domenica 14 luglio 2024

NON SI UCCIDONO COSì GLI AGNELLI?

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Quanto accaduto negli ultimi giorni di giugno in un istituto tecnico agrario di Fabriano, nell’ambito alternanza scuola lavoro, costringe a ripensare l’idea di violenza, il concetto di stato e l’ipocrisia di tante scelte educative

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Ultimi giorni di giugno: a Fabriano, nell’ambito alternanza scuola lavoro, alcuni studenti dell’istituto tecnico agrario sono all’interno di un’azienda agraria, di proprietà della scuola stessa, dove si trovano animali cosiddetti da allevamento, nello specifico pecore. Alcuni dei ragazzi cominciano a divertirsi maltrattandole: uno in particolare calcia loro addosso un pallone, facendole fuggire spaventate: un agnellino però, troppo piccolo o troppo debole, non ce la fa a seguire il gruppo e resta indietro. Uno dei ragazzi non si lascia sfuggire l’occasione: lo afferra, lo lancia fuori dal recinto, lo riacciuffa, lo scaraventa di nuovo dentro, quasi fosse diventato lui il pallone: la bestiola riporta la paralisi di tutti e quattro gli arti e muore dopo tremenda agonia. Gli altri studenti, nella maggior parte minorenni, se ne guardano bene dall’intervenire e risulta che abbiano assistito divertiti allo scempio.

Alla notizia viene dato risalto sui media e la dirigente scolastica fa sapere che verranno presi adeguati provvedimenti disciplinari contestualmente alla denuncia alla polizia per maltrattamento e uccisione di animale.

Ovviamente lo sconcerto e la condanna sono generali: ci si chiede essenzialmente a cosa serva una scuola che non riesce a contrastare condotte così crudeli tanto che qualcuno arriva provocatoriamente ad auspicarne la chiusura, vista l’inettitudine educativa che l’episodio denuncia.

mercoledì 22 maggio 2024

CREPET, CLERICI, LOLLOBRIGIDA: TRA RIDICOLIZZAZIONE E FALSIFICAZIONE


Pubblicato su COMUNE-INFO, 6 MAGGIO 2024  - Foto Chuko Cribb su Unsplash

Mesi fa il prof. Paolo Crepet aveva fatto parlare di sé più del solito, immaginando  una seratina tutta sesso e rock and roll, che si sarebbe poi miseramente afflosciata a causa dei  gusti alimentari della giovane prescelta: “Inviti una ragazza a cena e questa mangia miglio… Ma che ci si fa con una così? L’amore? Ma a quella le viene in mente che dopo le vengono le occhiaie. Chissà che si inventa…Moriremo eleganti” . Era stato poi indotto a porgere pubbliche scuse, travolto da un fiume in piena di critiche che devono avergli suscitato più di qualche preoccupazione sulla sua apparentemente immarcescibile popolarità. Aveva quindi definito le sue stesse parole “Frase infelice sull’infelicità”, lasciando basito un pubblico incapace di capire di quale infelicità parlasse.

L’eco di tanta profondità intellettuale si era appena smorzata, quando Antonella Clerici, regina indiscussa di molte cucine italiane, è riuscita a riattivarla nel corso di un’intervista a Belve con Francesca Fagnani, sentenziando che «La tavola svela com'è un uomo a letto» e «Se ordina piatti magri sarà un macrobiotico anche sessualmente, uno spento che non va più in là della posizione del missionario». E ancora «Senza avere nulla contro, ma io con un vegano proprio no. Cosa te ne fai di un uomo che mangia l'insalatina? Che scarta il grasso dal prosciutto?»

