad una connotazione di un film come diseducativo se proposto a dei bambini,  a qualcuno verrebbe mai in mente di pretendere prove scientifiche  che lo attestino? Lo spettacolo di persone che soggiogano animali resi indifesi e li costringono ad un’obbedienza terrorizzata e la visione degli stessi animali imprigionati nelle gabbie è antieducativo perché fornisce un modello di sopraffazione, reso ancora più inaccettabile dalla sollecitazione a trovare tutto questo molto divertente: per asserirlo non occorrono prove scientifiche, ma riflessioni serie sulle dinamiche in atto e le loro conseguenze, sulla scorta dei tanti studi sulla psicologia infantile, sulla formazione della personalità, sull’empatia, sull’aggressività, sull’importanza dei modelli. Che queste riflessioni siano di particolare  pertinenza della psicologia è altrettanto innegabile.

Cosa si dovrebbe, invece, mostrare per avvicinare i bambini a un rapporto più sano con gli animali e la natura?

I bambini hanno una innata fortissima attrazione verso il mondo degli animali e godono altresì nello stare immersi nella natura, sui prati, al mare, nei boschi. E’ quindi facile il compito di sostenere e amplificare queste predisposizioni, favorendo per esempio l’osservazione e la comprensione dei comportamenti degli animali quando sono  liberi di esprimersi: lo si può fare con quelli che vivono in casa e magari con quelli ospitati nei santuari; si può allargare la conoscenza di quelli che non sono facilmente raggiungibili con i documentari e con le informazioni affascinanti che gli studiosi, gli etologi in primis, mettono a disposizione aprendo mondi nuovi. E’ necessario soprattutto incentivare l’abitudine a guardare esseri di altre specie con il rispetto necessario, apprezzando la ricchezza che deriva dalla diversità. Discorso che, per altro, si attaglia perfettamente al rapporto con gli individui della nostra stessa specie, che, quando diversi per colore della pelle o abitudini o qualsivoglia altro tipo di caratteristiche, spesso consideriamo altri da noi, da relegare fuori dal contatto con le nostre vite, perché facciamo coincidere il concetto di diversità con quello di inferiorità.

In tutto questo non si può far finta di pensare che il mondo sia popolato da persone rispettose, consapevoli, empatiche, in grado di essere apprezzabili  maestri di vita per i più giovani:  si può insegnare solo quello che si sa e si offrono come modelli i comportamenti che ci sono abituali:  lo stato delle cose su questo nostro sgangherato pianeta non permette esagerato ottimismo.

Contemporaneamente ad un progressivo affinamento dei costumi, si deve allora poter contare anche sull’operato dei legislatori, che non possono essere retroguardia culturale: a loro il dovere di superare la timidezza e la ritrosia al cambiamento che troppo spesso li definiscono, e di promulgare le necessarie  leggi,  che progressivamente verranno vissute come proprie e introiettate anche da chi è più refrattario a modificare i propri comportamenti.  Niente di sconvolgente: è già successo in molti stati  che hanno posto fine allo sfruttamento degli animali nei circhi senza bisogno di dare vita ad una rivoluzione. L’Italia davvero dovrebbe ribellarsi alla sua attuale posizione di fanalino di coda.

A  conclusione di questa veloce analisi, mi piace dedicare un pensiero di enorme apprezzamento a tutti quei lavoratori dei circhi che già propongono al pubblico le loro straordinarie abilità, frutto di  un durissimo lavoro su se stessi, non  certo dell’esercizio di forme di dominio, oppressione, umiliazione su altre specie animali.  

 

 


INTERVISTA A ESSEREANIMALI SULLE CONSEGUENZE CHE SUBISCONO I LAVORATORI DEI MACELLI A CAUSA DEL LORO LAVORO
 
 https://www.essereanimali.org/2023/07/effetti-salute-mentale-lavoratori-industria-carne/?fbclid=IwAR3wfNIp2WTpiQ4BPoIGRAr1_4Gk6jm2eXgtSr73PharusY4ghgqN9Yrkzg

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