sabato 30 gennaio 2016

LA GALLINA DI ALEXANDER BOETTCHER



   
A volte la realtà è tanto disgustosa che persino i media, pur tanto prodighi di immagini orrifiche, si astengono dall’esporla nella loro interezza:  succede a proposito di Alexander Boettcher, parte maschile della famosa coppia all’acido, che occupa da tempo le cronache per essersi macchiata, secondo le accuse, di crimini efferati e senza senso: avrebbero ustionato con l’acido ragazzi, rei di avere avuto trascorsi sessuali con Martina Lovato, allo scopo delirante di conseguire una sorta di  purificazione da tale contaminazione . Il prezzo pagato dalle vittime è inenarrabile: ustioni, conseguenze invalidanti, traumi fisici e psichici pressochè insuperabili, sconvolgimento di tutto lo stile di vita.

Il video proiettato nell’aula del tribunale dove sono in corso i processi mostra alcuni antecedenti, davvero interessanti nella loro consistenza sadica, della carriera criminale di lui: oltre ai tormenti inflitti ad una Martina che, in una classica dinamica sadomasochista,  appare consenziente nel bere l’urina di lui o nel subire, apparentemente soddisfatta, un cruento tatuaggio sull’interno della coscia,  irrompe nella scena un altro personaggio, questo per nulla consenziente: una gallina a cui Alexander Boettcher  decide di avvitare il collo, prima di staccarglielo con uno strappo netto, per poi stare ad osservarla mentre,  ancora viva pur con la testa mozzata,  corre per la stanza, in una sequenza da vero e proprio film dell’orrore,  come raccontano i commentatori, gli stessi che giudicano il filmato impossibile da proiettare nella sua interezza, consapevoli che neppure  le curiosità un po’ morbose che pure tutta la vicenda va solleticando ne sarebbero appagate:  per la serie “a tutto c’è un limite”.
Da non sottostimare che Boettcher in tutto questo si fa riprendere sorridente: è fiero  della sua performance, si mostra nel suo presunto machismo, muscoli in vista e pettorali gonfi, ad esibire il film della sua crudele prepotenza su un essere totalmente innocente ed altrettanto indifeso. Il gusto è tutto lì: piacere soddisfatto e orgoglioso  nel sottomettere, tormentare, uccidere, forse ammantando anche la morte dell’animale di un significato rituale, al servizio delle sue sindromi da onnipotenza. Che poi lui argomenti  di avere ucciso l’animale per mangiarlo è racconto persino offensivo dell’intelligenza di chiunque. Lasciamo agli psichiatri incaricati dalla legge il compito di cercare  il bandolo della matassa intricata del percorso di formazione dei due carnefici dei nostri giorni, giovani privi persino della giustificazione di un degrado ambientale quale brodo di cultura di comportamenti tanto devianti: perché anzi sono belli, benestanti, studiano, alle spalle hanno famiglie e non solitudini devastanti.
Vale qui la pena concentrarsi, per un momento almeno, sulla gallina, e non solo per rendere omaggio anche a lei, quale vittima incolpevole e terrorizzata dell’idiozia umana, ma anche perché la sua sorte, nel parallelismo con quella delle altre vittime, quelle umane, è esempio eclatante di una realtà ancora oggi sottostimata, vale a dire che la violenza sugli umani e quella sugli animali non umani è inestricabilmente connessa.  Boettcher  ne dà una dimostrazione incomparabile dal vivo: per lui l’altro, chiunque sia, non è essere con i cui sentimenti confrontarsi e identificarsi, ma è oggetto di un rapporto che si esprime solo attraverso la violenta prevaricazione. Prevaricazione che parla il linguaggio della strumentalizzazione dell’esistenza altrui ai propri fini, della crudeltà e del piacere che ne deriva; dell’assenza della capacità identificatoria nel mondo psichico e fisico dell'altro, a qualunque specie questi appartenga. E’ fondamentale in altri termini porre l’accento  sulla analogia delle dinamiche che  sono alla base della violenza intra e interspecifica: fare del male ad un essere vivente che in risposta manda segnali di sofferenza, paura, dolore, sottomissione, richiesta di pietà; non accogliere tale richiesta; rimanervi indifferente o peggio rispondervi con rinnovato incrudelimento significa essere carenti di sensibilità, empatia, rispetto. Significa essere affetti da analfabetismo emotivo e affettivo perché esseri umani e esseri animali parlano un unico linguaggio che è quello dell’attaccamento alla vita, della fuga dal dolore, di una innata e mai davvero sopita aspettativa di solidarietà da parte dell’altro, quell’altro che a volte riveste solo i panni del carnefice.  In questo senso e in questa ottica la gallina torturata e uccisa da Alexander Boettcher , tutto muscoli e strafottenza, era già un manifesto di quello che lui era e di quello che avrebbe potuto fare, anche se ovviamente non sarebbe stato possibile prevedere in quale direzione i suoi deliri di onnipotenza lo avrebbero condotto.  Ma di certo quel video, anche se fosse stato diffuso nel passato, se ne può essere certi,  non avrebbe destato una preoccupazione conseguente: perché “Era solo una gallina” sarebbe stata la prevedibile risposta a qualsiasi  invito a non sottovalutare  il segnale di allarme insito in un tale episodio, secondo una diffusa filosofia per cui è anche possibile accettare convinzioni  a livello speculativo (“La crudeltà contro gli animali è connessa a quella contro gli umani”) , ma tradurle in concretezza di interventi è poi tutta un’altra storia, come dimostra lo stato delle cose: un intervento preventivo che dall’osservazione di atti di crudeltà sugli animali portasse a prendere misure tese ad evitare una escalation di violenza, nel nostro paese è ancora un miraggio, non se ne ha ad oggi notizia. Voci diverse arrivano dagli Stati Uniti dove da quest’anno l’FBI scheda chi compie abusi sugli animali, compilando un registro che tiene conto della frequenza e gravità delle azioni commesse: decisione che nasce, purtroppo,  anche dalla presa d’atto dell’enorme incremento di questo fenomeno. Ne derivano conseguenze  penali, dal momento che gli abusi sugli animali entrano ora nel Gruppo A dei delitti (nello stato del Nevada un ragazzo, studente di psicologia,  è stato recentemente condannato a 28 anni di carcere per avere torturato e ucciso sette cani, come provato dai video che ha avuto, anche lui, il gusto di girare). Ed è interessante ricordare che The link®, il collegamento tra violenza inter e intraspecifica, è un marchio registrato dalla American Human Association.  