La
domanda ancora senza risposta è: ma l’insegnante dov’era? E se, come da
contratto, doveva essere lì, cosa faceva? Guardava? Taceva? Non vi è traccia di
interventi di nessun tipo, nonostante un’ora sia lunga da passare, soprattutto
se movimentata da una scena così cruenta, di certo disturbante con tutto quel
sangue, e poi i lamenti: insomma una gran fatica per chiudere la questione con
l’eliminazione dell’intruso. Pensare che il fantomatico insegnante si sia
limitato ad una supervisione silenziosa sarebbe davvero inquietante:
“l’imperturbabilità non è un valore” per usare le parole di Gianrico
Carofiglio, tanto meno quando non si dovrebbe essere pubblico, ma attori sulla
scena.
E
i bambini? Chi lo sa se qualcuno, durante
e dopo l’accaduto, si è occupato di loro,
spettatori di una sorta di “pulizia di specie”, a danno del piccolo felino che
ha incautamente invaso il territorio
umano, pulizia che, proprio come quella “etnica”, contempla l’eliminazione di chi
non appartiene alla comunità. Le successive dichiarazioni del preside suonano
poco rassicuranti, dal momento che tutta la sua preoccupazione è apparsa costruita
su una narrazione dei fatti
giustificatoria dell’operato del bidello e omissiva di una doverosa condanna
dell’episodio nonchè di qualsivoglia parola di dispiacere per la sofferenza del
gattino o di disappunto per l’impatto emotivo sui bambini: l’uno e gli altri
esclusi dal perimetro del suo interesse.
L’eco
mediatica dell’episodio è stata ampia perché bastonare a morte un animale non
pericoloso e spaventato, della stessa specie dei milioni che vivono nelle
nostre case, per di più in un contesto dove i bambini sono lì, affidati ad adulti
a cui è demandato un pezzetto della loro educazione, suona immediatamente
inaccettabile, richiama a contesti incivili e suscita viscerale esecrazione.
La
comprensibile reazione emotiva rischia di oscurare
considerazioni, importanti per tutti noi, che abbiamo l’obbligo di riflettere
sui nostri comportamenti: meglio sarebbe prima di metterli in atto.
Non
si può ignorare che ogni adulto agli occhi dei bambini, in modo tanto più
assoluto quanto più piccoli sono, riveste autorità morale, perchè è da lui che
devono arrivare le “linee guida” fondamentali per comprendere la realtà, per
aiutare a discernere il giusto dallo sbagliato, operazione impossibile senza
una guida perché la decodificazione dei tantissimi aspetti della vita non può
che essere troppo complicata quando le capacità critiche sono solo in nuce. E
gli adulti non sono tutti uguali: vi
sono persone dotate di maggiore autorità “a prescindere”, vale a dire non in
funzione della loro statura morale, ma in virtù del legame affettivo, come è
per i familiari, o del ruolo che rivestono: gli operatori scolastici sono proprio
tra questi, nelle evidenti differenze che marcano la loro posizione dal momento
che il ruolo educativo è demandato agli insegnanti, mentre si suppone che gli
altri operatori siano comunque tenuti a comportamenti e regole sintone al
contesto stesso. Nei loro confronti i bambini sono chiamati ad una sorta di
pregiudizio positivo: i loro messaggi, i loro punti di vista, si amplificano ed
assumono connotazione di verità. E’ facile allora capire come la portata dell’episodio risulti dilatata proprio dal contesto, nonché dalla autorevolezza se non del protagonista, certo
dei “comprimari”, alias la classe
insegnante.
L’episodio
è grave anche alla luce degli studi, che
collegano gli effetti della violenza assistita a quelli della violenza
subita o di quella perpetrata. Quella
sugli animali è stata individuata come
uno dei criteri di diagnosi per il Disturbo della Condotta già dal 1987, quando
per la prima volta lo ha stabilito il DSM (Manuale di Disturbi Mentali), connotandola come elemento tipico di un
disturbo, come tale degno di attenzione e di cura. Ne consegue che perpetrare
violenza sugli animali davanti ai bambini in un contesto scolastico viola
drammaticamente qualsiasi norma in loro tutela.
Quali
siano state le ripercussioni sugli alunni è questione da non trascurare, a fare
inizio dal fatto che saranno state di certo diversificate: perché qualunque
avvenimento si situa, prende forma, assume risonanza a seconda di come si coniuga con i vissuti di
ciascuno: vi saranno stati bambini per i quali una pregressa esposizione a
modelli familiari violenti, agiti contro umani e nonumani, può purtroppo essere
stata la norma; e altri fortunatamente tutelati nel loro ambiente di origine da
ogni forma di crudeltà: il tutto lungo un continuum senza soluzione di
continuità. Le reazioni all’episodio saranno state conseguenti: possono essere
risultate scioccanti per l’esposizione ad un grado di crudeltà fortunatamente
prima sconosciuto; oppure possono avere confortato l’abitudine a modelli
violenti; o ancora: possono avere dato la stura all’emergere di precedenti esperienze
magari rimosse, scardinando meccanismi di difesa per loro stessa natura
protettivi. In ogni caso un evento emotivamente tossico.
