Il doveroso cordoglio per la vittima pare avere
esaurito l’interesse per l’accaduto, sulla cui dinamica, come da trito copione,
“indagherà la procura”: che cercherà di risalire alle eventuali responsabilità
relative alle misure di sicurezza, a quanto sembra non rispettate, visto che lo
spazio per il pubblico non era adeguatamente transennato.
Dopo di chè discorso chiuso fino all’aprile del prossimo anno, quando tutto si ripeterà, prevedibilmente con qualche attenzione in più per gli umani, e con il solito spensierato menefreghismo per i nonumani, cavalli e buoi, della cui sofferenza nelle cronache non si trova cenno alcuno.
Dopo di chè discorso chiuso fino all’aprile del prossimo anno, quando tutto si ripeterà, prevedibilmente con qualche attenzione in più per gli umani, e con il solito spensierato menefreghismo per i nonumani, cavalli e buoi, della cui sofferenza nelle cronache non si trova cenno alcuno.
La sagra di Chieuti può avere luogo solo su
autorizzazione della regione competente, la Puglia, secondo quanto previsto
dalla legge 189 del 2004, che, dopo pagine sul dovere di rispettare il
benessere animale, esenta dal farlo le “manifestazioni storiche e culturali”.
Che il rispetto per il benessere animale
sia del tutto estraneo alla sagra è
sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di guardare: ogni anno il 23 o
24 aprile dei buoi legati in pariglia vengono costretti a galoppare per cinque
kilometri, loro animali lenti per natura; ma non basta: devono farlo
trascinando pesi di quintali; il loro tentativo di sottrarsi al supplizio viene
abbattuto da uomini virilmente lanciati a cavallo che li pungolano con lunghe
aste, mentre la folla intorno, eccitata e vociante, grida e tifa, incurante
anche degli incidenti che inevitabilmente coinvolgono buoi e cavalli.
Spettacolo
davvero edificante, che considerare
“storico e culturale” pare davvero un azzardo linguistico e semantico.
Eppure le autorità riescono nella mission impossible di farlo sulla scorta
della credenza che le sue origini sarebbero legate alla leggenda di San
Giorgio, il quale, secondo racconti risalenti all’Alto Medio Evo, avrebbe
convertito al cristianesimo la città libica di Selèm, catturato e umiliato il
drago che la affliggeva, dapprima trascinandolo come prigioniero e poi, non pago di averlo sopraffatto,
trafiggendolo e facendone trainare il cadavere fuori dalla città per l’appunto
da una coppia di buoi, lontani antenati
di quelli oggi pubblicamente tormentati. Di leggenda appunto si tratta, sul cui
senso esemplare tra l’altro molto ci sarebbe da argomentare: davvero la fama di
un santo della tradizione cattolica può vantarsi dell’uccisione terribile di un essere
vivente, chiunque esso sia? Davvero la conversione di un’intera città, nessun
abitante escluso, che parla non di un
percorso di consapevolezza, ma piuttosto di costrizione, può mantenere le
valenze di un atto meritorio? Comunque,
se le autorità religiose possono arrogarsi il diritto dell’esclusiva in questo
genere di valutazioni, è invece laico diritto di ognuno esprimersi sulle sevizie su animali
pacifici e indifesi, come momento di pubblico festeggiamento, di esaltazione e
di gioia.
E’ necessario
chiarire che la sagra di Chieuti è solo una delle molte centinaia, forse
migliaia, di manifestazioni che prolificano sul territorio nazionale,
amplificate a dismisura dalla bella stagione, tutte incentrate sulla
costrizione di animali a comportamenti estremi: se i buoi (tormentati anche ad
Asigliano e a Caresana, provincia di Vercelli, ma anche altrove) sono per
natura lenti, allora nessuna migliore trovata che farli correre a perdifiato,
in contrasto con la loro natura, la loro mole, la loro struttura fisica;
ai cavalli
invece il compito di trascinare carretti carichi di pietre sotto il sole
cocente (succede a Supersano, in Puglia); davvero spiritosa la costrizione
delle oche a sfidarsi in velocità per 1500 metri, che così starnazzano di più
(a Lacchiarella, provincia di Pavia, dove sono circa 20.000 le persone che
accorrono liete);
che la
colombella bianca, legata all’interno di
un tubo di plexigas, a Orvieto, scendendo giù in caduta libera dal campanile della
chiesa, mentre petardi e mortaretti impazzano, riproponga simbolicamente la
discesa dello Spirito Santo riduce a feuilleton uno dei cardini del
cristianesimo. L’elenco è lunghissimo e non risparmia nessuna specie: rane,
maiali, tacchini, serpenti, galli, capre, asini, in una geografia degli orrori,
virulenta nelle regioni del sud, ma certo non assente nelle altre, che di tutto
pecca tranne che di creativo sadismo.
