Lasciando
ad altri contesti una disamina completa
delle argomentazioni, in questa sede è utile entrare nel merito di una ricerca
di cui il suddetto Herzog parla diffusamente nel suo libro, ricerca che lui usa
senza sconti a sostegno delle sue tesi per cui è bene mangiare carne senza
eccedere: si tratta del fenomeno degli onnivori di ritorno, di coloro cioè che,
dopo avere per un periodo di tempo variabile praticato una dieta
vegetariana o vegana, ritornano
baldanzosamente al loro precedente carnismo: è utile farlo anche perché
l’argomento è a quanto pare di attualità, affrontato e amplificato nel numero di aprile 2016 della rivista di
psicologia e neuroscienze “Mente e
Cervello”[3],
il chè testimonia di un fenomeno in atto,
o forse due: l’uno riferito ad una dinamica che induce vegetariani e vegani a
ritornare sui propri passi alimentari -“Hanno visto la luce e ricadono nel
peccato” nelle sarcastiche parole di Herzog - e un’altra che induce ad usare
mediaticamente il fenomeno per una denigrazione, variegatamente dissimulata, del
multicolore universo animalista, polarizzato sulle proprie tesi “con fervore
religioso”.
Herzog,
esperto di zooantropologia, vale a dire della relazione uomo-animali, si
concentra sulla negoziazione personale dei dilemmi etici nell’ambito di tale
relazione, sulla base dei suoi studi e delle sue ricerche in terra americana. La situazione di riferimento è quella di una nazione, gli Stati Uniti, in cui si
mangiano ogni anno circa 10 miliardi di animali per un totale approssimativo di
33 miliardi di kg, non esattamente
un’inezia né un problema da sottostimare. E non può stupire che almeno una
parte dell’esercito delle persone che se ne nutre, si trovi a fare i conti con diffusi
sensi di colpa connessi al consumo per lo meno di qualche specie animale,
diversa a seconda della cultura. Né è di poco conto il fatto, comprovato da
ricerche scandinave oltre che dall’esperienza diffusa, che più un taglio di
carne è rosso e sanguinolento più avversione induce, soprattutto all’interno
del genere femminile, avversione tre volte più comune di quella alle verdure e
sei volte più comune di quella ai frutti: insomma, più le carni sono naturali e
meno piacciono alla vista e bisogna dissimularne l’origine, in direzione
diametralmente opposta alla ricerca di naturalezza che sempre di più investe le
nostre preferenze alimentari generali, all’insegna dell’eco e del bio,
qualunque cosa intendano e sottendano esattamente questi prefissi.
Il
consumo di carne sempre meno è considerato frutto di una preferenza neutra, ma
è invece sottoposto ad un processo di moralizzazione, vale a dire ad un
giudizio etico: per motivi salutisti ed ambientali, perché comporta sofferenza
per gli animali, perché il lavoro sporco degli addetti ad allevamento e
macellazione è terribile. Nonostante tutto questo e la presunta ondata di
vegetarianesimo che sembra spazzare l’America, i consumatori, ancorchè
occasionali di carne, oscillano, in quel paese, tra il 97 e il 99%. E non è
raro il fenomeno di chi si riconosce nella categoria veg[4]
pur mangiando, magari solo ogni tanto, qualche animale: ma pazienza, in fondo un cattolico integerrimo
che cade nel peccato non cessa di considerarsi tale. E se è vero che, a quanto Herzog
sostiene, circa la metà dei veg
sentirebbe desiderio di carne e manterrebbe le proprie scelte con grande
sacrificio, il richiamo alla religione è ancora esplicativo: che fatica non
cadere nel peccato!
Su
questa realtà si inserisce il dato sconcertante che riguarda il fenomeno del
carnismo di ritorno: un numero di persone triplo rispetto a quello degli
attuali vegetariani lo è stato nel
passato, ma poi è tornato alle antiche abitudini talvolta rendendole un po’ più soft, ma talaltra
avventandosi sulle carni in una sorta di crisi da decompressione e mettendo in
atto una logica tanto stringente quanto discutibile: “Pensavo che sarebbe stato
ipocrita mangiare solo pollo o pesce, così passai da niente carne a tutta la
carne”: davvero un bel modo per essere in pace con la propria coscienza.
