Che siano le donne molto più degli uomini a preoccuparsi
delle sofferenze degli altri animali non è solo un luogo comune, perché vi sono
molte argomentazioni a supporto di
questa asserzione. Si può cominciare dal fatto che il
70% dei vegetariani (i vegani sono conteggiati nel numero) secondo stime generalmente accreditate per
quanto inevitabilmente imprecise, sarebbero donne: bisogna considerare che si
tratta di una scelta alimentare fatta sulla base di considerazioni di tipo
etico, volta ad astenersi da
qualsivoglia violenza anche indiretta contro gli animali; chi infatti si muove
sulla scorta di motivazioni ecologiche o
salutiste arriva al più ad una riduzione del consumo di carne, non alla
sua abolizione, tanto meno all’eliminazione di tutti i prodotti di origine
animale, che abbisogna di motivazioni ben più forti. Non è certo un caso che
gli uomini giustifichino in genere la loro non adesione ad un’alimentazione
vegetariana proprio con l’argomentazione
che i cibi vegetariani sarebbero “da donna”, vale a dire anemici, non vigorosi, inadatti alla loro virilità. E
così non solo non si impegnano a modificare uno stile di vita basato su un del
tutto deresponsabilizzato piacere del palato, ma nobilitano la loro pigra adesione allo status
quo attraverso una autoassolutoria svalutazione delle ben più consapevoli scelte
femminili.
Da sottolineare poi il fatto che il 90 % delle segnalazioni di maltrattamenti di
animali, che giungono ai centralini delle associazioni animaliste, provengono da donne;
il chè significa che gli uomini applicano un filtro percettivo alla loro vista
che permette loro di non dare accesso ad immagini o episodi di animali
sottoposti a sofferenze, oppure che spettacoli di questo tipo non mobilitano in
loro una conseguente reazione di indignata difesa del più debole, da cui evidentemente
si ritengono esentati.
Degno di nota è anche il fatto che appartenenti al
genere femminile sono tradizionalmente le gattare, vale a dire quelle persone
che si occupano di gatti randagi, procurando loro cibo e acqua e cercando di
metterli al sicuro dai frequenti maltrattamenti a cui sono esposti: lo fanno in
genere a prezzo di un sacrificio personale tutt’altro che trascurabile, assicurando
la propria opera che trasformano in dovere quotidiano, indifferenti alle condizioni del tempo o al proprio stato di
salute. Fondamentale la considerazione che ciò avviene in assenza di aspettative di
riconoscenza che non siano le fusa dei mici in questione e in assenza altresì di
intenti appropriativi, attente come sono a rispettare e salvaguardare le
abitudini e la libertà di questi animali: semplicemente raccolgono una
richiesta di aiuto che proviene da esseri indifesi, eterni bambini in cerca di
cibo. Come se ciò non bastasse, la loro figura non ha mai goduto neppure di
quella considerazione sociale che potrebbe essere sufficiente ricompensa a tanto
impegno; anzi: l’immagine della gattara è sempre stata fortemente stigmatizzata
e svalutata da parte degli uomini, che ne hanno messo in risalto difetti e
presunte manchevolezze, ne hanno ridicolizzato l’aspetto trasandato, spesso
conseguenza stessa della abnegazione che mettono nella cura dei gatti. Bene
afferma Adriano Sofri,in un suo articolo apparso su “Psicologia contemporanea”,
che se Antigone rinascesse oggi sarebbe una gattara, riferendosi all’eroina
della tragedia di Sofocle, che, avendo disubbidito alla proibizione del re Creonte di dare sepoltura al fratello
Polinice, chiamata a darne conto, dichiara che la sua obbedienza è alle leggi
sacre, quelle non scritte, quelle degli dei, che sono le leggi della pietà, che
inducono a compiere un dovere ben più
alto di quello sancito dagli uomini.
Insomma, che siano le donne ad avere una maggiore
sensibilità per i bisogni e per le sofferenze degli animali è un fatto
incontestabile, espressione di atteggiamenti e comportamenti che tendono all’etica
della cura, dell’anteporre ai propri bisogni quelli degli altri, che si tratti
di bambini, vecchi, malati o appunto animali, con atteggiamenti che rovesciano quelli basati sulla violenza e l’aggressività, molto più diffuse
nel genere maschile: sono gli uomini, infatti, i maggiori protagonisti delle
cronache più violente, gli esecutori dei maggiori crimini, gli inquilini
privilegiati delle carceri, sono loro i toreri, i cacciatori, i macellai, sono
loro che si lasciano sedurre dal fascino oscuro delle guerre.
