Ogni
adulto, che sia in grado di pensare, che non sia sottoposto a costrizioni, e che abbia libero
accesso ai mezzi di informazione è di fatto responsabile delle proprie azioni. Anche
l’essere o non essere vegani, quindi, non è categoria dell’essere, ma scelta
libera e consapevole, somma di comportamenti che dovremmo controllare.
Dovremmo, per l’appunto, ma troppo spesso non lo facciamo: perchè non fluttuiamo
in uno spazio vuoto in assenza di gravità, ma siamo impastati nella cultura che
ci plasma, ci intride e ci condiziona, attraverso meccanismi a cui tendiamo troppo
spesso a soggiacere passivamente, senza
riconoscerli, lasciandoci cullare nell’inerzia dell’irresponsabilità. Cultura che
tendiamo a scambiare per assoluto, ogni volta che siamo incapaci di coglierne la
relatività.
Affiancare
al termine cultura quello di pubblicità può
sembrare un azzardo, un ossimoro, ma, al
netto di snobismi, la sua influenza, forte di una presenza pervasiva e
ossessiva, è enorme nel modellare i
costumi di quelli che ne sono gli utenti, cioè inevitabilmente tutti noi, talvolta fruitori attenti e convinti, molto
più spesso ascoltatori distratti, ma anche in questo caso inconsapevolmente
permeabili ai messaggi.
Uno
sguardo ai meccanismi di cui si serve è illuminante, fonte di molti elementi di
riflessione e comprensione. Prima di
tutto, un click sul telecomando ad una
qualsiasi ora serale: entriamo senza sforzo
in medias res, davanti ad una
successione interminabile di input a mangiare animali, che però non sono riconoscibili
come tali, ma trasformati in cose, prodotti di consumo e niente più.
A
ruota libera:
Ti parlerò d’amore e
sfoglierò una rosa :
credere o meno, è da un grammofono del 1944, a voce della cosiddetta divina Wanda Osiris, che arriva la
sollecitazione a consumare mortadella dal Consorzio di Bologna. Per la cronaca, i versi successivi specificano sulla tua bocca ansiosa che non conosco
ancor…
Il primo amore non si scorda
mai: ricordi in agrodolce delle prime passioni
giovanili, palpiti e carezze entrati nelle nostre memorie inossidabili ? No:
trattasi invece di prosciutto cotto.
Quel
prosciutto che, in altro spot, un
ragazzino in improbabile estasi gastronomica gusta arrotolato su un grissino,
sotto lo sguardo paterno dell’affettatore, a cui è lui a ricordare in tono di
affettuoso rimprovero che….Ma papà! è Granbiscotto. Si, perché tutto
sommato è molto meglio ribattezzare e dolcificare quegli enormi pezzi animali
che pendono dal soffitto di una stanza adibita ad hoc: e un biscotto può fare al caso. Il padre con tono rapito, degno di un’ ode del Petrarca, fa sapere
al suo pargolo in età evolutiva che il gusto è morbido
e leggero: il tutto per conto della
Rovagnati.
Il
tono si può fare ancora molto più leggero ed entrare nel registro della
commedia all’italiana se si ingaggia uno come Christian De Sica che fa il
tombeur de femmes dietro il suo bancone di prosciutti al ritmo di oh c’est si bon! Amstrong, ….tanto per
non farci mancare nulla.
Nella
sua estrema versatilità lo stesso De Sica (che nostalgia di Vittorio!) può facilmente
convertirsi da testimonial della carne di maiale a quella bovina e riempire di
scatolette l’interno del suo impermeabile, che apre dopo scarsa resistenza,
portato via da due tutori dell’ordine:
siamo tutti maniaci…della Simmenthal
dice nella sua veste di felice squilibrato in uno spot che più
unconventional non si può, a favore di un brand che di tutto si può accusare
tranne che di non avere uno spirito gioioso e informale.
L’approccio
può mutare: ed essere democraticamente onnicomprensivo, inglobando senza tante
sottigliezze qualsivoglia “prodotto”: è allora una coppia di mezza età (per inciso talmente poco attraente da
sollecitare la domanda su che presa possa mai avere, su chi siano quelli
disposti ad una identificazione tanto malinconica) evidentemente
rappresentativa del consumatore medio, ad
ammiccare a favore della Conad e di tutti i suoi alimenti con zoomate su brandelli
di animale di qualsivoglia specie. Purchè italiane, beninteso, perché è questo
quello che conta. Il commentatore, mentre con tono ispirato ricorda in sottofondo che ci sono persone oltre le cose
(e in quest’ultima categoria ha appena
immesso le cosce di bovino adulto) mostra sintomi di preoccupante confusione nel
non riconoscere che, oltre alle persone, non ci sono solo cose, ma purtroppo anche
animali, quelli che lì, nel ruolo di
vittime, sono costretti ad esserci grazie alla Conad e a tutti gli altri. Che
neppure li vedono. Pubblicità speculare a quella cartacea de Il Gigante, che,
quando ci sono Feste, quelle con la F maiuscola, propone bontà che, a fronte di
un ananas, glorificano Coniglio disossato,
l’Orata di Portovenere, il Cappone anche lui disossato, il Salmone
preaffettato: 4 a 1, ma talvolta va persino peggio e il confronto tra
esseri senzienti e non, può terminare con un sonoro cappotto.
