Il genocidio di Gaza, la guerra in Ucraina, gli stermini in Sudan, ma anche le notizie sul cecchinaggio contro i bambini di Sarajevo. Negli ultimi due anni siamo stati catapultati in scenari prima appannaggio quasi esclusivo dei film di guerra. Stiamo reagendo ognuno a modo proprio, spesso facendo finta di niente, scoprendo che a tutto ci si abitua, tra reazioni di sgomento e condotte di evitamento. Servono momenti in cui pensare insieme e imparare a guardare il fondo dell’abisso per liberarci, ad esempio, dall’idea che aver subito orrore trasforma le vittime in difensori dei più deboli, ma prima di tutto per riflettere sulle responsabilità dei modelli culturali ed economici dominanti, da noi stessi alimentati. Le violenze e le guerre non nascono improvvisamente. E i mezzi con cui cerchiamo di contrastarle non sono più separabili dai fini

Quello che sta succedendo a Gaza ormai da due anni, e che non pare affatto interrotto da un accordo di pace già declassato nei fatti a flebile tregua, in Ucraina da oltre tre, le pur scarsissime notizie che filtrano dalle altre decine di luoghi del pianeta, trasformati in zone di guerra spaventose, Sudan e Nigeria in testa con gli stermini di massa che li abitano, stanno incidendo progressivamente anche sul nostro modo di sentire e reagire, sul nostro psichismo, vulnerabile a ogni esperienza, vissuta anche solo da testimoni: le reazioni iniziali sono state di incredulo sgomento, di sbigottimento davanti alle cronache quotidiane di massacri, agli spazi dei media invasi da realtà che pensavamo appartenere a tempi spazzati via da una inarrestabile civilizzazione, marcata dalla ricerca dell’universalizzazione dei diritti. I meno giovani di noi, cresciuti immaginando e vagheggiando, sull’onda di canzoni divenute inni e miti, “un mondo senza ragioni per uccidere né per morire, un mondo senza confini né avidità, nessun paradiso da guadagnare né inferno da temere, nessuna religione ad imporre dogmi,” eravamo davvero persuasi che, se di sogno matto si trattava, era un sogno bello da sognare, e forte tanto da generare azione.