sabato 18 novembre 2023

Il linguaggio della guerra

https://comune-info.net/il-linguaggio-della-guerra/

Il linguaggio della guerra

Annamaria Manzoni
06 Novembre 2023
Foto di Cole Keister su Unsplash

“Stiamo mettendo completamente sotto assedio Gaza. Niente elettricità, niente acqua, niente cibo, niente gas, tutto chiuso. Stiamo combattendo contro bestie e ci comportiamo di conseguenza”. Sono le parole del ministro della Difesa israeliana Yoav Gallant. “Questi animali barbari e sadici le hanno semplicemente tagliato la testa mentre attaccavano, torturavano e uccidevano”, dice Isaac Herzog, presidente di Israele, riferendosi all’uccisione da parte di Hamas della ventiduenne Shani Loouk. E la giornalista Francesca Mannocchi sulle pagine della Stampa ricorda come il linguaggio disumanizzante fosse usato già nel 2014 quando la parlamentare israeliana Ayelet Shaked  auspicava che venissero uccise anche le madri palestinesi che resistevano all’occupazione così che non potessero mettere al mondo altri piccoli serpenti, implicitamente definendo serpenti i palestinesi cresciuti in quelle case da abbattere: quindi, secondo una ingenerosa rappresentazione di questi animali, esseri infidi, pericolosi, malvagi.

Marco Noris ribatte da Micro Mega quanto suonino sconvolgenti parole del genere pronunciate dai capi di quel popolo costituito, non molti decenni orsono, secondo la propaganda nazista, da animali umani, come erano considerati gli ebrei stessi, e quanto fu efficace il processo di disumanizzazione su base etnica operato nei loro confronti per giustificare la banalità del male dell’Olocausto.

Insomma, quello che i giornalisti colgono è un processo teso a trasformare il nemico, Hamas ma con lui tutti i palestinesi, in animale: l’insulto e l’oltraggio sono evidenti, e con questi la loro riduzione in qualcosa di subumano, di altro rispetto alla natura di chi offende: la trasformazione in bestia dell’altro e quindi il richiamo alla sua presunta inferiorità morale diventano il lasciapassare alle azioni di inaccettabile violenza messe in atto, che risulterebbero più problematiche se a quello stesso nemico fosse riconosciuta dignità umana.

giovedì 5 ottobre 2023

La ribellione dei Santuari

27 Settembre 2023

La furia da abbattimento decisa in provincia di Pavia (34.000 maiali uccisi in pochi giorni) per la presenza di alcuni focolai di peste suina negli allevamenti non ha risparmiato il Rifugio Cuori Liberi di Sairano, dove le forze dell’ordine e i veterinari sono entrati di forza e hanno ucciso i 9 maiali presenti. Nelle alte sfere si ostinano a non considerare le cause dei virus, da ricercare nell’esistenza stessa degli allevamenti: la soluzione è sempre lo sterminio degli animali. Tuttavia, molti per la prima volta hanno saputo della straordinaria rete di “santuari”, rifugi che raccolgono animali normalmente definiti da reddito, salvati in vari modi dal destino di morte: coloro che gestiscono quei luoghi conoscono gli animali uno per uno, danno un nome a ognuno di loro e con loro costruiscono relazioni di fiducia, libertà, affetto. Quei Santuari dimostrano che è possibile creare relazioni diverse con gli animali nonumani, abbattendo la rappresentazione di comodo diffusa, che li svilisce: del resto la denigrazione delle vittime, accade anche con gli ultimi degli umani, è sempre fondamentale per sdoganare il trattamento di sfruttamento e morte

In questi giorni in provincia di Pavia si è proceduto all’uccisione di decine di migliaia di maiali (34.000 quelli già abbattuti, secondo la terminologia usata dai responsabili) perché alcuni focolai di peste suina negli allevamenti stanno portando le autorità a eliminare tutti gli animali presenti per evitare che il contagio si espanda: sani o malati fa lo stesso, come è ininfluente la certezza che gli umani non possono essere colpiti dal virus. Semplice prudenza, atta a proteggere la filiera alimentare, attuata con i metodi particolarmente spicci usati in questi casi: altro che stordimento preventivo.