C’è
poi il tonno: e ancora una volta il tono diventa elegiaco e parla di qualità e…. tenersi forti, rispetto
!!!!! Presente la pesca del tonno????? E’ Asomar a rassicurare che i suoi sono solo tonni adulti perché l’azienda
è, tenersi forte un’altra volta, Friend of the Sea: In quanto tale, si
sente autorizzata a sfidare sul piano dell’etica i suoi concorrenti, Nostromo &
c, che si limitano a gioiosi tributi alla tenerezza, tra nonni bonari e nipotini spensierati. Altri tonni in altri spot sono salutati con un
dispiacere che vorrebbe essere divertente perché sono sempre i migliori che se ne vanno.
Ancora:
ecco la mamma che, proprio perché la
mamma è sempre la mamma, non fa mai mancare la Simmenthal al suo pargolo
riconoscente ; ed ecco quell’altra mamma che non può mancare se c’è Aia perché Se c’è Aia c’è gioia, e se c’è mamma c’è
bonbon Aia. Mamma, gioia e Aia: una nuova trinità, in verità un po’ laica, ma del resto non si può avere tutto.
Si
può continuare con le infinite famiglie
felici che, grazie ad un pollo arrosto, un hamburger o delle cotolette in
centro tavola, trovano il collante di valori di cui si era perso persino il ricordo:
miracoli del galletto e del maialino.
Insomma,
e in sintesi, la pubblicità di prodotti animali la fa da padrona negli spazi commerciali
e, conseguentemente, nei nostri spazi mentali, che va ad invadere. E mentre
sollecita a comprare e a consumare, attua un formidabile meccanismo di
negazione della realtà: una realtà, quella degli allevamenti intensivi, dei
mattatoi, della pesca, delle tonnare, che è di una violenza talmente estrema che
non potrebbe neppure essere immaginata se
non fossero inchieste, documenti, filmati a mettercela davanti agli occhi in
tutta la sua drammatica evidenza. Non è inutile rimarcare che questa realtà non
viene minimizzata o edulcorata o giustificata: viene invece cancellata, negata,
come se non esistesse. E’ il meccanismo difensivo che entra in gioco in
situazioni estreme: si potevano forse minimizzare i campi di concentramento?
L’unica via se non si vuole essere travolti dalle responsabilità è allora la negazione,
meccanismo perverso in cui, come dice
Umberto Galimberti, risiede “la prima
radice, la più profonda, dell’immoralità
collettiva.” Perché induce ad ignorare le grandi ingiustizie ed impedisce la
reazione che potrebbe avere luogo se venissero riconosciute. Ecco: nella
pubblicità il meccanismo della negazione è totale: sono completamente negati
gli animali dal cui sfruttamento e uccisione provengono tutti i prodotti
reclamizzati: semplicemente viene negata la loro stessa esistenza a vantaggio
della “cosa” alimentare in cui sono stati trasformati.
Non bastasse,
si può sempre fare di più e ricorrere alla formazione reattiva, vale a dire
mettersi al riparo da possibili contraccolpi emotivi, dovesse fuoriuscire
qualche brandello di verità, trasformando
la realtà e facendola corrispondere, appunto reattivamente, al suo contrario: laddove sangue, sofferenza, crudeltà, terrore,
grida sono esplosive, il mondo viene ossessivamente descritto con riferimenti
a gioia, tenerezza, rispetto, bontà,
morbidezza. Meglio lasciare l’Ombra, il male, ben nascosto nel profondo, e
abbagliare con fasci di luce la superficie.
Non sono certo un caso neppure l’uso e
l’abuso dei bambini: siccome è sempre
meglio cominciare da piccoli, bambini e bambine di ogni età ringraziano mamme
dolci e sorridenti per avere loro messo nel piatto pasticci di carne, cosa per
cui si sentono indistintamente, ma poderosamente in dovere di filiale riconoscenza.
L’operazione
pubblicitaria che coinvolge i destinatari più giovani si gioca sulla
consapevolezza che il cibo contiene istanze simboliche di potente pregnanza,
che trasmettono messaggi suggestivi associando il cibo al
mondo degli affetti: ne consegue che, a livello inconscio e profondo, andranno determinandosi
sovrapposizioni e identificazioni tra le relazioni familiari più importanti e
il cibo animale, operazione facilitata dal fatto che il cibo contiene in sé valenze profonde, perché va
a solleticare le prime relazioni
familiari, il latte materno, la nutrizione come prendersi cura: è quindi
depositario di forti valenze
simboliche.
