mercoledì 19 febbraio 2020

CACCIATORI IN CLASSE: IL SONNO DELLA RAGIONE







Che Elena Donazzan (chi era costei?) passi ore a Hit Show, fiera della caccia di Vicenza, è  notizia di scarso interesse, significativa dei suoi legittimi e ingiudicabili  gusti personali; come del resto lo è la sua partecipazione al Convegno dell’Associazione Nazionale Libera Caccia: de gustibus. Che lo faccia nella sua veste di assessore veneto all’istruzione (in quota Fratelli d’Italia) è invece informazione molto meno privata, che esce dal recinto delle sue libere frequentazioni per entrare a pieno diritto nella materia politica in senso lato. Tanto più e soprattutto se a tutto questo si affiancano dichiarazioni sulla necessità di difendere l’arte (?) venatoria dai pregiudizi da cui sarebbe a suo dire assillata e di trasformarla in momento di formazione per i più giovani.  L’eco delle sue parole raggiunge in men che non si dica la sua compagna di partito Barbara Mazzali, consigliere della Regione Lombardia per volontà popolare e cacciatrice per passione, che rincara la dose e sposta il livello delle esternazioni niente meno che su un piano di progresso morale ed etico, dove  a suo dire la caccia andrebbe situata.

domenica 19 gennaio 2020

Lavorare nei macelli: : intervista a Radio.veg.it



A proposito di chi lavora nei macelli: intervista a Radio.veg.it



https://podcastgen.radioveg.it/media/2019-11-12_chiaro_e_scuro_01_save_movement_integrale.mp3

mercoledì 30 ottobre 2019

TRUMP, CANON E GLI ALTRI


     
 

   L’orrida cronaca che il presidente Trump ha fornito dell’uccisione di Al Baghdadi, infarcita di un linguaggio adatto tutt’al più ad un machismo da film western anni ‘60, per molti ma non per lui spazzato via dalla diversa narrazione che dell’epopea western offrirono film cult quali “Il piccolo grande uomo” e “Soldato blu”,  ha cercato consensi anche in  un ostentato fiero omaggio al cane soldato, autore del  “great job”, anzi autrice, dal momento che hanno svelato trattarsi di una femmina. E così Conan, soldatessa sotto copertura della Delta Force, lingua penzoloni e orecchie tese, viene caricata di responsabilità non sue in imprese umane comunque la si veda ben poco onorevoli. Il presidente deve avere avuto notizia  dell’amplificazione emotiva che sempre accompagna la vista di un cane, stranamente non scalfitta nonostante la sua presenza nelle nostre case sia estremamente comune. Nella eccitata impazienza comunicativa, il presidente americano neppure si è accorto della propria schizofrenia, denunciata  dall’uso dell’espressione “ucciso come un cane”: da una parte orgogliosa ammirazione, dall’altra disprezzo cronicizzato per i  nostri amici, che contestualmente amici non appaiono più.

La relazione con i cani, anche nel mondo occidentale, è tutt’altro che univoca: siamo in tanti a considerarli nostri compagni di vita, ma anche di lavoro, di impegno sociale e civile, come ci ricordano i luoghi che sono teatro di terremoti o altri disastri, dove la loro presenza è fondamentale, dal momento che, pur in un mondo tecnologicamente tanto avanzato, risultano insostituibili grazie al loro olfatto  e alla capacità ostinata di tollerare  addestramenti ed esercitazioni estenuanti. Non si tirano mai indietro, tanto che non sono rare le cronache che parlano di alcuni di loro  morti per stanchezza: sfiancati, pur di non disattendere gli ordini dei loro referenti, a cui riservano obbedienza totale, abnegazione assoluta.

martedì 4 giugno 2019

QUANDO IL GATTO E’ UN CLANDESTINO


       

In breve: a Gioia Tauro giorni fa un gattino viene avvistato dove non era previsto che fosse, vale a dire all'interno di una scuola, quella intitolata ad Eugenio Montale: il gattino è il primo che non vorrebbe essere lì, perché lo sente che non è il suo posto; forse è affamato, o spaventato, o disorientato; e proprio per questo salta e corre, sembra impazzito nella ricerca di una via di uscita, di una via di scampo. Niente da fare: al nemico, nemico che lui è senza sapere di esserlo,  non viene concessa l’opportunità di cedere le armi, bisogna annientarlo e, allo scopo, viene chiamato  un bidello perché, si sa,  il lavoro sporco fa comodo affidarlo alla bassa manovalanza, che’  chi è impegnato con parole, scritte e parlate,  la disdegna sempre: un po’ come succede nei mattatoi, per capirci. L’incaricato risolve la spinosa questione prendendo a bastonate il gattino fino a farlo morire, però non subito, perchè i colpi sono tanti, ma non così bene assestati da risultare risolutivi. Ed è così che l’agonia dura un bel po’, un’ora a quanto pare o giù di lì: un tempo infinito per la bestiola che si sarà sentita la vita strappata con violenza senza nemmeno riuscire a capirne la ragione, visto che, così piccolo, della crudeltà del mondo non sapeva ancora nulla né certo poteva immaginare.