Se
i dati sono questi, visto che non esistono motivi per metterli in discussione,
molto meno incontrovertibili sono le spiegazioni che Herzog dà al fenomeno. Per
esempio quando afferma che ”il desiderio di mangiarli è la più naturale delle
interazioni umane”: in questo modo con un’asserzione tanto lapidaria dà la
soluzione al problema, vale a dire che mangiare carne sarebbe del tutto
naturale; e di conseguenza sarebbe un movimento contro natura quello di chi ha
deciso di non farlo. Non sembra accorgersi di quanto queste tesi siano antagoniste
rispetto ad altre sue affermazioni riferite a disgusto, avversione, sensi di colpa, connessi
al consumo di carne. Non si può per altro prescindere dal fatto che la visuale
da cui osserva il fenomeno, oggetto dei suoi studi e delle sue ricerche, non è
certo equidistante nè asettica. Di sé stesso racconta infatti che nella vita
non si è fatto mancare nulla, mangiando, qua e là per il mondo, cervello di pecora, intestini di maiale e
culatta di orso nero; che a 36 anni gli capitò di menare fendenti sul corpo
ancora caldo di un manzo da 600 kg; che non si è neppure astenuto dall’aiutare
un amico cacciatore a spellare i procioni, che questi amava esporre nella sua
casa di campagna: insomma un amante degli animali davvero sui generis, che però
si vanta oggi, sì di mangiare carne, ma
non, bontà sua, di vitello, in quanto, combattuto sui limiti dei nostri
obblighi etici nei confronti degli animali, vive in un universo morale
complesso, in cui si muove con scelte a suo dire sfumate : risparmiare i
cuccioli é il suo modo di risolvere il problema.
Per
altro, la sua descrizione di pasti con amici tutto può essere considerata
tranne che neutrale, visto che parla di lussuria della carne, di piacere trascendente nel consumarla, di cene a base di
bistecche oscenamente costose, di purezza platonica nella pancia di maiale. Non
si può non sentirsi irritati da
posizioni di questo genere all’interno di un discorso che fa riferimento
all’etica. Ma l’irritazione è reazione emotiva che nulla toglie ai numeri,
quelli appunto degli onnivori di ritorno: il problema resta e da lui in fondo
arrivano ben poche illuminazioni al proposito, se non quelle che fanno
sarcastico riferimento a cadute di volontà di vegetariani in crisi di
astinenza, personaggetti da quattro soldi che depongono le armi e perdono la
battaglia alimentare allo sfrigolio
delle ali di pollo, quando fritte in olio e lamponi. E che, una volta
abbandonata la lotta, si gettano senza renitenza su fegatini a partire dalla prima colazione , passando poi
per i pasti successivi: e per fortuna la notte dormono.
Con
meno concessioni , affronta il problema in suo articolo la rivista Mente e
cervello, articolo in cui si afferma che per molti il veg non è un
cambio definitivo di stile di vita, ma una fase transitoria, “spesso breve”:
questo sulla base di un’indagine rigorosa di Human Research Council, ora
Faunalytics, svolta su un campione di 11.000 statunitensi, da cui risulta che i
veg sono solo il 2% della popolazione; che l’86 % di chi era stato vegetariano
e il 70% di chi era stato vegano è tornato a consumare carne. La resa avviene
nel giro di pochi mesi: le cause sono variegate e vanno ricercate tra spinte
sociali (disagio nel sentirsi diversi) e familiari (partner non veg) , costi,
gusto, salute. Il “ritorno” è anche in relazione alle origini della scelta:
ritornano più facilmente sui propri passi coloro che erano stati spinti da
motivi salutisti quindi egocentrici, persistono coloro che erano stati mossi
dal convergere di più motivazioni altruiste, verso gli animali, verso
l’ambiente , in funzione di una maggiore giustizia sociale.
Insomma,
per chi ritiene fondamentale, imprescindibile, etico vivere nel rispetto di
tutte le forme viventi, le notizie davvero non sono confortanti. Ma forse, tra
i dati emersi, c’è ben più di uno spiraglio che si può aprire su una realtà un
po’meno disarmante.