La furia da abbattimento non ha risparmiato il Rifugio Cuori Liberi di Sairano, dove le forze dell’ordine e i veterinari sono entrati di forza e hanno ucciso i nove maiali lì ancora presenti: a nulla è valsa la resistenza portata avanti per quindici giorni da attiviste e attivisti che hanno difeso fisicamente gli animali presidiando senza sosta la situazione. Ci sono state suppliche, richiamo alla compassione, sollecitazione a non obbedire a ordini ingiusti, esortazione a esaminare soluzioni diverse: e senza sosta la resistenza passiva delle persone, in buona parte donne, che hanno frapposto i propri corpi tra le forze dell’ordine, in assetto di battaglia, e gli animali minacciati. Per altro le richieste non potevano raggiungere i veri responsabili: ministri, amministratori, vertici della sanità, che gestiscono il potere a grande distanza, lasciando prudentemente allo scoperto i “soldati semplici”, ultime pedine del gioco, per i quali le conseguenze personali da pagare per un atto di disobbedienza sarebbero state presumibilmente gravosissime. L’”operazione” si è conclusa con attacchi fisici a chi stava opponendo resistenza passiva, e l’uccisione dei maiali ha avuto luogo nella disperazione delle volontarie e dei volontari presenti e di tutti coloro che hanno assistito a distanza agli avvenimenti grazie ai filmati postati sui social: l’indignazione, il dolore, la rabbia sono dilagati a macchia d’olio.

lunedì 19 giugno 2023

LA GUERRA DEI SOLDATI


La GUERRA dei SOLDATI

“La storia insegna, ma non ha scolari” diceva Antonio Gramsci.

Da qui il perpetuo rinnovarsi di ciò che è stato, quale che sia  il carico di orrore che si porta dietro, che, se fossimo gli animali razionali che ci vantiamo di essere e che invece non siamo, dovrebbe farcene stare lontano anni luce. Niente di più vero quando si tratta di guerre, che dovremmo ben conoscere essendo un ambito di considerazioni smisurate da parte degli storici, visto che accompagnano la specie umana da sempre e visto che, ora che siamo oltre otto miliardi di individui ad avere colonizzato la terra,  riusciamo a combatterne non una per volta, ma molte decine insieme, in ogni angolo, in ogni dove. Attualmente 59, secondo quanto riportato da  Acled, (Armed conflict location & event data project), organizzazione che si occupa di raccogliere dati per monitorare i conflitti. Di molte non conosciamo quasi nulla e a mala pena sappiamo individuare su una carta geografica i paesi in cui hanno luogo; al momento l’attenzione pubblica, magistralmente guidata da mass media tanto spesso ridotti a cassa di risonanza del potere, è veicolata quasi esclusivamente sull’Ucraina: ma basta e avanza per provare a cogliere quelli che sono i denominatori comuni di tutte le guerre. Anche se le informazioni arrivano spezzettate, incomplete, comunque parziali; anche se la verità è la prima vittima di ogni conflitto.

Per parlare di attualità della guerra, la più disumana tra tutte le attività umane, cercando di riempire i buchi della disinformazione, un grande aiuto lo offre ciò che sappiamo di quelle che hanno insanguinato il secolo scorso, e lo offre in tempi più recenti Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la letteratura, che delle conseguenze umane di tanti conflitti si è occupata: i suoi “Ragazzi di zinco” sono quelli che ritornano, chiusi nelle bare metalliche, dall’Afganistan, dove erano stati mandati a combattere tra il 1979 e il 1989 durante l’occupazione sovietica del paese: lei dice di tutto quello che si sarebbe voluto censurato, ma che le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti e delle famiglie fanno emergere dalla volontà di oblio. 

mercoledì 19 aprile 2023

QUELLA COLT SEMPRE CARICA


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 Annamaria Manzoni

16 Aprile 2023

Cosa ci fanno gli orsi nei boschi trentini? Ci sono sempre stati? In realtà la loro presenza è ricominciata nel 1999, quando il primo di loro fu importato dalla Slovenia: da allora, con soldi Ue, decine di orsi sono stati anestetizzati, catturati, deportati per rendere più affascinanti montagne già incantevoli. Quel progetto non è stato accompagnato da investimenti in cultura e informazione sul territorio. Cosa è accaduto in questi anni? Tante cose: Maurizio Fugatti, ad esempio, nel 2011 ammise di non riuscire proprio a capire la ragione dell’intervento dei NAS, arrivati a rovinare il banchetto a base di carne d’orso (sloveno) organizzato per una festa dei leghisti; oggi, come presidente della Regione Trentino Alto-Adige, ha già decretato la condanna capitale all’orsa che ha provocato la morte di Andrea Papi, preannunciando anche l’eliminazione di altri 50, ma forse 60, ma, secondo l’ultima conferenza, meglio 70 “esemplari”, proprio come nei film western, quando il forestiero non gradito infastidiva e dalla fondina si estraeva la colt, sempre carica. È accaduto anche che migliaia di cacciatori abbiano provocato in ogni stagione decine di vittime umane. Infine, è accaduto che si è smesso di attribuire agli orsi nomi di battesimo, meglio designarli con sigle, in fondo sono soltanto oggetti

