inflitti agli animali
appartengono
legittimamente al dolore infinito della
storia
e ne modificano il senso, se ne abbia uno” Guido Ceronetti
Come previsto, la ricerca è
proseguita a spron battuto e il 23
gennaio di quest’anno dallo stesso Istituto cinese arriva la festosa notizia:
nuova clonazione e questa volta le scimmie sono cinque e, udite udite, tutte malate di insonnia.
In breve: degli animali sono
stati modificati geneticamente in modo da silenziare un fattore che regola il ritmo
biologico e quindi l’alternarsi del sonno e della veglia e a loro hanno prelevato delle cellule, con cui è stata poi completata la clonazione: il risultato sono le
cinque nuove scimmiette con lo stesso difetto genetico, destinate a non dormire mai, fino alla fine
della loro miserabile vita.
Davvero un successone, spiegano i cinesi,
visto che mai prima si era riusciti a
clonare animali affetti da insonnia, disturbo capace di generare a propria volta
squilibri ormonali, ansia, depressione, schizofrenia: di tutto questo soffriranno i cinque
piccoli primati nati in laboratorio, ma non poniamo limiti, perché, secondo il
parere di Hung-Chun Chang (coordinatore
dello studio pubblicato su National Science Review), potrebbero insorgere anche altre
patologie neurodegenerative, riprodotte in laboratorio.
Apprezzamento è arrivato anche dagli scienziati di casa
nostra, tra cui Carlo Alberto Redi (accademico
dei Lincei e direttore del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie
dell’Università di Pavia), che, sottolineando la “serietà” dell’esperimento, afferma che in questo modo "si sono ottenuti 'avatar' suscettibili di malattia nelle
scimmie, gli animali più vicini all’uomo"; e di Giuseppe Novelli (rettore dell'Università di
Roma Tor Vergata), che pregusta possibili progressi nella cura del diabete
nonché dell’ invecchiamento precoce, “perché
finalmente abbiamo ciò che mancava, vale a dire un animale modello di malattia
così vicino a noi.”
Non saremo quindi più costretti ad accontentarci dei topi, da sempre martoriati in numero oceanico, ma ahimè più lontani da noi quali “modelli”, quindi poco utili, come si deduce dalle parole degli stessi ricercatori, che pure con accanimento si sono prodigati ad usarli e abusarli, in spregio dell’opposizione di parte del mondo scientifico che da tempo ne sostiene la non validità. Ma tant’è: con tutti i topi che ci sono, ed esseri spregevoli quali noi li consideriamo, non è il caso di porsi tanti problemi al loro impiego, pur se inutile.
Non saremo quindi più costretti ad accontentarci dei topi, da sempre martoriati in numero oceanico, ma ahimè più lontani da noi quali “modelli”, quindi poco utili, come si deduce dalle parole degli stessi ricercatori, che pure con accanimento si sono prodigati ad usarli e abusarli, in spregio dell’opposizione di parte del mondo scientifico che da tempo ne sostiene la non validità. Ma tant’è: con tutti i topi che ci sono, ed esseri spregevoli quali noi li consideriamo, non è il caso di porsi tanti problemi al loro impiego, pur se inutile.
Mentre il dibattito continua a
snodarsi tra timori etici totalmente antropocentrati ed entusiasmi scientifici, restano escluse dal
perimetro dell’interesse le piccole scimmiette, protagoniste perplesse e
inconsapevoli, nonostante sia su di loro che si gioca tutta la partita, partita
tragica, di perenne sofferenza: le prime destinate allo studio di malattie, quali Parkinson e tumori, da fare
insorgere nei loro corpicini; le altre già malate ancora prima di aprire gli
occhi su un mondo il cui orizzonte sarà per sempre delimitato dalle pareti asettiche
di un laboratorio e su cui neppure per un attimo potranno chiudere gli occhi
per un po’ di riposo vista la loro condanna senza appello ad una veglia
perenne. Esserini da far crescere per un
po’ in ambienti protetti e sterilizzati affinchè, non sia mai, non si ammalino
di alcuna malattia imprevista, perché malate devono essere e tanto, ma solo di
quei morbi che animano l’interesse dei loro studiosi, e che presumibilmente in natura
non potrebbero mai sviluppare. In ogni caso se qualche imprevisto dovesse
malauguratamente rovinare il “modello”
da loro rappresentato, non ci sarà da preoccuparsi oltre misura, dal momento
che l’auspicato “esercito” di loro omologhe giustificherà un uso rilassato,
qualche spreco, qualche generosità nell’impiego del “materiale” abbondante.