Al di là dei necessari cambiamenti giuridici, è fondamentale avviare finalmente una approfondita riflessione sul significato dei maltrattamenti sugli animali, con l’attenzione a non ridurre il comportamento a sintomatologia: in altri termini  cogliendone prima di tutto la gravità intrinseca,  in virtù dei diritti degli animali a non essere oggetto di maltrattamenti, e solo in secondo luogo in quanto sintomo di una situazione passibile di  incrudescenza e di trasferimento di analoghi comportamenti al  contesto umano.  
Un’ulteriore considerazione: lo strazio della gallina che, priva di testa, continua a disperarsi correndo di qua e di là, riaccende un ricordo cinematografico accantonato, uno di quelli che la mente selezione a nostra insaputa e prima o poi ci restituisce : risale a Babel (regia di Alejandro Gonzales Inarritu, 2006), film crudo nel parlare delle sorti degli  uomini, quelle esistenziali e quelle sociali. E’ un giorno di festa perché qualcuno si sposa, in un paese della campagna Messicana: cibo, canti e vino a volontà; e  tanti bambini intorno, che un  giovane fa andare insieme a lui, tanto per farli divertire un po’,  nell’aia dove lui, tranquillo, di lì a poco decapiterà una gallina, la quale continuerà a correre impazzita, senza testa, prima di morire mentre i bambini non smetteranno di giocare e  correre eccitati.  A restare sconvolto  è solo un ragazzino biondo, appena giunto da una città oltre il confine degli Stati Uniti, mentre per i suoi coetanei, evidentemente assuefatti,   lo  spettacolo  non stupisce: solo diverte come le cose riservate ai giorni di festa: le  galline in fondo lì non si uccidono tutti i giorni.
Non si può non riflettere  che  sono infinite le violenze sugli animali, misconosciute o invece riconosciute come tali a seconda del contesto: in qualsiasi  luogo, quasi senza eccezione, si  accettano, si sostengono e si apprezzano torture e uccisioni di  animali senza connotarle come forme di violenza. Ogni cultura le riserva a specie diverse, ma anche solo a luoghi diversi: se nella nostra società ciò che viene regolarmente inflitto a norma di legge nei mattatoi ad un maiale o ad una mucca avvenisse pubblicamente, oppure  un cane venisse sottoposto  pubblicamente agli “esperimenti” che subisce, con la benedizione della Scienza con la S maiuscola, in un laboratorio di sperimentazione animale,  si parlerebbe di sadismo, si esprimerebbe sdegno e a ribellarsi non sarebbero solo i soliti animalisti, talebani e integralisti. Applichiamo in altri termini un assoluto relativismo al giudizio di accettabilità o inaccettabilità  etica: a seconda dell’animale, a seconda dello scopo, a seconda del luogo persino nella stessa città o nella stessa via. Relativismo improcrastinabile da superare: perché per ogni  animale la sofferenza, la gratuità e  l’ingiustizia sono identiche, qualunque sia il motivo, per loro drammaticamente incomprensibile, che le sostiene e qualunque sia il posto dove vengono perpetrate. Non solo: è necessario riflettere che chi quegli atti li compie sotto l’egida della accettabilità, anzichè in risposta a spinte sadiche,   subisce comunque ricadute in termini di desensibilizzazione e di trasformazione psichica nella direzione di perdita di empatia. E non basta ancora: non sono solo gli esecutori materiali  (macellatori, vivisettori, cacciatori….), coloro che scelgono o sono spinti a fare  il lavoro sporco, a subire trasformazioni: qualunque esperienza modifica chi ne è protagonista, ma anche chi ne è testimone e , in un allargarsi a centri concentrici , chi condivide la stessa cultura. “Per quanta giustizia possa esserci in una città, basterà la presenza del mattatoio a farne una figlia della maledizione”, afferma Guido Ceronetti, sintetizzando il male oscuro che ogni atto di violenza porta con sé.
Il fatto di Alexander Boettcher  e Martina Lovato è un concentrato delle logiche della violenza: sarebbe opportuno che dal male estremo che hanno provocato discendessero almeno delle considerazioni che, anziché esaurirsi nella curiosità un po’ pruriginosa che la cronaca sollecita, fossero occasione di  riflessioni profonde sul tema della violenza, che andassero oltre le logiche semplicistiche e ne cogliessero l’ordito generale, complesso e fortemente intrecciato, che vede ogni fenomeno correlato agli altri anche quando il rapporto diretto non è immediatamente percepibile, come avviene per l’amianto che genera il tumore. Nessuna delle vittime di questa bruttissima storia potrà mai avere davvero giustizia; la legge  cercherà, speriamo, di risarcire almeno un po’ gli umani. Come sempre per le vittime animali resta sempre e solo l’ingiustizia allo stato puro, senza remissione e senza pena.
                                                                             (Articolo il scritto il 20.01.2016 per essereAnimali )

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