sabato 12 ottobre 2013

CAPITINI E GLI ANIMALI

“Il vegetarianesimo è in stretto rapporto con i problemi morali e religiosi, ed anzitutto con il problema dei fini e dei mezzi.”
                    (Da "Aspetti dell’educazione alla non violenza")
Aldo Capitini diventò vegetariano nel 1932, in pieno regime fascista e mentre cominciavano a soffiare venti di guerra: non fu un caso perché la decisione era parte della sua opposizione al clima di sopraffazione in atto e a quanto si preparava ad avvenire; era infatti sua precisa convinzione che, se si fosse imparato a non uccidere gli animali, a maggiore ragione si sarebbe risparmiata l’uccisione di uomini.
Da questo fondamentale assunto il suo pensiero prese a snodarsi, anche nel campo dei rapporti interspecifici, in senso assolutamente avanzato, pacifista, controcorrente: parlò dei doveri morali che abbiamo nei confronti degli altri animali, con i quali abbiamo innegabili vincoli di parentela, e sottolineò come la scelta nonviolenta nei loro confronti abbia delle ricadute sul nostro modo di essere e di percepirci, sulla nostra stessa disposizione d’animo, che diventa più benevola, sulla nostra autopercezione come persone più franche, calme, affettuose. Porre fine alla leggerezza sterminatrice e alla freddezza utilitaria normalmente impiegate nello sterminio degli animali si riflette in accrescimento di valore interiore.

mercoledì 25 settembre 2013

COME LA LA ROMANIA L'UCRAINA 2012

EUROPEI: CAMPIONATI DI CHE?
L’attesa per l’inizio dei campionati europei di calcio sta per concludersi, e con lei, speriamo,  la strage delle migliaia di cani da cui le strade dell’Ukraina dovevano essere ripulite per l’arrivo degli dei del pallone e dei loro fans, uomini duri sì, ma amanti dell’ordine e della pulizia. Visto che  solo la “conclusione  dei lavori” ha consentito la fine del massacro non si può non parlare di grave sconfitta di tutte le  iniziative che hanno avuto luogo per mesi contro questo sterminio: proteste, striscioni subito oscurati e multati perché non si fa, lettere, appelli,   petizioni, diffusione di foto e di video, nella convinzione che davanti alle immagini dell’orrore di sicuro qualcosa sarebbe successo. Niente da fare: le cose hanno seguito il corso stabilito da chi, manovrando le leve del potere, ha proseguito imperterrito, certo di poter contare se non sul silenzio del mondo del pallone, di certo sull’assenza di iniziative che andassero oltre una pacata protesta. Niente di diverso dal sospiro di sollievo che, quando arriva Pasqua, sottolinea che non si uccidono più agnelli, perché sono morti tutti,  o, alla fine del periodo natalizio, ci consola perchè finalmente la gente, abbuffata e satolla, magari per un po’ si asterrà dal mangiare altri animali.

martedì 24 settembre 2013

DALLA ROMANIA CON DOLORE




“Uomini chiamati rosticcieri-trattori si mettono in mezzo alla strada per affondare il coltello nel dorso di un agnello belante (….); poi si abbandona lo sventurato animale che, dopo avere perduto il sangue goccia a goccia, spira con una lunga agonia. Questa scena, che si rinnova a tutte le ore del giorno, ha per spettatori tutti i bambini del vicinato i quali, già  intrepidi come il vittimario[1], insultano l’agnello immolato”.

Questo passo fu scritto da Sylvain Marechal, giornalista e scrittore, verso la fine del 1700; descrive la situazione della città di Parigi, in cui i macelli erano all’aperto, e operavano in continuazione sotto gli occhi di tutti, fornendo uno spettacolo straziante a cui rispondeva da una parte l’indifferenza dei passanti, dall’altra il tifo per il più forte da parte dei  bambini, lì ad imparare la lezione quotidianamente impartita.