Il richiamo allo psicologo
statunitense Harry Harlow (1905-1981) e
ai suoi macabri esperimenti è potente: intorno agli anni ’60 del secolo
scorso, intenzionato a studiare le conseguenze della deprivazione
materna, cominciò ad utilizzare piccoli macachi, che staccava dalle madri a solo
poche ore di vita, e poi chiudeva in gabbie, in cui inseriva “madri finte”, di
stoffa e di metallo. I piccoli cercavano un disperato contatto con la “mamma morbida”,
preferendola a quella di metallo pur se era quest’ultima a fornire il latte. Il
bisogno di contatto era talmente forte che i piccoli si avvicinavano a queste
madri surrogate anche quando queste erano dolorosamente respingenti, come
dimostrò il dr. Harlow, che usò “madri” progressivamente sempre più minacciose:
capaci di emettere aria compressa ad
alta pressione, poi in grado di oscillare violentemente al punto di far tremare
i denti e il capo del cucciolo, di buttare fuori una struttura metallica, che lo
allontanava violentemente, fino ad arrivare alla “madre porcospino” che emetteva
aculei metallici. Niente da fare: i cuccioli, benchè angosciati, non smettevano di aggrapparsi alla “madre”, perchè così fa un bambino spaventato: "Non ottenemmo come risultato alcuna psicopatia, ma non
desistemmo.”
La successione orrenda delle fasi dell’esperimento risulta struggente persino da descrivere; ma non per il dr. Harlow da ideare , dal momento che proseguì facendo costruire un suo personale "pozzo della disperazione", in cui teneva in totale isolamento dalla nascita e per molti mesi dei piccoli di macaco, per studiare le loro reazioni: reazioni che, non sorprenderà sapere, erano di paura. Lecito qualche interrogativo sulla personalità del dr. Harlow, su cui risulta illuminante una sua dichiarazione (1974): "L'unica cosa che mi interessa è se una scimmia rivelerà qualcosa che posso pubblicare. Non ho alcun amore per loro. Mai averne. Non mi piacciono gli animali. Disprezzo i gatti. Odio i cani. Come potrebbero piacermi le scimmie?" Appiattimento emotivo, sentimenti negativi, utilitarismo come unica bussola del comportamento.
La successione orrenda delle fasi dell’esperimento risulta struggente persino da descrivere; ma non per il dr. Harlow da ideare , dal momento che proseguì facendo costruire un suo personale "pozzo della disperazione", in cui teneva in totale isolamento dalla nascita e per molti mesi dei piccoli di macaco, per studiare le loro reazioni: reazioni che, non sorprenderà sapere, erano di paura. Lecito qualche interrogativo sulla personalità del dr. Harlow, su cui risulta illuminante una sua dichiarazione (1974): "L'unica cosa che mi interessa è se una scimmia rivelerà qualcosa che posso pubblicare. Non ho alcun amore per loro. Mai averne. Non mi piacciono gli animali. Disprezzo i gatti. Odio i cani. Come potrebbero piacermi le scimmie?" Appiattimento emotivo, sentimenti negativi, utilitarismo come unica bussola del comportamento.
Non stupisce che i suoi
esperimenti siano ricordati tra quelli più sadici e crudeli, tali, si ritiene,
da avere alimentato per reazione la crescita della sensibilità animalista,
insieme alla convinzione autoconsolatoria che siano stati possibili solo in un’epoca in cui, liberi da vincoli
etici, gli scienziati potevano permettersi di tutto.