Il
dato più eclatante è che le ricerche di riferimento di “Mente e cervello”, come
quelle riportate da Herzog, le une e le altre definite al di sopra di ogni
sospetto, riguardano gli americani, oltre 300 milioni di individui, ma non il
mondo intero. Osservazioni, che nell’articolo in esame appaiono graficamente e sostanzialmente marginali,
dicono per esempio che il mondo veg in Italia è costituito da circa il 6/7% della popolazione, secondo alcune ricerche
anche di più; quindi una percentuale decisamente
maggiore di quella presente in USA; che le motivazioni alla base della scelta da
noi sono relative soprattutto al rispetto per gli animali, solo a seguire a preoccupazioni
salutiste e ambientali. Quindi l’articolo presentato in copertina come
“Carnivori di ritorno: storie di vegetariani pentiti” e il sottotitolo interno assolutizzano e generalizzano quella che invece risulta
essere la realtà americana. Si possono fare ulteriori osservazioni: all’interno
dell’articolo stesso molti sono i riferimenti allo stesso Herzog e gli stralci
riportano, tra le sue affermazioni, quelle che risultano essere particolarmente
ridicolizzanti della realtà veg. Inoltre
l’articolo è corredato da ben quattro immagini a tutta pagina di pezzi di
carne: nulla è neutro nella comunicazione e tanto meno lo sono le foto, che avrebbero
potuto riguardare (o almeno essere intercalate con quelle di) mele colorate, spaghetti al sugo di pomodoro,
insalata verde o lenticchie e ceci, con uguale impatto emotivo nella vividezza
dei colori , ma di segno contrario rispetto al giudizio implicito: è un modo
per sdoganare indirettamente, quasi subliminalmente, la scelta carnista. Non si
può prescindere dalla posizione sulla questione animale della rivista in
questione, prestigiosa e di grande diffusione, che riporta regolarmente i
risultati provenienti dal mondo della sperimentazione animale, su cui mai viene
spesa una sola parola di tipo etico. Del tutto schierata insomma. E sostenere
eticamente la vivisezione parallelamente
alla diffusione del rispetto degli animali attraverso scelte alimentari,
sarebbe davvero difficile.
Di
certo le informazioni di cui si è detto hanno una loro utilità e devono essere
prese in considerazione, scansando il pericolo implicito nel libro e nell’articolo
di una ridicolizzazione del fenomeno veg attraverso la denigrazione dei veg
stessi.
Fondamentale
per esempio prendere atto di come in realtà come quella in cui viviamo si
tratta di un movimento in continua ascesa, che coinvolge strati diversissimi
della popolazione: tante considerazioni derivano dalla prevalenza del mondo
femminile, della ubicazione in centri urbani e del nord, di un grado culturale
elevato. Ne discendono importanti informazioni sul peso dell’empatia, della
cultura e dell’informazione che risultano fondamentali nello scardinare la
cultura dominante, dell’importanza di un contesto di vita critico e aperto.
Informazioni quindi che aprono la strada ad una maggiore conoscenza del
fenomeno e alla possibilità conseguente di stabilire quali sono le strategie
più efficaci per la diffusione di un atteggiamento etico verso tutti gli
animali.
Il
sarcasmo e il dileggio di Herzog, la
solo apparente imparzialità della rivista, evitano ogni accenno ai reali termini
della questione, vale a dire al collegamento tra lo stile alimentare oggi
imperante e l’esistenza di quell’enorme macello che ogni anno nel mondo uccide
176 miliardi di animali, se si ha il buon gusto di comprendere anche quelli
acquatici tra quelli che perdono la vita in ossequio alle convinzioni dell’autore
secondo cui noi umani siamo situati “su un piano morale diverso perchè produciamo linguaggio simbolico,
cultura e giudizi etici: abbiamo un enorme cervello e un grande cuore. Noi
vediamo il mondo in sfumature di grigio” quel
grigio, colore dell’indifferenza, che nemmeno più ci fa percepire il rosso del
sangue che, in nome di tali eccitate convinzioni, facciamo versare agli animali
non umani.
[1] Bollati
Boringhieri, 2012
[2] Sonda
Edizioni, 2012
[3] Mensile
di Psicologia e Neuroscienze, n. 136, anno XIV
[4]
L’abbreviazione veg, riferita al complesso di
vegetariani e vegani, vegetarismo
e veganesimo, è inevitabile in quanto
nello scritto di Herzog le due categorie vengono spesso unificate.
L'articolo è stato pubblicato su www.lindro.com
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