martedì 16 aprile 2019

Divertirsi sul dolore degli altri animali


La legge di riferimento contro i maltrattamenti animali (la 189 del 2004), che non si schiera a favore degli Animali, ma (Titolo IX-BIS) del sentimento degli uomini nei loro confronti, specifica che tale eventuale sentimento non viene tutelato se viene smosso da eventi correlati a situazioni  legalizzate, tra le quali vengono citate le  manifestazioni storiche e culturali. Implicitamente, quindi, la legge prende atto della crudeltà insita in tali manifestazioni, delle possibili reazioni da parte delle persone, ma decide di lasciarle fuori dal proprio ambito di intervento, stabilendo così un abisso giuridico tra comportamenti simili in situazioni diverse.
Sulla scorta di questo stato di cose, ancora oggi è necessario ribadire un principio che dovrebbe invece essere scontato, vale a dire che i   maltrattamenti degli Animali non dovrebbero essere considerati in alcun modo leciti, nemmeno se connotati come espressione di  manifestazioni storiche e culturali e di tradizioni, che di fatto sono una copertura , come vedremo, assolutamente contestabile.

giovedì 14 marzo 2019

NON è UN PIANETA PER SCIMMIE : SPERIMENTAZIONE UNLIMITED



Tutte le torture, i patimenti, i terrori
 inflitti agli animali
appartengono legittimamente  al dolore infinito della storia
 e ne modificano il senso, se ne abbia unoGuido Ceronetti
La storia si ripete, sempre diversa e sempre uguale:  il 24 gennaio 2018 l’Istituto di Neuroscienze dell’Accademia Cinese delle Scienze di Shanghai aveva comunicato la nascita  di Zhong Zhong e Hua Hua, due cucciole di macaco, frutto di clonazione, di quella pratica, cioè, divenuta familiare già dal  1996 quando aveva “prodotto” la pecora Dolly  ( poi “abbattuta”, nonostante la sua fama,  a circa 7 anni di età a causa delle complicazioni di un’infezione e finita imbalsamata al National Museum of Scotland), e poi, a seguire, mammiferi di  altre 23 specie: maiali, gatti, cani, ratti….; con l’Italia all’avanguardia  con il toro Galileo, la cavalla Prometea e  un rinoceronte bianco. Ma la tecnica cinese poteva vantare il primo successo con i primati, “così vicini all’uomo”: gli scienziati erano entusuasti di avere un “esercito di scimmie”, vale a dire di quasi-umani, su cui fare tutto ciò che avessero ritenuto opportuno, mentre in area cattolica si spandeva la preoccupazione per un possibile passaggio alla clonazione umana sull'onda di una sorta di   delirio di onnipotenza” , secondo l'espressione usata dal cardinale Bagnasco;   altri, quali il ricercatore Cesare Galli,  ne sottolineavano invece astiosamente  le restrizioni (sic!) vigenti in Italia, responsabili dell'esclusione dei nostri studiosi dalla grande festa.

martedì 5 febbraio 2019

MIGRANTI E MACELLAI: salvati dalla Sea Watch, assunti in macelleria



 Foto Jo-Anne McArthur    
La notizia, così come è data, è una di quelle che allargano il cuore, almeno di coloro che negli immigrati non vedono  nemici da cui difendersi, ma umani in difficoltà meritevoli di solidarietà : tre di loro hanno iniziato una nuova vita, assunti da un imprenditore in un paesino della Calabria, all’interno della Sila: fanno i macellai.

Si tratta di tre giovani africani, arrivati da paesi dannati per violenza e povertà (Nigeria, Sierra Leone, Guinea Bissau) con viaggi divenuti drammaticamente usuali, segnati dal deserto e poi da anni di una prigionia fatta da torture irriferibili quale unica cifra della relazione con i potenti e i prepotenti del luogo, e infine un tutt’altro che scontato salvataggio in mare. L’assunzione ( a tempo indeterminato !!!) è un epilogo insperato, del quale il datore di lavoro e i suoi concittadini  rivendicano orgogliosi l’iniziativa generosa e i tre immigrati considerano una opportunità, che riverbera sull’Italia e gli italiani sentimenti di apprezzamento e gratitudine.

Lieto fine quindi? Forse, ma anche qualche riflessione un po’ più molesta, stimolata dall’associazione con  realtà analoghe, più in grande stile, ma di segno davvero simile, considerato che il lavoro di cui si parla contempla il portare a termine “quasi tutto il ciclo della produzione”: in altri termini, la macellazione degli animali. L’associazione è con la notizia di un paio di anni fa, proveniente dal Canada, dove il ministro federale dell’occupazione pensò di  assumere rifugiati siriani nei macelli della federazione, in risposta alla  non disponibilità dei cittadini canadesi, pur afflitti da una crescente disoccupazione, ad accettare un lavoro basato sull’uccidere animali e lavorare le loro carni. Per quanto riguarda l’assunzione dei tre ragazzi, ci si chiede come mai, in una terra come la Calabria, gravata da  indici di disoccupazione alle stelle,  quei posti non risultassero già occupati da cittadini italiani.

