La GUERRA dei SOLDATI
“La storia insegna, ma non ha scolari” diceva Antonio Gramsci.
Da qui il perpetuo rinnovarsi di ciò che è stato, quale che sia il carico di orrore che si porta dietro, che, se fossimo gli animali razionali che ci vantiamo di essere e che invece non siamo, dovrebbe farcene stare lontano anni luce. Niente di più vero quando si tratta di guerre, che dovremmo ben conoscere essendo un ambito di considerazioni smisurate da parte degli storici, visto che accompagnano la specie umana da sempre e visto che, ora che siamo oltre otto miliardi di individui ad avere colonizzato la terra, riusciamo a combatterne non una per volta, ma molte decine insieme, in ogni angolo, in ogni dove. Attualmente 59, secondo quanto riportato da Acled, (Armed conflict location & event data project), organizzazione che si occupa di raccogliere dati per monitorare i conflitti. Di molte non conosciamo quasi nulla e a mala pena sappiamo individuare su una carta geografica i paesi in cui hanno luogo; al momento l’attenzione pubblica, magistralmente guidata da mass media tanto spesso ridotti a cassa di risonanza del potere, è veicolata quasi esclusivamente sull’Ucraina: ma basta e avanza per provare a cogliere quelli che sono i denominatori comuni di tutte le guerre. Anche se le informazioni arrivano spezzettate, incomplete, comunque parziali; anche se la verità è la prima vittima di ogni conflitto.
Per parlare di attualità della guerra, la più disumana tra tutte le attività umane, cercando di riempire i buchi della disinformazione, un grande aiuto lo offre ciò che sappiamo di quelle che hanno insanguinato il secolo scorso, e lo offre in tempi più recenti Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la letteratura, che delle conseguenze umane di tanti conflitti si è occupata: i suoi “Ragazzi di zinco” sono quelli che ritornano, chiusi nelle bare metalliche, dall’Afganistan, dove erano stati mandati a combattere tra il 1979 e il 1989 durante l’occupazione sovietica del paese: lei dice di tutto quello che si sarebbe voluto censurato, ma che le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti e delle famiglie fanno emergere dalla volontà di oblio.