domenica 8 settembre 2013

IL BAMBINO GIORGIO. E TUTTI GLI ALTRI




Giorgio, il bambino di tre mesi, in ospedale   perché papà e forse mamma gli hanno spaccato le ossa, quelle del cranio comprese, resterà cieco e sordo per tutta la vita. Commenti? Il linguaggio sempre più spesso è inadeguato, non possiede le parole per dire quello che la mente non vuole pensare: barbarie, crudeltà, ferocia sono termini abusati, non bastano, e altri non se ne trovano. Epoche antiche, dittature sanguinarie, luoghi di guerra ci hanno fornito esempi memorabili di performance  di questo tipo, ma in questo caso, nella Palermo dei nostri giorni, all’interno di una famiglia di certo fortemente disturbata, ma non di quelle avvolte in quel degrado economico e sociale che a volte sembra fornire inaccettabili alibi, l’orrore riesce a diventare ancora un po’ più forte: perché quando tutta  la possibile crudeltà viene rivolta contro il proprio bambino, reo di avere pianto, quando, dopo, l'unica preoccupazione sembra quella di  trovare il mezzo per cavarsela, perché una pena non si ha proprio voglia di affrontarla, non resta che tacere.
Tacere e agire. Cosa che ha fatto  un imprenditore milanese, anonimo per suo volere, che ha dato la disponibilità ad occuparsi vita natural durante di quel bambino, offrendogli tutte le possibili cure: non saranno sufficienti per ripagarlo di ciò che non potrà vedere né di ciò che non potrà sentire; non basteranno perché possa convivere senza sfaldarsi con l’insostenibile consapevolezza di essere stato oggetto di tanta malvagità da parte di chi aveva il dovere di proteggerlo; non basteranno: ma di certo conteranno molto.
Molti sono i pensieri che nascono a proposito delle istanze contenute in questa generosissima azione: per tollerare gli abissi della sconcertante oscenità che il male può raggiungere bisogna fare gesti che lo contrastino, che diano la possibilità di credere che, se il male è così grande, altrettanto lo può essere il bene. Soltanto così si può provare a  rendere tollerabile a se stessi e agli altri l’appartenenza al genere umano, altrimenti in quell’abisso non potremo non essere trascinati.
Al di là dell’enorme pena per un bimbo, devastato oltre l’immaginabile, e del senso di incolmabile ingiustizia, a muovere il signore di Milano c’è forse più in generale una  ribellione contro la presenza del male nel mondo. In modi diversi e in altre situazioni, non sono poche  le persone che, come ha fatto lui,  oppongono una resistenza ed una rivolta ad oltranza alle ingiustizie, anche a quelle che non hanno luogo sotto i loro occhi, andando a ripararle là dove più violentemente vengono compiute. Lo fanno medici, infermieri e personale tutto nelle zone di guerra; lo fanno missionari nelle missioni più sperdute; lo fanno tanti cittadini che trovano nel volontariato una struttura in cui il non ricevere alcun compenso per  le proprie azioni di aiuto le rende schiette e incontaminate.
E’ importante ricordare che altre persone fanno parte di questa schiera: sono tutti coloro che raccolgono per la strada cani feriti, affetti dalle peggio malattie, mezzo morti di fame; che spendono tutti i loro soldi per sfamare ogni giorno colonie di gatti ; che dedicano tempo preziosissimo ad un maiale o una mucca salvati dal macello. Credo che, oltre ad essere risposta immediata, empatica e compassionevole alla sofferenza di  un singolo animale, comportamenti tanto assoluti da condizionare una vita intera  testimonino del  bisogno, dell’urgenza, dell’ineluttabilità  di opporre all’infinito male che quotidianamente viene inferto a un numero altrettanto infinito di animali il bene che si è in grado di produrre, con azioni che il  mondo non lo salveranno, ma in qualche modo flebilissimo e fondamentale lo renderanno un posto un po’ migliore. Di certo  non si sposta di molto l’ago della bilancia che resta bene inchiodato sul negativo; per un animale messo al riparo, ve ne  sono schiere sterminate che subiscono una sorte atroce. Ma proprio in questo genere di  gesti riparatori è forse contenuta la forza che rende possibile continuare a stare, nonostante tutto, su questa terra.   “Mi vergogno di essere parte dell’umanità” è esclamazione comune di fronte alle ingiustizie commesse contro gli animali esattamente come contro tutti gli esseri deboli e indifesi. E’ come se esistesse una sorta di responsabilità personale in atti compiuti da altri, di cui ci si sente compartecipi e colpevoli in quanto, come membri della stessa specie, si è contaminati dalla stessa natura potenzialmente spietata .  Non è necessariamente sotto i nostri sensi che avviene ciò che ci sconvolge, ma esiste nell’inconscio collettivo di cui il nostro inconscio è partecipe. La risposta allora può essere quella di lasciare scaturire  dal cordoglio, dalla sofferenza, dal senso di colpa la spinta ad un gesto  riparatore,  che possa ridurre la responsabilità, ristabilire una forma di armonia, ripristinare un’integrità necessaria. La spinta etica diventa mezzo di sopravvivenza psicologica.
A volte la sproporzione tra le forze in campo travolge e la riva depressiva diventa l’unico approdo, perché nessun risarcimento sembra bastare: non sono pochi coloro che, spinti da una necessità imperiosa a  mettersi al servizio di altri animali,   travalicano ogni limite personale: nulla sembra bastare davanti al proprio giudizio implacabile. Bisogna fare sempre di più a rischio dell’annullamento, fisico o psichico,  di se stessi e scendere  in abissi  di sofferenza, dove non c’è possibilità di dare sollievo ad un senso di colpa cosmico, che si trasforma in volontà di espiazione e di annientamento.
Bello sarebbe se ci fossero, ma non ci sono, strade già segnate: forse la capacità di indignarsi resta l’arma più potente, se l’indignazione non resta vacua parola ma diventa strumento per cambiare le cose del mondo. O, molto più semplicemente, per fare la propria parte nel contrastare le cose di questo mondo: in difesa di tutti gli indifesi, di qualsiasi specie siano.