Di certo non si può a buon diritto sostenere che
le donne siano esenti da tratti caratteriali che trovano nella violenza il loro
modo di estrinsecazione; ma è utile riflettere sul fatto che esiste una risorsa che più di ogni altra si oppone al
fare del male: si tratta dell’empatia, di
quella capacità, cioè, che permette di mettersi dal punto di vista dell’altro,
di calarsi nei suoi panni per capirlo non solo in base a delle valutazioni
razionali, ma sperimentando su di sé le sue emozioni. L’empatia e quella sua
estensione, riferita alla capacità di condividere la sofferenza degli altri, che
è la compassione, sono declinate soprattutto al femminile. Lo sostiene un luogo comune, che
vuole le donne più facilmente coinvolte con la propria sensibilità nelle sofferenze
altrui, e lo confermano test ed indagini specifiche: per esempio l’osservazione di visi che
manifestano emozioni, sia positive che negative, procura nelle donne molto più
che negli uomini una risposta di contrazione degli stessi muscoli del viso, che
è il segnale fisiologico del
rispecchiamento psicologico della stessa emozione. In altri termini: le
emozioni sperimentate dagli altri trovano risonanza in chi le osserva e le
percepisce come se fossero proprie.
Forse curioso sottolineare che una malattia
psichiatrica quale l’autismo, basata sulla totale mancanza di empatia, è diffusa
in modo molto più marcato tra gli uomini che non tra le donne.
Insomma: che le donne siano più empatiche è
facilmente dimostrabile; sul perché, molti sarebbero gli approfondimenti
necessari, che partono dalla considerazione che di sicuro l’empatia è fondamentale nel
rapporto con i bambini, la cui cura nelle prime fasi della vita è affidata
essenzialmente a donne; il chè può indurre a pensare ad una sorta di selezione
naturale, perché i bambini di madri empatiche probabilmente nel corso
dell’evoluzione hanno avuto maggiori probabilità di sopravvivere che non i
figli di madri incapaci di rispondere ai
loro bisogni.
L’empatia è fondamentale nelle relazioni umane, ma
è innegabile che, in dosi massicce, sia
fonte di stress perché “mangia le risorse”, destinate ad una risposta basata sul prendersi cura degli altri e distolta dall’affermazione
di sé, affermazione invece perseguita con molto maggiore decisione
dall’universo maschile, tanto amante di quel potere che per affermarsi
necessita di aggressività e assertività.
E’ fondamentale sottolineare che la presenza
dell’empatia, che spesso gli uomini tendono a svalutare come elemento di
debolezza e fragilità, è al contrario fonte di un surplus di intelligenza, proprio
perché questa ha bisogno di nutrirsi anche di emotività, essendo le emozioni non un ostacolo ma un facilitatore
delle altre attività cognitive. Di fatto
l’intelligenza femminile, non certo inferiore, è invece diversa da quella maschile: quanto
quella maschile è analitica, logica, deduttiva, tanto quella femminile è
sintetica, intuitiva, induttiva. Il pensiero maschile analizza
progressivamente, quello femminile parte dalla contemplazione dell’insieme,
assorbe l’oggetto della sua conoscenza.
Interessantissimo a questo proposito il fatto che le
grandi studiose di primati della seconda
metà del 1900 furono tre donne, attive in periodi in cui il lavoro scientifico
femminile era fortemente svantaggiato rispetto a quello maschile: si tratta di Diane
Fossey, che si dedicò allo studio dei
gorilla nell’Africa centrale, di Jane Goodall, a quello degli scimpanzé, e di Birkute
Galdikas a quello degli oranghi del Borneo: donne, quindi, scelte in quanto
tali dall’archeologo e naturalista Louis Leakey. Diane Fossey, addirittura, non
aveva nemmeno una preparazione specifica, ma, oltre alla passione, era dotata
di una fortissima capacità di empatizzare e di riuscire nella comunicazione
dove gli altri non ne erano in grado, per esempio con bambini disabili.
Prima di loro, lo studio di questi animali era
stato condotto da uomini che li osservavano negli zoo e nei laboratori; quello
che queste donne fecero, fu di trasformare completamente l’approccio: si
trasferirono esse stesse nell’ambiente degli animali che volevano capire,
fecero quanto possibile e anche un po’ di più, per entrare in sintonia con loro
con una dedizione, che le portò ad una sorta di identificazione, a parlare il
loro linguaggio dei gesti e soprattutto ad amare l’oggetto della loro
conoscenza, entrando in contatto con la
sua totalità, lontanissime dal precedente modello maschile, uso ad appropriarsi
degli animali che decideva di studiare e incapace persino di capire quanto
quell’animale imprigionato e asservito ben poco conservasse di naturale. Solo
in questo modo fu possibile che a quelli
che prima erano ritenuti solo scimmioni primitivi, i mostri King Kong, fosse poi riconosciuta l’essenza di animali amabili, vegetariani, che vivono in
piccoli gruppi coesi.