Dal punto di vista etico e del benessere psicologico, si tratta
di un’operazione tanto furba quanto disonesta: va a innescare un meccanismo
di scissione tra due realtà che sono
destinate a mantenersi estranee l’una
all’altra: il bambino continuerà a sorridere ai porcellini e a mangiarli, una
volta sgozzati, senza avvertire
l’incongruenza. I genitori prima lo guarderanno con compiacimento intenerirsi
giocoso e dopo gli serviranno in tavola il prosciutto, la carne, il
tonno. Per quanto riguarda loro, la scissione ha avuto inizio da tempo
immemorabile ed è ora perfettamente funzionante: non resta che favorirla a vantaggio delle future generazioni.
Per inciso la scissione è un
meccanismo di difesa psicologicamente
grave, primitivo; è quello che consente di non integrare le caratteristiche
dell’altro in immagini coese, e di assolutizzare ora l’uno ora l’altro degli aspetti che
vengono in contatto con la propria esperienza immediata e con le relative
emozioni: così mi piace tanto il porcellino rosa , con quella sua aria tenera e
ingenua, e lo mangio con grande gusto una volta scannato. “Ma cosa
c’entra?!” è in genere la risposta
indispettita e di certo non
articolata, che viene fornita a chi,
basito, chiede come sia possibile una tale dissociata incongruenza.
Dissociazione che pare essere la cifra del mondo adulto rispetto
all’infanzia: da una parte si commuove, si intenerisce e si diverte nel
prendere atto dell’atteggiamento affettuoso e solidale dei bambini verso le
bestie, e, senza soluzione di continuità, li educa ad abitudini che ripercorrono
e cronicizzano il quotidiano asservimento e sfruttamento perpetrato a
loro danno.
La manipolazione della
suggestionabilità dei bambini è operazione fin troppo facile: essendo la
loro facoltà di giudizio personale ancora tutta da costruire, essi danno progressivamente forma alla realtà
attraverso i messaggi che gli adulti mandano e la colorazione emotiva che vi attribuiscono: una cosa è buona se è
presentata come tale. Quindi se i
grandi offrono cadaveri e sorridono, si
vede che è giusto così. E non si tratta solo di dare il carattere di postulato
al senso di un comportamento indecifrabile nella sua illogicità: succede di
più, in quanto la sovrapposizione tra quel cibo e l’atmosfera familiare
impedirà di tracciare confini : quelle sensazioni i bambini se le porteranno
con sé diventando adulti e quegli stessi alimenti avranno il potere di evocare
fondamentali relazioni affettive associate al suo consumo.
Insomma, come dice il poeta Kiarostami, i bambini non sono bachi da seta
che diventeranno farfalle: succede ahimè il contrario. O più prosasticamente,
secondo altri, gli adulti non sono che bambini andati a male.
In sintesi quella che viene consumata a livello pubblicitario è
un’operazione tanto subdola quanto
efficace: essa ha origine dalla ovvia consapevolezza che davanti agli spettacoli insanguinati e raccapriccianti che sottendono ogni zampone, salsiccia o asettica scatoletta di
carne almeno una fetta degli abituali consumatori finirebbe per astenersi dal
mangiarne, se non per principi etici, almeno perché l’inevitabile automatico
richiamo alla mente di tale realtà, una volta che le due immagini fossero
associate, per qualcuno risulterebbe
insopportabile.
La pubblicità insomma offre i vestiti al Re: il grande inganno è sotto gli
occhi di tutti, che vivono sereni perché vivere di allucinazioni fa tanto
comodo. C’è chi però il Re lo sa vedere nudo, e non serve essere sciamani e
mistici per alzare il velo: solo un po’ procacciaguai, come possiamo, forse
vogliamo, di certo dobbiamo essere.
Cara Annamaria...purtroppo i bambini sono sempre più presenti nella pubblicità rappresentando un modello da perseguire e i genitori, seguendo questo atteggiamento fuorviante, inducono insegnamenti spesso errati. Ma come pensare che la televisione insegni qualcosa? Uno strumento abile ed astuto utilizzato dai brand per costruire induzioni commerciali e tu, con la tua profonda analisi, lo hai spiegato perfettamente: "PRODOTTI ANIMALI NELLA PUBBLICITA’? SE LI RICONOSCI, MAGARI LI EVITI."
RispondiEliminaInfatti è così...se il cibo d'origine animale viene considerato prodotto commerciale (ovvero "cose") come diffondere empatia verso altre specie?