domenica 28 luglio 2013

DAL PORCELLUM ALLA PORCHETTA: IL PASSO è BREVE




Fu l’onorevole Calderoli a definire "porcata", da cui poi il termine invalso di "porcellum",  il sistema elettorale da lui stesso sostenuto nel momento in cui cominciò a considerarlo una sozzeria, un abominio, un disastro. Prescindendo dalla spensieratezza con cui  un uomo politico prende atto dei propri errori  e  serenamente resta dov’è,  non può non colpire la determinazione con cui l’onorevole pesca nel suo bestiario  interiore in cerca di metafore ad hoc. E se è nel  mondo dei primati che trova immagini che, nel suo pensiero, sono utili a denigrare la gente di colore, è di quello dei suini che si serve per connotare  lo sprezzo per ciò che ritiene innegabilmente idiota: una vera porcata, insomma.

lunedì 22 luglio 2013

L’ONOREVOLE E L’ORANGO







 I PENSIERI E LE PAROLE
 L’onorevole (a quando la messa al bando degli ossimori?!?) Calderoli che pensa ad un orango quando guarda il ministro Kienge è l’occasione per alcune riflessioni sul linguaggio. Linguaggio che non è mai casuale:  veicola informazioni, idee, modi di pensare non solo attraverso l’elaborazione del pensiero, ma anche grazie all’uso dei termini che sempre sono carichi di un significato che va oltre il letterale per includere il suggerito, il metaforico, il simbolico.
Il mondo animale, in questo senso, è un pozzo senza fondo di idee, qualche volta frutto di associazioni logiche, molto più spesso legate alla rappresentazione che degli animali abbiamo costruito, altre volte ancora connesse ad una distorsione di pensiero.
Si può cominciare dalla constatazione che metafore dal mondo animale sono regolarmente e sapientemente utilizzate nel corso delle guerre, antiche e moderne,  quando la necessità di solleticare i peggiori istinti, di animare un odio che stenta a svilupparsi perché non è nutrito da alcuna ragione, connota con epiteti animali il nemico: lo scopo, purtroppo raggiunto, è quello che l’altro viene disumanizzato, abbassato al rango di animale non umano, e in questo modo reso più facile vittima di una violenza irragionevole. “Prima di morire, la vittima deve essere degradata, affinchè l’uccisore senta meno il peso della sua colpa” commenta  lucidamente Primo Levi (“I sommersi e i salvati”, Einaudi 1986) cercando l’introvabile senso degli orrori di Auschwitz. L’elenco è quanto mai vasto: era Churchill a parlare del “cane giapponese”, i giapponesi definivano “maiali” i cinesi,   “topi di fogna” erano gli ebrei durante il nazismo, “scarafaggi” i tutsi nel massacro a colpi di machete in Ruanda, “tacchini” gli iracheni in fuga nella guerra del golfo; topi drogati, nel linguaggio di Gheddafi, i ribelli che lo stavano spodestando nella guerra civile del 2011.

giovedì 4 luglio 2013

LA PELLICCIA DI LUCIO DALLA E LE CORNACCHIE CONDANNATE A MORTE

Alla morte di Lucio Dalla, nel marzo del 2012, tra le tante fotografie pubblicate, due lo vedono, in tempi diversi, avvoltolato in pellicce di imprecisati animali



C’è una fotografia di Lucio Dalla che obbliga a tanti pensieri, quella in cui appare avvolto in una pelliccia, di animale non bene identificato. Superfluo tessere le lodi di Lucio Dalla e ricordare che  lui è stato molto di più di un cantante, è stato il cantore di un’umanità sconfitta, ha guardato nelle pieghe delle ingiustizie sociali e ne ha colto la sofferenza; ha visto la pena dei carcerati e ne ha condiviso gli aneliti a vivere la propria umanità nei sentimenti umiliati da una giustizia disumanizzante. Il soldato che, in Itaca, combatte una guerra che darà vanto solo al suo capitano ha la stessa profondità del povero  di Bertol Brecht, che, qualunque sarà l’esito della guerra, sarà sempre un vinto.