Per concludere il discorso, va ancora detto che
l’empatia, così necessaria in tutte le relazioni che non si vogliano
trasformare in predominio, se ha componenti innate ne ha anche altre che
vengono apprese attraverso l’educazione e persino attraverso forme particolari
di training che insegnano a “mettersi dal punto di vista” dell’altro nelle più
disparate situazioni: come ti apparirebbe questa stanza se tu fossi alto come
una giraffa? Come vedresti il tuo amico su tu fossi basso come un gatto?
Provare per credere: è un esercizio che ha molto da insegnare ad ognuno di noi
sulla strada di una reale identificazione nell’altro, tanto più difficile
quanto più questi è diverso, non ci somiglia, come succede nel caso appunto
degli altri animali.
E’ doveroso infine sottolineare che tutto quanto
finora detto ha fatto riferimento a maggiori disposizioni, a dei “soprattutto”:
sarebbe infatti fuorviante affermare che tutto il male sia maschile e tutto il
bene femminile. Vi sono uomini il cui impegno è forte in favore di tutti i
deboli e gli svantaggiati e vi sono, purtroppo , donne che pur senza esporsi in
prima persona ad atti violenti, mantengono un ruolo non meno colpevole di
sostenitrici o fiancheggiatrici di tante brutture.
E i cambiamenti in atto non sono rassicuranti
perché vedono le donne a volte inseguire i non invidiabili primati dei loro
compagni, affacciandosi con determinazione
nelle cronache come protagoniste
di omicidi o crudeli attacchi fisici contro persone deboli, le vedono
sgomitare per svolgere il servizio militare, mentre qualcuna è già entrata
nell’arena a massacrare con entusiasmo tori braccati e indifesi. Se la lotta è per entrare a livelli
di comando nella società così come è, anziché provare a trasformarla, il
rischio è che la ricchezza del mondo femminile vada persa rendendosi prona a
quella maschile o uniformandosi ad essa magari per compensare atavici sensi di
inferiorità.
Per ora, in difesa degli animali, dalle donne sale
spesso un grido gridato, laddove dagli uomini il silenzio è in genere rotto da
argomentazioni logiche. C’è da augurarsi da una parte che la tutela dei diritti
degli animali possa sempre di più divenire appannaggio anche degli uomini lungo
un percorso che, nutrito inizialmente di razionalità, trovi il necessario punto
di incontro con il sentimento; dall’altra che le donne riescano a dare voce
fino in fondo alla loro capacità di vedere, capire, sentire il dolore degli
animali, acquisendo la consapevolezza che la cura dei più deboli contiene in sé
profondi valori filosofici e ragioni esistenziali. “Tutto è legato a una
questione di postura – per concludere con la poesia di Franco Marcoaldi –
l’unica chance offerta all’uomo eretto è di sdraiarsi a terra: osservando le
stelle insieme agli animali, magari, scorderà di essere macchina di
sopraffazione e di guerra”. Sempre che riesca ad alzare lo sguardo verso le
stelle senza pensare a come conquistarle.
(Su Veganzetta, 8 marzo 2015)
Ciò che dici è estremamente vero ed autentico. Grazie per la precisazione e la chiarezza con cui esponi la triste visione attuale, e peggio passata, della vita umana specista e vita animale sfruttata.
RispondiEliminaCi sono molti gloriosi esempi femminili di eroismo e vitalità etica senza paragoni come mai in passato, ma negli ultimi decenni le donne assomigliano sempre più agli uomini. E non certamente per un aspetto fisico. Le lotte femministe hanno ribaltato positivamente il rapporto della donna nella società moderna, relegata com’era in uno stato sociale emarginato e lontano da un privilegio di sapienza fino a poco prima solo ed esclusivamente maschile. Negli anni ’70 l’appartenenza al genere femminile diventava dunque motivo d’orgoglio e consapevolezza di una forza diversa, non inferiore a quella maschile. Anche l’empatia, la capacità di compassione e di identificazione con i deboli, acquisivano tratti distintivi di una nuova nuova fierezza che rigettavano le connotazioni volutamenti svilenti di un sentimentalismo soppresso maschile. Quella parte maschile che da sempre, o quasi, ignorava un interesse positivo verso i sentimenti e le emozioni, un tempo relegati a debolezze femminili e quindi campo di ricerca poco stimolante.