Ma davvero gli esperimenti a cui sono oggi sottoposte le scimmiette cinesi risultano meno spietati?
Ma davvero gli esperimenti a cui sono oggi sottoposte le scimmiette cinesi risultano meno spietati?
Sarebbe rassicurante poterlo
credere, ma non sembra proprio. Anche loro sono immediatamente separate dalle madri e questa separazione forzata è fonte di quell’angoscia, di cui già
Harlow prendeva atto perché ”l’unica
risorsa di un piccolo colpito o respinto –sia esso umano o rhesus- consiste nel
creare a tutti i costi uno stretto contatto con la madre”.
Ma, mentre Harlow divulgava queste osservazioni, che erano l’oggetto dei suoi esperimenti, non troviamo menzione delle reazioni, che possiamo immaginare ugualmente sconvolte, inconsolabili, terrorizzate, delle scimmiette cinesi E che dire della depressione? Harlow la innescava mettendo gli Animali nel pozzo della disperazione, oggi gli scienziati la provocano come effetto della privazione del sonno.
Ma, mentre Harlow divulgava queste osservazioni, che erano l’oggetto dei suoi esperimenti, non troviamo menzione delle reazioni, che possiamo immaginare ugualmente sconvolte, inconsolabili, terrorizzate, delle scimmiette cinesi E che dire della depressione? Harlow la innescava mettendo gli Animali nel pozzo della disperazione, oggi gli scienziati la provocano come effetto della privazione del sonno.
Quanto agli autori degli
esperimenti, il dr. Harlow rivendicava orgogliosamente indifferenza,
insensibilità, odio nei confronti degli Animali
che torturava: altri tempi. Oggi i suoi
epigoni se ne guarderebbero bene: si sono evoluti psicologicamente e sono ben consapevoli
di dover neutralizzare le proteste di una
parte dell’opinione pubblica con metodi ben più efficaci di un provocatorio ed
ostentato menefreghismo: molto più efficace ricorrere ad un meccanismo ben
collaudato quale quello della giustificazione
morale: se il male inflitto è funzionale ad avere la meglio sulla sofferenza
umana, a lenire il dolore nostro e delle persone care, dei nostri figli (!!!),
allora è giustificato, anzi lecito: di più: doveroso. Non occorre neppure
argomentare tanto: basta distogliere
l’attenzione dalle vittime e concentrarla sull’obiettivo, sulle ricadute
preziose sul benessere umano. Insomma, l’ assioma per cui il fine giustifica i
mezzi è di incredibile presa e, come sempre nella storia dell’umanità,
giustifica qualsiasi oscenità.
Un’attenzione particolare in
tutta la vicenda merita l’informazione mediatica, in grandissima parte ancella
fedele della sperimentazione animale come di ogni pratica funzionale a
sostenere il sistema di valori dominante: negli articoli, a fare inizio dai
titoli ad effetto, si sottolineano gli
orizzonti ottimistici che vedrebbero la sconfitta
di malattie, che invadono con il loro carico ansiogeno l’universo delle nostre
paure; si parla di nuove frontiere della scienza; si lodano i successi della
ricerca. Ogni pensiero rivolto a Zhong
Zhong, Hua Hua e alle loro sorelle minori viene sterilizzato: loro semplicemente scompaiono,
non ci sono più: non ci si occupa della loro orribile sofferenza, derubricata a
puro accidente, ininfluente in tutta la vicenda. Il linguaggio è al servizio
della comunicazione: non si parla di Animali, ma di “campioni” o di “modelli”, entità incapaci di suscitare emozioni. Ciliegina sulla torta, non
manca il trito riferimento al “sacrificio”
animale, termine che rimanda ad una sorta di libera scelta all’autoimmolazione
da parte delle vittime, a cui vengono improvvisamente attribuite capacità di
valutazione e di scelta, sulla scorta di spinte altruistiche. Ma come? Non sono
erano solo “modelli animali”?!? Tornano subito ad esserlo con il riferimento a quell’”esercito” messo a
disposizione della ricerca, orrido preludio a quello che avverrà nel chiuso dei
laboratori, rimarcato per salutare una scienza “finalmente” dotata di tutto il “materiale” che serve: e se saranno un esercito le scimmie “usate”
vorrà dire che sarà stato necessario….