Il
tema della violenza è troppo vasto ed importante per poter essere sottostimato,
qualunque sia la forma in cui si manifesta: invade la sfera personale, sociale,
economica, educativa, giuridica. L’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’affrontare
il tema della sua necessaria prevenzione, parla di “modelli ecologici”, vale a dire sostiene
che deve essere presa in considerazione nella
sua enorme complessità e riconosciuta in
tutte le sue manifestazioni, troppe delle quali vengono disconosciute solo
perché normalmente accettate: a partire, aggiungo io, dallo scapaccione
“educativo” al bambino, dal cane alla catena, dal morso nella bocca del
cavallo, per citare solo le più comuni. A sgombrare il campo da minimizzazioni
sempre dietro l’angolo, vengono in aiuto le Linee Guida per la Protezione dei
Bambini dalla Violenza, stabilite dal Consiglio d’Europa nel 2009: chiariscono
che i minori devono essere protetti da qualunque forma di violenza “however
mild”, espressione grandiosa nel suo significato: “anche tenue”. In un mondo,
in cui i bambini sono anche quelli devastati quotidianamente dai bombardamenti
siriani, imprigionati come criminali nelle prigioni libiche, ammazzati di botte
da padri e patrigni nelle case italiane, la tentazione di giustificare con il
confronto vantaggioso la cronaca del gattino ucciso senza colpa è dietro
l’angolo: “non facciamola tanto lunga…..altri sono i fatti gravi….” Quel mild
marca la forbice tra il giudizio di chi ne è autore e il riverbero su chi ne è
vittima e lo annulla: eliminando il peso
di interpretazioni soggettive,
relativizzazioni, prevedibili distinguo. Perché tutte le forme di crudeltà sono
collegate tra loro a livello di spinte di base, di manifestazioni, di
interdipendenza reciproca
In
conclusione, è fondamentale avere coscienza della portata di ogni comportamento:
lavorare per la costruzione di società non violente, sempre che sia questo quello che vogliamo, non ammette la possibilità
di ignorare che ogni atto crudele può dare inizio ad un processo di assuefazione:
“Una volta formatosi nella vita psichica, nulla può perire” diceva Freud; se si
vuole prevenire, bisogna prima di tutto riconoscere le responsabilità insite
nei propri comportamenti nei confronti degli individui più fragili e
vulnerabili quali appunto sono i bambini.
Ultima
considerazione: il probabile coinvolgimento di più figure nella scuola, ben
oltre le singole responsabilità, adombra l’esistenza di un clima culturale che
lo ha reso possibile, in una ipotizzabile
assuefazione a fatti di analoga portata; non si infierisce così su un essere
indifeso se questo comportamento non è già entrato nel proprio mondo
esperienziale; chi, pur avendone il dovere, non si è sentito sollecitato ad
impedire o interrompere una scena di ordinaria violenza evidentemente non l’ha
vissuta come inaccettabile brutalità. Si impone una seria riflessione, si
impongono interventi riparativi dei danni psicologici compiuti sui bambini
(quelli fisici sul gattino purtroppo non
contemplano rimedio), ma anche preventivi rispetto al possibile ripetersi di
simili accadimenti e soprattutto chiarificatori di tutte le forme in cui la
violenza si esprime. “Se fossimo
governati da persone di buon senso, la tutela degli animali rientrerebbe tra le
priorità di ciascuno” dice il giornalista Kieran Mulvaney: ottimo compendio di
una realtà dalle dimensioni enormi, se solo ci decidessimo a prenderne davvero atto.
Ho visto cose terribili e ne sono sconvolto. Mi meraviglio però che accadano ancora, come decenni fa, nell'indifferenza dei più.L' insegnante della classe era presente? il preside è stato informato? Se si, dovrebbero essere destituiti Ed i bambini si educano così? Bruno Fedi
RispondiEliminaCaro Bruno, dell'insegnante non si sa niente. Il preside ha giustificato. I bambini speriamo siano presi in carico. per il gattino quel che è stato è stato, ahimè. Episodi che continuano ad accadere.
RispondiEliminaAlcune domande troveranno, forse, risposta con il processo che si celebrerà. Gaia Animali & Ambiente Onlus ha sporto denuncia-querela e si costituirà parte civile. Ergo: sarà presente, con la propria avvocatessa di Gaia Lex, a vigilare.
RispondiEliminaOttima cosa!
EliminaSono un'insegnante e mi vergogno profondamente per quello che è successo. Concordo con quanto scritto da Bruno Fedi.
RispondiEliminaStiamo a vedere cosa diranno gli insegnanti della scuola, quando deicderanno di dire qualcosa!
Eliminasperiamo che una punizione ci sia , c'è l'art. 544 che punisce con il carcere fino a 18 mesi chi uccide un animale senza necessità .
RispondiEliminaE speriamo che se ne parli tanto, in modo da espandere l'idea dell'inaccettabilità di questi comportamenti: siamo sempre indietro anni luce in tema di rispetto per i nonumani
EliminaMa non sarebbe bastato accompagnarlo,coi gesti dello stesso bastone - resi inoffensivi - verso l'esterno ? Più persone potevano facilmente incanalarlo in una direzione obbligata ! Mi sembra così assurdo un fatto del genere in una scuola!? !?��
RispondiEliminaCerto Stella, sarebbe stato logico fare così. Chi usa i metodi usati dal bidello lo fa paerchè è abituato a farlo: questa è la realtà.
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