La drammatica morte di Andrea Papi in Trentino, ad opera di un orso, desta lo sgomento e il grande cordoglio che la perdita di una giovane vita porta con sé: il dolore, lungi dall’ostacolare, esige la giustizia che può solo derivare dall’analisi delle situazioni che l’hanno determinata. È quindi necessario impedire che questa morte divenga il lasciapassare per le decisioni della Regione Trentino Alto Adige, presidente Maurizio Fugatti, che, con la rapidità dell’azione che precede il pensiero, hanno decretato la condanna capitale all’orso assassino (in realtà la diciassettenne orsa JJ4) e a due suoi conspecifici “problematici”, preannunciando altresì l’eliminazione di altri 50, ma forse anche 60, ma, secondo l’ultima conferenza, meglio 70 “esemplari”. La condanna (che sta mobilitando le forti proteste delle associazioni animaliste ed è al momento sospesa dal TAR, su esposto della LAV) è stata comminata con una rapidità che può derivare solo dalla convinzione che la scia di paura e di emotività sollevata dall’episodio possa travolgere e cancellare quel genere di interventi critici, vale a dire ragionati, che già nel passato avevano ostacolato analoghe decisioni.

Per altro sono gli stessi genitori di Andrea, pur nel mezzo della dolorosissima tempesta emotiva che li sta travolgendo, a esigere verità e ad opporsi allo scaricabarile sull’animale, chiedendo a gran voce giustizia, vale a dire assunzione di responsabilità da parte di chi responsabile è.

La logica di fondo di quanto sta succedendo è quella ben praticata secondo cui ogni e qualsivoglia animale deve essere considerato al servizio dei desiderata di noi umani, autorizzati a disfarcene nel momento stesso in cui non risultano più rispondenti alle nostre aspettative. Quando questo succede, la soluzione è quella che dilagava nei vecchi film western: quando il forestiero non gradito infastidiva, dalla fondina si estraeva la colt, sempre carica perché in questo mondo malvagio è bene non distrarsi mai, e si sparava, eliminando il problema insieme al suo portatore: il diritto era ed è quello del più forte, universalmente riconosciuto in territori dove le idee sono forse poche, ma ci si è profondamente affezionati.

Per capire cosa ci facciano gli orsi nei boschi trentini, va ricordato che la loro presenza data dal 1999, quando il primo di loro ci fu importato dalla Slovenia, in omaggio al progetto LIFE URSUS. Masun (questo il suo nome) fu seguito da tanti altri, come lui anestetizzati, catturati, trasportati a vivacizzare e colorire con la propria grande mole il paesaggio montano per altro già universalmente considerato incantevole: progetto antropocentrico che ha visto splendidi animali usati come oggetti di “ripopolamento”, da spostare in cambio di generosi contributi economici dell’unione europea, nella evidente convinzione che avrebbero abdicato ai loro istinti riproduttivi, quelli che hanno oggi portato il loro numero a un centinaio, e alle loro caratteristiche di specie, comportandosi come ospiti garbati, attenti a non infastidire quegli umani che tanto gioiosamente avevano decretato la loro immigrazione obbligatoria.