Denominatore comune è far fare agli animali quello che non è nella loro natura
fare, il chè provoca loro sofferenza fisica, stress, paura, sgomento: e proprio
dalla loro sofferenza e dal loro terrore si origina il chiassoso divertimento del pubblico. Negli
ultimi anni molte reazioni sdegnate hanno indotto gli organizzatori ad un
minimo di tutela, non dell’incolumità dell’animale coinvolto, ma piuttosto di
sé stessi dalle critiche più feroci e hanno indotto a riscrivere le parti più
cruente delle manifestazioni: per esempio a Roccavivara (Molise) non uccidono
più a bastonate un gallo immobilizzato nel terreno, anche se zelanti impiegate
dell’ufficio Turistico rassicurano i turisti delusi che “almeno” i filmati sono
ancora visibili in rete; mentre a Tonco (provincia di Asti), il tacchino
esposto morto a testa in giù per essere decapitato dai giovani locali è stato
sostituito da un simulacro in stoffa.
Benchè le sagre a dispetto del nome (che deriva dal
latino sacer) siano quanto di più estraneo ci sia all’idea di spiritualità, la chiesa si ostina a dare loro non solo il
proprio benestare ma anche la propria benedizione, sdoganandone la liceità in
genere in onore del santo patrono a cui sono dedicate: la realtà viene così per
l’ennesima volta mistificata, con la connotazione dell’evento di una sacralità,
completamente inesistente; che anzi i riti sono oggi paganissimi, violenti,
risolti infine in una sorta di delirio gastronomico, dal momento che il gran
finale contempla regolarmente un’enorme abbuffata. Ciliegina sulla torta:
spesso ad essere il succulento richiamo culinario sono conspecisti degli
animali tormentati nella sagra: così la festa
del maiale, quella dell’asino, quella del pollo si snodano nel tormento e nella riduzione a
cibo dei festeggiati, senza che nessuno trovi nulla da ridire. Gran bella
confusione sul piano cognitivo e ancora di più su quello etico, fomentata dalla
mistificazione della realtà, che viene raccontata sulla base delle credenze e
del pensiero diffuso anziché sui fatti.
La necessità di qualche chiarimento incalza: non fosse che per mettere
al sicuro protagonisti di altre feste: quella dei carabinieri, dei nonni, della
mamma, del papà….
Se la chiesa conserva enormi responsabilità al
riguardo, le autorità laiche non sono certo da meno: anzi: essendo loro a decidere se autorizzare o meno le
manifestazioni, gestiscono un potere grande, il cui esercizio dovrebbe
contemplare la valutazione dell’evento, a partire dal significato che riveste.
Se lo facessero, potrebbero emergere contenuti ben poco meritevoli di tanto
entusiasmo: per esempio ad Asigliano il sottoporre i buoi ad una corsa per loro
terrorizzante e faticosissima avrebbe
avuto origine (il condizionale è d’obbligo), nel 1436, come atto “in segno di gioia e di gratitudine” verso San Vittore per avere liberato la città
dalla peste. In altri termini il debito di gratitudine per la grazia ricevuta non viene pagato da
chi ne ha usufruito e ne gode i vantaggi in termini di salute ritrovata, ma
viene caricato sulle spalle di chi, del tutto estraneo alla vicenda, è debole,
indifeso, impossibilitato a ribellarsi. Insomma: è uno dei tanti modi di
trovare una vittima sacrificale, un capro espiatorio, così come si fa con
l’agnello pasquale, sgozzato, lui che è icona di innocenza, per pagare i
peccati di chi, pur molto pentito e mortificato per essersene macchiato, non ha
proprio nessuna intenzione di farlo in prima persona. Viene in mente per
associazione la figura del whipping boy, del ragazzino cioè
che, nell’Inghilterra del 1400/1500 ,
veniva assegnato a un giovane principe affinchè venisse frustato al posto suo
ogni volta che veniva meno ai suoi doveri: usanza che ci indigna
profondamente nella sua portata di
ingiustizia cosmica, di un’indignazione che è però refrattaria ad un serio
esame dei nostri comportamenti, che quindi riproponiamo pari pari nella
sostanza, anche se non nella forma, cambiando la tipologia della vittima, da
umana in nonumana.
