lunedì 14 aprile 2014

AGNUS DEI






Ancora  pochi giorni e la mattanza comincerà per poi raggiungere il suo culmine in vista della Pasqua: l’agnello di Dio sarà ancora una volta  costretto suo malgrado  a togliere i peccati dal mondo, e inutilmente alzerà i suoi lamenti che arriveranno al cielo senza incrociare la pietà che invocano. E’ lui, perchè innocente, la vittima ideale per pagare le colpe dei colpevoli. “Felici le madri di questi agnelli sacrificali? – si chiede Josè Saramago nel suo Vangelo secondo Gesù Cristo - Quelle madri, se lo sapessero, ululerebbero come lupi”, perché  loro mai  avrebbero immaginato questa fine quando, neonati,  li leccavano e li nutrivano e volevano solo, quelle madri, farli crescere i loro piccoli per poi lasciarli  andare, a brucare l’erba o a correre nei prati. Non avevano capito cosa li attendeva; nè c’è da stupirsene perché nessuna legge naturale potrebbe contemplare  il teorema  indimostrabile per cui il peccatore lava le sue colpe con un altro peccato, quello dell’uccisione di un innocente, di milioni di innocenti, che devono essere fragili, teneri, indifesi:  un paradigma che trova nel diritto del più forte l’unica giustificazione. E così, secondo  riti e tradizione, la pasqua di sangue approntata in nome della pace inonderà la terra.

Per altro il significato di vittima sacrificale, che pure con tanta foga viene rispolverato e rinvigorito ad ogni Pasqua, per la gran parte  della gente è ormai solo una pallida e scolorita giustificazione:  la ricorrenza è piuttosto l’occasione per l’apoteosi di una mattanza che, come ci dicono i numeri,  non ha tregue nel corso di tutto l’anno,  al di fuori di qualsiasi riferimento religioso, per l’esclusivo e paganissimo piacere di un “piatto” evidentemente apprezzato.

Le parole che stigmatizzano come inaccettabile per la sua crudeltà l’uccisione degli agnelli, oscenità tra le altre oscenità dell’uccisione di ogni animale, sono evanescenti, a volte esercizio letterario che tocca qualche corda e si scioglie in turbamento passeggero : le immagini no, le immagini colpiscono con la forza dell’evidenza:  non mentono e non tacciono. E allora i video,  inguardabili per la violenza che mostrano ma da guardare per il dovere etico di sapere,  sono quelli che sbattono in faccia la realtà, ciò che avviene nei luoghi della mattanza, che è la quintessenza del male: esseri totalmente indifesi, miti per antonomasia, innocenti per definizione, sono strappati alle madri, sottoposti a viaggi terrorizzanti, pesati, appesi per le zampe, uccisi  con un coltello che recide la gola e che a questo punto si vorrebbe affilato, ma non sempre lo è e l’agonia si prolunga: belati terrorizzati , sangue ovunque, gemiti e strida. E poi le urla degli addetti ai lavori, uomini resi brutali dal loro stesso “lavoro”.

Le indagini condotte a termine da associazioni per i diritti degli animali sono sconvolgenti quanto necessarie, perché la cultura occidentale in cui viviamo immersi ha posto in essere nei confronti della sofferenza animale e di tutte le sue forme più estreme un meccanismo di nascondimento e occultamento, al servizio di quel connubio tra sensibilità ed egoismo che ci contraddistingue: non vogliamo vedere perché, anime belle  e amanti degli animali quali ci piace considerarci, siamo refrattari a  tanto orrore; ma non vogliamo rinunciare a qualsivoglia piacere seppure sbrigativo e perso tra gli innumerevoli altri che ci concediamo, quale che sia il prezzo che altri, altri animali, pagano.