Oggi sempre più spesso accade di imbattersi in donne notevolmente coinvolte in una proficua carriera professionale: medici, veterinari, giornalisti, avvocati, politici…ed ogni incarico istituzionale. Come i loro colleghi maschi, si battono per ottenere profitti ed obiettivi ad ogni costo e con ogni mezzo, pur di ottenere fama e gloria. Troppo poche sono invece quelle che lottano per i diritti civili ed umanitari. Solo pochi pur gloriosi esempi in una storia umana recente sempre più in declino.
Mi sono spesso scontrato con donne che tutto avevano da donarmi tranne sensibilità ed amore per la vita. Ed è un vero peccato! Nel mondo ci sono vivisettrici senza pietà, razziste proclamate, maleducate e volgari senza vergogna…un vero incubo! Senza considerare le migliaia di operaie che ogni giorno lavorano nei macelli giustificando la loro coscienza di madri…con uno stipendio poco più che dignitoso. Non mi ritengo retrogado se condivido tali pensieri astratti e di fantasia frutto solo di una mia riflessione forse paranoica. Eppure ritengo che i ruoli sociali empatici oggi trasformati, siano un codice chiave molto importante e fondamentale sul rapporto uomo-donna-animale. Non si può vivere in una società perbenista. L’uomo e la donna sono esseri viventi molto complessi, e realmente incontrollabili. Non a caso l’essere umano si è auto-imposto delle regole rigide troppo spesso, però, infrante. Si differenzia dagli altri Animali anche per questo: istinto controllato, istinto animalesco sottomesso, socializzato. Gli Animali, forse, non reprimono il proprio essere. I più fortunati…sono liberi proprio per questo.
L’essere umano, obbligato ed indotto, deve farlo…deve reprimersi. La costruzione di un ambiente artificiale artefatto, associato forzatamente ad altri individui, ad altri contesti ristretti e tipici come appunto è il lavoro, i doveri sociali integrati e superflui, i ruoli istituzionalizzati di moglie e marito. Tutto ciò lo ha ghettizzato, in una prigione cupa e violenta.
La violenza accompagna l’essere umano da sempre, e sempre sarà fino a quando lui stesso non riuscirà a migliorarsi con la sua consapevolezza innata ma oggi assopita, con una logica etica ancora non totalmente raggiunta, ovvero con il suo progresso mentale tradotto in controllo emozionale.
Quindi ben vengano le donne dotate e ricche di empatia, sensibilità, senso di devozione e sacrificio. Che possano essere da esempio per tutti, soprattutto per le altre che non riescono o non sono fortunate nell’avere tale dono naturale. Che possano loro stesse, quelle più forti, abbattere questo muro di machismo terribile e devastante simbolo di una realtà antropocentrica che perdura da secoli.
Caro Roberto, credo di non avere risposto a suo tempo a quetse tue osservazioni. Non posso che essere da'ccordo con te. Il mio non è un manifesto femminista, non credo che il male sia tutto maschile e il bene tutto femmiinile.. Sottolineo semplicemente dei dati di realtà, che sarebbe bello potessere essere ripresi come punti di partenza. Il rischio che le donne, nel cambiare la situazione, tendano ad assomigliare agli uomini anche nelle loro caratteristiche peggiori esiste. Non bisogna perdere il controllo delle cocse e dirigere gli sforzi nella direzione che sia quella giusta. Un caro saluto, in attesa di riprendere questo discorso che non può che condurre lontano.
EliminaEd io che ero convinto che le pellicce degli animali fossero destinate soprattutto a donne.
RispondiEliminacaro Anonimo, io ero convinta che i fucili da caccia fossero destinati soprattutto agli uomini, come anche le canne da pesca; che i domatori dei circhi fossero umini, che gli allevatori, i macellai fossero uomini. Ma, al di là di queste osservazioni, volendo uscire da facili battute, ho continuato a sottolineare il fatto che non penso affatto ch le donne siano esenti da responsabilità in tutti i fenomeni e nel modo di trattare gli animali anche. Detto questo, alcune differenze sono comunque indiscutibili: in fondo siamo in molti a meravigliarci quando l'auotore di un delitto è di fatto un'autrice: il che ha una doppia chiave di lettura: una che anche le donne compiono delitti, due che comunque il loro numero è di fatto molto inferiore a quello degli uomini tanto da produrre stupore ogni volta. In ogni caso, il discorso è davvero molto complesso: non divido l'umanità in uomini e donne dal punto di vista morale: ma, per capirci qualcosa in tutto questo groviglio, bisogna anche prendere atto dello stato delle cose. Grazie comunque per avere letto l'articolo. Ciao
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