giovedì 29 novembre 2018

UCCIDERE PER SPORT

      
Per quanto non ci si possano  aspettare notizie confortanti dalla zone di caccia,  dove, con armamentario da  missione bellica,  c’è chi va a  braccare, ferire, uccidere esseri senzienti, il regolare bollettino  di guerra non può non lasciare esterefatti: prescindendo per un momento dalle vittime designate, gli animali,  nel corso delle “stagioni venatorie” morti e feriti umani  occupano cronache quotidiane: per il fuoco amico, che colpisce i compagni,

per quello amicissimo, sbadatamente diretto contro il proprio piede o la propria spalla, e per quello per nulla amico per cui a caderne vittima sono gli altri, i passanti casuali. Tra questi ultimi trovano posto persone impallinate perché scambiate per fagiani; altri così mimetizzati da suggerire la presenza di un cinghiale, presenza talmente desiderata da allucinarla nel pensiero; ci sono bambini colpiti mentre giocavano in cortile;  braccianti impegnati nella raccolta di frutta,  atterrati l’uno dopo l’altro come birilli. 

venerdì 12 ottobre 2018

#MeToo E LA DIFFAMAZIONE DEL MAIALE



       
“AFFANCULO MAIALE” è il titolo, francamente poco gentile, sulla copertina del quotidiano tedesco Die Zeit dell’8 ottobre. Ma perché mai il maiale dovrebbe raccogliere l’esortazione?
Di certo, a trattamenti non di favore ci è più che abituato: tra gli animali peggio citati, insultati, diffamati, il posto d’onore va senza ombra di dubbio alla sua specie, a quei maiali, che continuiamo a non conoscere nonostante  li abbiamo addomesticati , alias schiavizzati nel peggiore dei modi, da un bel po’ di millenni, dal 6000 A.C. dicono gli studiosi; abbiamo da allora lasciato alla loro “controfigura”, quella dei cinghiali, un destino di libertà che resta però vigilata e controllata, soggetta al piacere dei cacciatori, che così, pur lontano dalle lusinghe dell’Africa nera, possono fingere il brivido della caccia grossa, da alternare a quella a minuscoli volatili, che, per eccitante che sia, dopo milioni di individui impallinati e disintegrati, magari finisce per annoiare un po’.

martedì 19 giugno 2018

MONDIALI 2018: CALCI AI PALLONI E PALLOTTOLE AI CANI



   
Finalmente i mondiali di calcio hanno preso avvio: la soddisfazione non é  dovuta a incontenibile impazienza da calcio di inizio, ma alla speranza che questo inizio possa segnare la fine dell’ennesima strage di migliaia di cani randagi, messa in atto per ripulire le strade russe, da offrire in tutto il loro lindore agli acclamati eroi del pallone e dei loro fans, tifosi magari virili come si conviene allo sport che li calamita, ma pur sempre amanti dell’ordine e della pulizia. Insomma un sospiro di sollievo a strage conclusa, tipo quello  che, quando arriva Pasqua, sottolinea che non si uccidono più agnelli, perché sono morti tutti,  o, alla fine del periodo natalizio, ci consola perchè a quel punto la gente, abbuffata e satolla, magari per un po’ si asterrà dal mangiare altri animali.
L’attuale massacro russo è la riproposizione di un copione più volte visto anche in anni recentissimi: a Kiev, Ukraina, nel 2012, in occasione degli europei di calcio; a Sochi, Russia, nel 2014 dove si svolgevano  le Olimpiadi invernali; in Marocco, pochi mesi fa, in attesa dell’arrivo di una  delegazione FIFA che valutasse la candidatura del paese ad ospitare i  Mondiali 2026. Quello che si ripete con regolare precisione  è che, in occasione di eventi calcistici di particolare risonanza, in alcuni paesi migliaia di cani, che normalmente vivono nelle strade in vario modo integrati nel tessuto urbano, o in alcuni casi senza che nessuno si preoccupi di  idonei interventi di sterilizzazione, divengono improvvisamente elementi di disturbo, dissonanti rispetto ad una presunta immagine di civiltà, presenze moleste e  sgradevoli da eliminare. Sui modi per farlo c’è grande tolleranza e scarsa  pubblicità: ci sono i bocconi avvelenati e le armi da fuoco, ma nel passato è giunta notizia persino di cerbottane e picconate, inferte con perizia da squadroni della morte, composti da volenterosi esecutori di ordini evidentemente non così sgraditi, resi per altro più appetibili da un riconoscimento in denaro per ogni “carcassa” presentata. Le autorità sembrano poco preoccupate da una possibile propaganda negativa, forti del fatto che ogni volta anche la peggior grana è sfumata in denunce  via via sempre più flebili delle organizzazioni animaliste internazionali, in questa ultima occasione poco più che silenti, e in  rimozione totale della carneficina al primo fischio di inizio che fa della vasca dello stadio fonte di obnubilamento di ogni malessere dell’animo, tanto efficace e popolare  da fare impallidire al confronto una fumeria dell’oppio della Cina ottocentesca.