Il nostro processo di civilizzazione,  mentre condanna la violenza in tutte le sue forme, in realtà la subordina ad  un grandioso processo di rimozione e negazione, che vorrebbe, questa violenza,  annullarla o almeno mistificarne  il senso e la portata. Le immagini, frutto di investigazioni rigidamente clandestine, ci colpiscono con tutta la violenza che portano con sé e ci costringono a prendere atto di ciò che supportiamo con i nostri stili di vita e le nostre abitudini alimentari e  di cui rifiutiamo di sentirci responsabili. Come spesso succede in questi casi, ad essere messi sul banco degli imputati sono coloro che pongono in essere indagini scomode e magari pericolose, infrangendo una legge che, al servizio dell’opera di nascondimento in atto, proibisce che venga mostrato ciò che è politicamente, umanamente, eticamente vergognoso che abbia luogo.

In atto , lo vediamo, è una realtà di violenza inaudita, che suscita estrema pietà per gli agnelli e orrore per quanto subiscono, ma deve anche indurci ad interrogarci sulla cultura in cui siamo immersi:  davvero vogliamo continuare a convivere con la mattanza di questi cuccioli di animali, gli stessi  che, in una sorta di totale schizofrenia,  in altri momenti offriamo all’interessamento  intenerito dei  bambini, nelle favole, nei peluches, nei cartoni animati, come loro  piccoli  e stupiti davanti al mondo, che guardano con curiosità e attesa, da una vicinanza di sicurezza con la propria mamma, da cui si aspettano protezione?  

Altre considerazioni incalzano ed esigono riflessioni: esiste un mondo di uomini a cui viene delegato di svolgere in prima persona il lavoro sporco: bistrattare e poi sgozzare esseri indifesi, farlo ogni giorno, a catena di montaggio, opponendo la tenace determinazione a portare a termine il compito ai gemiti e ai belati, alle invocazioni di aiuto e alle grida di dolore, non resta senza conseguenze. Anche quelli che non hanno avuto scelta,  di certo facendo quello che fanno, qualunque fosse la loro realtà di uomini prima che tutto cominciasse, non possono che trasformarsi  in persone brutali, insensibili, sorde al dolore altrui quando non addirittura capaci di infierire con ancora maggiore violenza sulle vittime. Della trasformazioni di tutti costoro , che sono  la mano sporca della mattanza, deve assumersi la responsabilità chiunque, a tavola, del loro lavoro sia l'utilizzatore finale.

Una società che in parte non si vergogna di esporre cadaveri di agnelli, appesi a testa in giù ai ganci delle macellerie, in parte invece preferisce che il “prodotto” che arriva sulla tavola sia irriconoscibile e non rechi tracce dell’animale da cui proviene, è comunque una società che convive, ammette, incentiva atrocità, non meno orribili per il fatto di essere  legalizzate I suoi miasmi non possono che intaccare le nostre vite e le nostre coscienze esattamente come succede nelle società che ammettano la pena di morte: la mitezza è al bando e in modi indiretti e diversificati ognuno ne sarà contaminato. Nessuna società può aspirare ad essere considerata giusta e pacifica se al proprio interno la prepotenza, la crudeltà, le atrocità, le efferatezze sui più deboli sono abitudini quotidiana, chiunque ne siano le vittime, umane o nonumane: solo forme diverse di una stessa oscenità.

In conclusione, un esercito di vite appena nate sta per l’ennesima volta per essere immolato sull’altare dei nostri credi e più prosaicamenti dei nostri appetiti, come succede ogni giorno con tutte le altre specie non umane, egualmente sfruttate e martirizzate.   
E' improcrastinabile un cambio di paradigma che riconosca come inaccettabile questa come ogni altra violenza esercitata contro esseri innocenti e indifesi: allo stato delle cose, mentre i poteri forti pervicacemente rifiutano  i cambiamenti necessari, è del tutto chiaro, con le parole di  Danilo Mainardi, che “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi”: non verità belle da enunciare, ma chiave di lettura quanto mai attuale di ciò che sta invadendo le nostre vite.