L’AMBIGUA FASCINAZIONE DELLE ARMI

Negli Stati Uniti un bambino di due anni uccide per sbaglio sua madre con la pistola che lei teneva nella borsetta: e si torna a parlare della diffusione delle armi.
                                                        
La  vendita di armi è  commercio internazionale che non conosce crisi, in cui gli italiani-brava-gente  occupano posizioni di tutto rispetto: se non è recente la notizia degli  indiani dello stato del Madhya Pradesh,  disposti a farsi sterilizzare se il compenso  è un’arma, è invece ciclica quella che  le annuali fiere delle armi in varie città italiane registrano un numero sempre crescente di visitatori (lì i papà ci portano anche i bambini in gita); mai sopite richieste di  norme meno restrittive per la concessione del  porto d’armi a privati cittadini fanno da eco ad ogni argomentazione sul bisogno di sicurezza; se sono addirittura superflue le osservazioni sulle tragedie sempre in onda negli Stati Uniti, anche in Italia di tanto in tanto si legge che in varie città  ”è corsa al porto d’armi”.  
Insomma, per motivi solo in parte coincidenti, il fascino delle armi si esercita sulle nazioni e sugli individui.  
Le considerazioni sulla loro diffusione  per uso bellico richiedono argomentazioni politiche, sociali, economiche: ma, quando si tratta di difesa personale, sarebbe importante non misconoscere la prospettiva  psicologica e concedere  attenzione alle  disposizioni e reazioni personali, punto di partenza di ogni altra  analisi.  Anche i fatti  dell’India, il cui governatore, soddisfatto dell’inaspettato risultato della sua iniziativa,  aveva affermato di avere “disinnescato il mito maschile della virilità con quello ben più forte delle armi”, aiutano ad una lettura a 360 gradi delle complesse dinamiche che restano vivaci dietro l’invocazione al diritto alla legittima difesa.

mercoledì 3 luglio 2013

ZOO, CIRCHI, SAGRE

Foto di Wei Seng Chen


Zoo, circhi, sagre, sono contesti in cui gli animali vengono tenuti imprigionati, costretti in condizioni incompatibili con la loro natura, obbligati a performances estranee alle loro inclinazioni, allo scopo esclusivo di divertire il pubblico. Il fenomeno non è di poco conto se si considera che in Italia i circhi sono circa 300, che gli zoo vanno aumentando pur nelle forme di zooparchi, che hanno ancora luogo annualmente un migliaio di sagre di Paese dove, ad un certo punto, la folla per divertirsi maltratta quache animale.


Non possiamo fingere di non sapere che gli orsi in bicicletta, le tigri che attraversano cerchi infuocati, i leoni seduti sugli sgabelli, gli elefanti che danzano a ritmo di musica nei circhi sono il risultato di tecniche di ammaestramento crudelissime. Un percorso che ha sempre il suo prologo con un rapimento, la sottrazione forzata di questi animali dai loro luoghi di origine con l'inevitabile uccisione di molti esemplari e la morte accidentale di tanti altri. Una sottomissione che prosegue poi con metodi per indebolire la volontà degli animali prigionieri. Con la privazione di acqua e cibo, con gli ordini impartiti alle povere bestie percosse con fruste, bastoni e ferri roventi. Non hanno difficoltà ad ammetterlo gli stessi circensi, i "domatori" secondo cui la libertà e la bellezza della natura sono sacrificabili al gusto di un addomesticamento forzato.

TOPI CHE RIDONO E MAIALI CHE PROVANO NOSTALGIA



 Chiunque abbia un animale sa perfettamente a cosa ci si riferisce quando si parla dei loro sentimenti e delle loro emozioni; conosce l'imbarazzante capacità del proprio cane di immensamente gioire per ogni ritorno quotidiano del suo compagno umano rimasto lontano solo per poche ore come quella di farsi invadere dall'angoscia con crisi di inappetenza al solo vedere ricomparire valigie che risvegliano il ricordo di separazioni inaccettabilmente prolungate; distingue il miagolio di protesta da quello di pigra soddisfazione del micio di famiglia; addirittura si accorge quando gli scatti del suo pesce nell'acquario testimoniano inquietudine e nervosismo o invece, sinuosi e lenti, lo rivelano appagato e tranquillo.

Insomma, la conoscenza e la familiarità, mediati dall'affetto, consentono di prendere atto dell'esistenza articolata di un mondo interiore degli altri animali, fatto per altro già evidenziato alla metà del 1800 da Darwin, che aveva riconosciuto che essi provano emozioni di tutti i tipi: sono gelosi e nostalgici, sentono simpatie ed antipatie, sanno divertirsi e desiderano giocare.