Nel corso degli anni a seguire, alcuni casi sono saliti alla ribalta della cronaca: ci fu l’orso Bruno, deliberatamente ucciso (era il 2006), perché aveva avuto l’inaccettabile idea di sconfinare in Baviera dove si era reso responsabile dell’uccisione di capi di bestiame, togliendo così il monopolio agli umani, gelosissimi della loro esclusiva. Nel 2014 fu Daniza, che, per avere cercato, come ogni buona madre umana o nonumana, di difendere i suoi cuccioli, fu destinata ad una cattura, eseguita con tanta poca perizia da causarne la morte. Di altri orsi si è poi deciso l’imprigionamento a seguito di minacce ad umani, benché mai davvero provate. Nel frattempo si era già prudentemente smesso di attribuire loro nomi di battesimo, facilmente memorizzabili e capaci di risvegliarne, insieme al ricordo, anche le vicende dei grandi soprusi patiti, preferendo designarli con sigle neutre e burocratiche (M62, MJ5…): il nome designa un individuo, una sigla soltanto un oggetto. Scelta rivelatasi indovinata visto l’evolversi delle situazioni, che sono andate prendendo forma ogni qual volta un orso ha seguito le proprie inclinazioni e i propri istinti, anziché adattarsi diligentemente alla tipologia di orso Yoghy, gigante buono e inoffensivo interessato al massimo ai cestini da pic nic dei turisti nel fantastico parco di Jellystone: questo era forse nelle previsioni delle autorità trentine. F43 è stata uccisa durante una cattura ancora una volta eseguita malamente; KJ2 abbattuto perché colpevole di avere attaccato e lievemente ferito un settantenne e non fa niente se il cane di quest’ultimo lo aveva probabilmente spaventato; il giovane maschio M57 spostato in un parco zoo in Ungheria….

sabato 25 marzo 2023

Accumulare fino a soffocare

Il nostro disturbo da accumulo

Annamaria Manzoni
Pubblicato su Comune-info il 25 Marzo 2023

Alcuni giorni fa a Foggia un uomo scomparso da mesi è stato ritrovato cadavere in casa propria, sommerso da una cumulo inimmaginabile di oggetti e spazzatura. In questo articolo Annamaria Manzoni racconta che non si tratta affatto di un caso isolato e spiega come che chi è affetto dal cosiddetto “disturbo di accumulo” subisce una compulsione irrefrenabile a conservare ogni cosa e anzi ad acquisirne sempre altre. Un problema sociale dunque, non solo una bizzarra notizia di cronaca, di cui si sa ancora poco e di cui tutti dovremmo occuparci, dal momento che colpisce sempre più persone, uomini e donne di qualsiasi classe sociale. Di certo si tratta di persone che per lo più si trovano a vivere senza legami sociali: viene in mente un libro straordinario, L’era degli scarti, di Marco Armiero, secondo il quale l’epoca del “Wasteocene” che viviamo non solo produce un numero infinito di rifiuti e di scarti umani, ma cerca anche di soffocare qualsiasi percorso, fatto prima di tutto di condivisione e cura, che metta in discussione quel regime e le sue conseguenze

Ci sono realtà che ignoriamo totalmente fino a quando non ci vengono letteralmente portate in casa dai media, e a quel punto ci lasciano interdetti. È successo ancora in questi giorni, quando a Foggia un uomo scomparso da mesi è stato ritrovato cadavere in casa propria, sommerso da una cumulo inimmaginabile di oggetti, cose, spazzatura.

In breve: il signore in questione, un omone grande e grosso, non più giovane, che viveva da solo e deambulava con l’aiuto di stampelle, non si era più visto in circolazione. I vicini di casa, che avevano potuto guardare nel suo appartamento, si erano trovati davanti alla scena sconcertante di oggetti, cibo e rifiuti di ogni tipo, che congestionavano ogni spazio disponibile. L’evidentissimo degrado, la sporcizia, gli odori, sommandosi alla forte preoccupazione per la scomparsa dell’uomo, li avevano dapprima indotti a chiedere l’intervento delle autorità locali, amministrative e sanitarie, che si erano limitate a un sopralluogo e niente più. Si erano quindi rivolti alla trasmissione Chi l’ha visto, che, la sera stessa della messa in onda dei filmati nell’abitazione, aveva compiuto il miracolo di fare materializzare sul luogo i responsabili locali. A distanza di poche settimane, l’attuazione dello sgombero aveva portato al temuto, ma prevedibile ritrovamento del cadavere dell’uomo sotto gli strati di “cose”.