Punto di vista maschile e punto di vista femminile che si incrociano e si sovrappongono, persino nell’uso di un identico linguaggio, Che ci si fa con una così? chiede lui. Cosa te ne fai di un uomo così? incalza lei : tanto da legittimare più di un sospetto  di una corrispondenza non casuale.  I drammatici interrogativi restano senza risposta,  ma certo non sono passati inosservati, grazie alla popolarità di cui entrambi godono, posizionati da decenni sui canali tv, l’uno snocciolando perle di sapienza su ogni comportamento umano, l’altra sorridendo ghiotta e sensuale davanti a qualsiasi cadavere animale in salsa succulenta, che lei pare non intravedere nemmeno, mimetizzato com’è tra intingoli e sughi vari.

mercoledì 3 aprile 2024

CON TUTTO QUELLO CHE SUCCEDE

  PUBBLICATO SU COMUNE.INFO 24.03.2024        Le ricorrenze, nel loro preciso ripetersi, tracciano punti fermi nel nostro calendario interiore,  richiamando ad una sorta di memento: ricordati, ricordati di ricordare qualcosa che non va dimenticato.

Quelle religiose, per chi religioso si ritiene, dovrebbero anche essere un monito, un richiamo a dogmi, credenze, riferimenti che però sempre più spesso appaiono appannati nel mondo occidentale dove la tendenza in ascesa è  quella del fai quello che vuoi purchè ti piaccia. Tanto che dichiararsi credente per molti finisce per limitarsi ad un’etichetta che risulta protettiva, pur nel materialismo dilagante, in quanto assicura nell’al di là  la strada verso un’ immortalità sempre agognata, ed è nel contempo garanzia, nell’al di qua, di un’accettazione sociale,  basata sull’ostinata equazione religioso uguale buono, capace di fornire una sorta di pregiudizio positivo, per cui non esiste necessità di dovere argomentare: basta la fede, che per altro è dono e non merito. 

Tutto bene? Non proprio. Fatto salvo il sacrosanto diritto alle proprie credenze, esistono addentellati, accessori a queste stesse credenze che investono un ambito che non è più quello spirituale intoccabile, ma invade vita e morte di centinaia di migliaia di altri esseri senzienti, nello specifico, quando si parla di Pasqua, di  agnelli. La loro uccisione non conosce sosta lungo tutto l’anno, ma, in questa ricorrenza, diventa rito, tradizione, cultura, e rispolvera il postulato, per sua natura indimostrabile, che l’agnello, quello di Dio, è colui che toglie i peccati dal mondo attraverso la sua stessa morte: lui, innocente, indifeso, fragile viene allora condannato ad una morte impietosa così da redimere l’uomo dai suoi peccati. Vecchia storia che si rifà al concetto di capro espiatorio, colui sul quale vengono riversati i debiti umani non pagati che lui, morendo, si dice riscatterà. Chi mai davvero può credere in questa narrazione che è l’apoteosi dell’ingiustizia, per cui il peccatore si salva compiendo un altro peccato, quello dell’uccisione di un innocente, di milioni di innocenti? Torna alla mente la figura, non si sa quanto storicamente dimostrata, dell’whipping boy, il ragazzo che, all’inizio dell’età moderna, affiancava un giovane principe in modo che, quando questi commetteva errori, venisse frustato al posto suo, preservando così il nobile da umiliazione e dolore. Se questa situazione lascia noi contemporanei increduli, non riesce comunque a disappannare il nostro sguardo davanti ad altre ingiustizie del tutto simili che continuiamo serenamente a compiere attribuendo loro significati spirituali. In fondo, per altro, in forme fortemente diverse, la tentazione di far pagare ad altri le nostre colpe non ci è certo estranea, anzi esercita un’ attrazione di non poco conto, sintetizzabile nella convinzione che l’importante è il nostro benessere, chissenefrega se pagato con miserie altrui. E questi altri, i capri espiatori, incaricati della missione, sono sempre i più  deboli, quelli privi di diritti, incapaci di vendetta: tutto considerato, in quanto specie che teorizza e sostiene tutto questo, non ne usciamo davvero bene e ci iscriviamo a tutto tondo nella categoria dei codardi.