I fatti dimostrano che questo genere di
approfondimenti è estraneo agli interessi delle autorità preposte: le quali
però non dovrebbero davvero esimersi dal
prendere atto se non di antichi e a volte discutibili significati, almeno delle
modalità presenti delle manifestazioni a cui devono attribuire la connotazione
di essere, oltre che storiche, anche culturali. Si tratta, in sintesi, di situazioni in cui
degli animali vengono visibilmente maltrattati, sempre terrorizzati, a volte
vittime di rovinosi incidenti che ne causano il ferimento o la morte. Il tutto celebrato come festa
popolare, davanti ad un pubblico sempre molto numeroso, rumoroso, vociante, del
tutto indifferente e insensibile ai segnali di sofferenza degli animali
coinvolti, anzi, eccitato dall’eccitazione degli uomini coinvolti che in genere
aizzano i protagonisti nonumani all’estremo, con l’uso di fruste, bastoni,
pungoli. Per altro è dalle analisi di Gustave Le Bon, quindi dal lontanissimo
1895, che sono noti i meccanismi psicologici che determinano i comportamenti
delle folle, dettati da impulsività, assenza di giudizio e spirito critico,
suggestionabilità, contagio con le emozioni degli altri: la realtà viene
deformata, il senso critico obnubilato. Quando la folla è ormai accorsa, ogni
richiamo alla ragionevolezza è fuori tempo massimo: resta solo l’eccitazione che contagia
vicendevolmente i presenti. Se un’analisi non ha avuto luogo in precedenza, non
è certo questo il momento in cui ci si può aspettare approfondimento
critico e pacata valutazione dell’evento
in corso. In tutto questo, tra la folla
sono tanti i bambini e ragazzini che le
famiglie hanno portano a divertirsi e che qui imparano la lezione che viene
impartita non teoricamente, ma molto più efficacemente con la proposta di un
modello che, a seconda dell’età, faranno grande fatica a mettere in discussione, perché è l’autorità
di chi lo propone a decretarne la bontà. E l’autorità, oltre a quella
cittadina, è quella fondamentale dei grandi di riferimento, genitori, nonni,
zii, che sono i depositari del sapere, della morale: impresa titanica quella di
sottrarvisi. L’euforia collettiva, se non li spaventerà, li coinvolgerà e si
entusiasmeranno davanti al disagio, alla difficoltà, alla sofferenza degli
animali coinvolti: enorme scuola di desensibilizzazione, di diseducazione
all’empatia, di indifferenza destinata ad
allargarsi a macchia d’olio in altri settori della convivenza.
C’è da chiedersi quale consapevolezza abbiano di tutto
ciò gli organizzatori di queste sagre e ancor di più le autorità che danno il
loro benestare; c’è da chiedersi quale idea del mondo abbiano, se mai ne
abbiano una, che cosa vadano perseguendo se non un vantaggio immediato, magari
solo in termini di consenso, derivante dall’elargizione di queste moderne forme
di panem
et circenses, in grado di sopire,
anche se per un tempo effimero, altre aspettative.
In conclusione, è venuto il tempo in cui si ponga
davvero definitivamente fine a spettacoli che elevano la prepotenza e la
sopraffazione a elementi di gioioso intrattenimento: la legge afferma che basta
l’etichetta di “storico e culturale”
per autorizzare il disinteresse per il benessere degli animali? E’ un’idea che
andrebbe totalmente rivista: in attesa che i politici, al momento concentrati
sul proprio ombelico, trovino il tempo per occuparsene, è doveroso ridefinire
il concetto di cultura, affinchè
acquisti il suo senso più vero. Cultura è anche quella che partendo dal mondo
delle idee ha portato a progressi anche nel campo della morale: come dice
Steven Pinker “molti progressi umani sono
partiti dal mondo delle idee. Basti pensare all’impegno dei filosofi nel
redigere scritti contro la schiavitù, il dispotismo, la tortura, la
persecuzione religiosa, la crudeltà verso gli animali, l’intransigenza contro i
bambini, la violenza contro le donne e le guerre inutili”. A questo
concetto di cultura i politici dovrebbero riferirsi quando decidono se e a
quali esibizioni di tormenti agli animali vogliono dare il proprio benestare,
senza dimenticare che si tratta di
concetto dinamico, in continua evoluzione , in cui ogni elemento si
interseca in un rapporto di interdipendenza con gli altri. Concetto calato
nella realtà, nutrito e vivacizzato dal continuo mutare ed evolversi delle
credenze, che inglobano nuove realtà, tra le quali il rispetto dovuto agli
animali nonumani non è un optional, ma un dovere a cui nessuna autorità
dovrebbe avere la facoltà di sottrarsi.
Condivido, Annamaria, la tua indignazione.Aggiungo una o due amare postille: le autorità 'laiche' in Italia laiche davvero non sono (per non parlar dell'intreccio di interessi lucrosi condivisi), ma psicologicamente asservite, un po' come Peppone con Don Cammillo, ma assai più cinici e crudeli.
RispondiEliminaChe idea hanno del mondo? Di un mondo violento e feroce, dov eha la meglio chi è prepotente, furbo e in posizione di vantaggio. Che quindi ha nessun interesse a cambiar le cose, anzi! A presto!