Superfluo qualsiasi discorso su quali siano le leve che hanno il potere magico di risvegliare ai loro compiti sonnolenti poteri pubblici, perché sono scandalosamente evidenti. Interessante invece mettere a fuoco quella forma di malessere diffuso, ma poco conosciuto, che può comportare risvolti o epiloghi tragici come quello descritto. Si, perché non si tratta affatto di un caso isolato: e tra i tanti vanta (si fa per dire) il caso divenuto famoso dei fratelli Collyer, Homer Lusk e Langley, che nel 1947 furono letteralmente dissepolti, ormai cadaveri, da oltre 140 tonnellate di cose e spazzatura che riempivano fino al soffitto i tre piani dello stabile nella Fifth Avenue a New York, in cui vivevano asseragliati da oltre 10 anni. Anche in quel caso, proprio come in quello di Foggia, fu un vicino ad allertare la polizia, spinto dall’odore insopportabile proveniente dall’appartamento.

martedì 10 gennaio 2023

Dei delitti contro gli animali

https://comune-info.net/dei-delitti-contro-gli-animali/?fbclid=IwAR0l-d26-hT934RiqeoLndTiOQq_3f-mwp-C02sJd4SKRrnPNAkrJyijF40

Annamaria Manzoni
02 Gennaio 2023

Il video del maremmano che un paio di settimane fa, in Salento, per aver fatto irruzione in un pollaio, è stato legato al paraurti di un’auto e trascinato fino a incontrare un’orribile morte, ha fatto il giro del web. Ma è solo la punta dell’iceberg della violenza gratuita contro i nonumani, fatta di maltrattamenti ma anche di caccia, vivisezione, avvelenamenti di massa, corse clandestine. “L’importanza del contesto è tale per cui anche delitti che appaiono individuali, totalmente attribuibili alla responsabilità di un singolo individuo – scrive Annamaria Manzoni -, in realtà risentono di variabili che vanno a costituirne il brodo di cultura. In fondo la lezione un po’ la stiamo imparando: è da qualche anno, per esempio, che ogni episodio di violenza sulle donne… risolleva dibattiti sulla cultura e i pensieri dominanti che lo rendono possibile…”

Ci risiamo: nei pressi di Santa Cesarea Terme (Le) un cane, un paio di settimane fa un maremmano reo – a quanto pare – di avere ucciso per fame due galline, è stato legato al paraurti di una macchina e trascinato fino a incontrare un’orribile morte. Autore dell’ignobile gesto il proprietario delle galline, un uomo anziano, che lo ha costretto a correre alla velocità dell’auto fino a quando non ce l’ha fatta più: a quel punto il cane si è lasciato andare ed è stato trainato sull’asfalto. Una guardia ambientale (Dania Carelli, che ha poi dato il nome di White al cane) li ha incrociati: con ammirevole determinazione ha costretto l’uomo a fermarsi e ha fatto intervenire le forze dell’ordine. Sta facendo il giro di molti giornali e siti on line la foto che vede il povero animale a terra, morto, ancora umiliato dal cappio al collo, e, sullo sfondo, (oscurato dai media main stream, ma non dai social) l’autore di tanta nefandezza, mano in tasca e sguardo altrove.

Episodio in drammatica fotocopia di quello che a Priolo Gargallo (Sr, maggio 2019) ha visto un altro cane fare identica fine ad opera di un altro sessantenne che ha poi gettato in un campo, a mo’ di spazzatura, quel che restava di lui mentre era ancora in vita: Matteo (questo il nome con cui ci si è poi riferiti alla povera bestia) è morto poco dopo, ridotto a carne smembrata, sul tavolo del veterinario da cui era stato portato dai soccorritori, allertati da due coraggiosi ragazzi, che avevano avuto la prontezza di scattare foto che riprendevano anche il numero di targa dell’auto.

Lecito pensare che in entrambi i casi, in assenza di testimoni, il rinvenimento dei corpi martoriati dei cani non avrebbe indotto a nessuna indagine, perché collegato a fatti di consueta malvagità, come dimostrano i resti di tanti animali ritrovati in discariche con segni di torture, ai quali solo in casi assolutamente eccezionali fa seguito al più un brevissimo trafiletto su qualche notiziario locale particolarmente sensibile. È auspicabile che l’indignazione sollevata da questo ennesimo episodio non si esaurisca in un orrore solubile in breve nell’indifferenza dell’abitudine, ma costringa a riflettere su quale possa essere il percorso di formazione di quella oscenità che porta degli uomini a infierire contro esseri incatenati e indifesi, insensibili alla sofferenza che urla sotto i loro stessi occhi, e anzi pervicacemente determinati a portarla a termine. Fino alla morte. Siamo di fronte al male allo stato puro: ingiustificabile, estremo, opera compiaciuta di menti lucide; non delitti d’impeto, generati da emozioni che esondano e obnubilano i pensieri, ma massacri precisi e scrupolosi.