Siamo di fronte ad una vera e
propria mistificazione dei fatti: mentre l’esistenza delle piccole e terrorizzate Zhong Zhong e Hua Hua va sfumando, con le loro
sorelle minori, gli scienziati e i giornalisti all’unisono pare abbiano
rimediato ad un errore comunicativo del passato, evitando di riferirsi a loro
con un nome proprio: dare un nome equivale a riconoscere un’identità all’individuo,
renderlo riconoscibile e collegarlo ad un’intera vicenda di vita (e di morte),
come fu per esempio con la pecora Dolly, che rivive ancora nel nostro
immaginario quando il suo nome ne rievoca le vicende. Prudentemente i nuovi piccoli primati sono
soltanto le “scimmie clonate”, sorta di marziani irraggiungibili dalla nostra
empatia, destinate a confondersi nella nostra mente con tutte le altre loro
conspecifiche senza identità. L’oblio è già
in corso: se di Zhong Zhong e Hua Hua si era parlato per qualche giorno,
l’interesse sulle nuove “scimmie clonate” è stato immediatamente racchiuso nel
perimetro del mondo scientifico, non accessibile al vasto pubblico, all’interno del quale è sempre
possibile trovare fastidiosi contestatori. La vita continua e tutto si
dimentica, soprattutto se non se ne parla.
Per il momento davanti agli occhi
ci sono le immagine di scimmiette abbracciate, vicine, a cercare rassicurazione
in altre uguali a sè, ugualmente fragili, pollice in bocca e sguardo mobile
su una realtà ancora sconosciuta.
Intorno tutta una miriade di peluches colorati, risarcimento a prezzi di
realizzo delle loro vite scippate. La più vecchia delle due immagini è già icona
del passato perché Zhong Zhong e Hua Hua, un anno dopo, sono forse solo corpi
deturpati, torturati e malati: se ancora sono vive.
Nel mare di indifferenza e
nell’asservimento al pensiero dominante, che sono la cifra della grandissima
parte dei mezzi di comunicazione, muti davanti alla sofferenza di esseri
indifesi e senza colpa, ancora risuonano dall'Huffington Post, perché mai smentite, le parole dell’allora
senatore Marco Perduca che si augurava che le scimmiette
clonate prendessero il posto dei tanti
gattini che infestano i social “perché
sono i veri migliori amici dell’uomo”: detto da chi vanta nel proprio curriculum la partecipazione non a gruppi di facinorosi violenti, amanti di spedizioni punitive contro clochard indifesi, ma ad
associazioni quali Nessuno tocchi Caino, Certi diritti, Non c’è pace senza
giustizia, lascia disperati perchè interroga ferocemente sul concetto di
amicizia: se è l’universo di dolore che stiamo approntando per le scimmiette
ciò che riserviamo ai nostri migliori amici, bisognerà convincersi che davvero non ci sono più speranze per
l‘umanità.
ti segnalo Project Nim
RispondiEliminaecco il trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=IHoviCO7lpE
il film si trova in italiano
qui (https://www.libraccio.it/libro/9788807740886/james-marsh/project-nim-dvd-con-libro.html) si trova usato
Grazie Francesco: visto tempo fa. sono i tanti gradi in cui si esprime lo stesso orrore.
RispondiEliminaGrazie per le interessanti riflessioni.
RispondiEliminaSul tema della sperimentazione animale/vivisezione ho composto un'opera lirica: http://www.mariamannone.com/composizioni.html
Spero che tra i lettori di questo blog ci sia chia sappia debitamente apprezzare la lirica.
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