Tappa
importante di un percorso avviato da molti anni: era il 1999 quando ebbe luogo la
prima clonazione, in Oregon, di Tetra,
un’altra femmina di macaco, ottenuta però con una metodica diversa, vale a dire
con la scissione dell’embrione che imita l’origine naturale dei gemelli omozigoti.
La nuova tecnica, che gli scienziati indicano con la sigla SNCT (trasferimento
nucleare da cellule somatiche), è invece quella che aveva dato vita nel 1996
alla famosa pecora Dolly (per la cronaca, “abbattuta” a circa 7 anni di età a
causa di complicazioni di un’infezione e finita imbalsamata al National Museum
of Scotland) a cui ha fatto seguito la clonazione di altre 23 specie di
mammiferi: maiali, gatti, cani, ratti….; con l’Italia all’avanguardia grazie al toro Galileo, alla cavalla Prometea
e a un rinoceronte bianco.
Perché
tanto clamore allora? Perché oggi si è ottenuto quello che con i primati era
sempre fallito, e che permetterà, a detta degli scienziati, la creazione di un
“esercito di scimmie” a fronte dei
solo 4 cloni permessi dalle metodiche precedenti; ma soprattutto perché le
scimmie sono “così vicine all’uomo”,
come ha esclamato il cardinale Elio Sgreccia, paventando il possibile, diciamo
pure probabile, passaggio alla clonazione umana, sulla scorta di quello che un
altro cardinale, Angelo Bagnasco definisce “delirio
di onnipotenza” . Tra gli scienziati sono quelli di area cattolica ad
esprimere critiche, intravedendo ambizioni faustiane dietro gli scopi filantropici, mentre gli altri
esultano in nome della scienza o, se mai, come fa il ricercatore Cesare Galli,
lamentano polemicamente quelle che ritengono restrizioni (sic!) ingiustamente imposte
alla ricerca italiana. Grandi assenti
nel dibattito, che si snoda tra timori etici totalmente antropocentrati ed entusiasmi scientifici, sono loro, le
protagoniste perplesse e inconsapevoli su cui tutta la partita si gioca: una
partita tutt’altro che piacevole dal momento che sono destinate a fungere da
“modelli” per lo studio di malattie (Parkinson, Alzheimer, tumori, malattie del
sistema immunitario e metabolico…) che quindi dovranno essere fatte insorgere
sui loro corpicini. Insomma: animali da laboratorio da far crescere per un po’
in ambienti totalmente protetti, quanto più possibile sterilizzati affinchè,
non sia mai, non si ammalino di alcunchè, per poi procedere scientemente a
farle ammalare di patologie che presumibilmente in natura non potrebbero mai sviluppare.
L’auspicato esercito di loro omologhe permetterà magari anche un po’ di tranquillità
nell’uso, qualche spreco, qualche generosità nell’impiego del “materiale”, che ci si va assicurando
abbondante.