Foto di Wei Seng Chen
Zoo, circhi, sagre, sono contesti in cui gli animali vengono tenuti
imprigionati, costretti in condizioni incompatibili con la loro natura, obbligati a
performances estranee alle loro inclinazioni, allo scopo esclusivo di divertire il pubblico.
Il fenomeno non è di poco conto se si considera che in Italia i circhi sono circa 300, che
gli zoo vanno aumentando pur nelle forme di zooparchi, che hanno ancora luogo annualmente un
migliaio di sagre di Paese dove, ad un certo punto, la folla per divertirsi maltratta quache
animale.
Non possiamo fingere di non sapere che gli orsi in bicicletta, le tigri che attraversano
cerchi infuocati, i leoni seduti sugli sgabelli, gli elefanti che danzano a ritmo di musica
nei circhi sono il risultato di tecniche di ammaestramento crudelissime. Un percorso che ha
sempre il suo prologo con un rapimento, la sottrazione forzata di questi animali dai loro
luoghi di origine con l'inevitabile uccisione di molti esemplari e la morte accidentale di
tanti altri. Una sottomissione che prosegue poi con metodi per indebolire la volontà degli
animali prigionieri. Con la privazione di acqua e cibo, con gli ordini impartiti alle povere
bestie percosse con fruste, bastoni e ferri roventi. Non hanno difficoltà ad ammetterlo gli
stessi circensi, i "domatori" secondo cui la libertà e la bellezza della natura
sono sacrificabili al gusto di un addomesticamento forzato.
Nessun animale non umano è poi al riparo dalle violenze che vengono perpetrate nelle sagre.
Asini, buoi, capre, piccioni, oche, rane (solo per citarne alcuni) vengono sottoposti a
crudeltà e abusi, sdoganati da quella sorta di salvacondotto che è il richiamo a «cultura e
tradizione». Questi termini legittimano, per esempio, che dei buoi vengano costretti a
correre per ore trascinando pesi inammissibili; che anatre e galli vengano spinti terrorizzati
per le strade; che ragazzini bendati si sfidino a colpire con una scopa un maialino atterrito
e sconvolto, che, chiuso in un recinto, tenta vanamente di sottrarsi agli abusi.
Il valore culturale di queste manifestazioni deriva dalle loro origini lontane nel tempo.
Bisogna di fatto risalire agli egizi, i primi ad ammaestrare animali e a raccoglierli in
parchi che furono gli antesignani degli attuali zoo. Poi fu la volta dei greci, che
insegnarono a leoni, orsi, cavalli a danzare, inchinarsi e fare giochi di abilità, e
inventarono i primi serragli itineranti, precursori degli attuali circhi.
Roma invece raggiunse l'apoteosi della carneficina degli animali non umani (oltre che di
quelli umani) al Circo Massimo, dove le lotte e le uccisioni tra animali "feroci"
affiancavano quelle tra i gladiatori. In occasione dell'inaugurazione del Colosseo il pubblico
si entusiasmò davanti all'uccisione di alcune migliaia di animali, per poi festeggiare i
successi militari dell'imperatore Traiano con una carneficina di 11mila vite: l'abitudine e
l'attrazione per sangue e morte, alimentata nel corso delle guerre, celebrava se stessa.
L'avvento della cristianità, ma soprattutto il lento esaurirsi di "materie prime",
indussero ad un progressiva limitazione dello spargimento di sangue, ma non dello sfruttamento
degli animali che, non più uccisi in pubblico, cominciarono ad essere ridicolizzati e
umiliati a tutto beneficio degli spettatori. L'odierno uso degli animali nei circhi, nelle
sagre, negli zoo discende proprio da quelle antiche manifestazioni, che oggi trovano il loro
denominatore comune nell'assenza di una qualsiasi utilità, nella ricerca del coinvolgimento
della folla presente, nella sottomissione della creatura più debole. Tutto ciò sopravvive
nonostante stiano progressivamente mutando la considerazione e l'atteggiamento verso gli
animali. Sempre di più le persone stigmatizzino la violenza su di loro; quella immane degli
allevamenti, dei macelli e dei laboratori di vivisezione, favorita dalla inaccessibilità dei
luoghi dove viene perpetrata.
Non è tuttavia da sottovalutare il fatto che si tratti di contesti che hanno come pubblico
privilegiato i bambini, accompagnati dagli adulti ad assistere, quando non a partecipare
attivamente, al tormento dell'animale. Bambini che, a seconda dell' età, tenderanno a fare
una sovrapposizione tra ciò che vedono e l'atmosfera di festa che respirano. Impareranno che
tutto ciò che succede è lecito e divertente. Si abitueranno a non a cogliere la sofferenza
degli animali, misconoscendo i loro segnali disperati di irrequietezza, sofferenza e terrore.
Se le naturali emozioni di disagio, speculari a quelle provate dall'animale, si scontrano con
l'allegra superficialità dell'adulto, sarà gioco forza per un bambino non dare loro diritto
di cittadinanza e adeguarsi allo stato mentale che gli viene richiesto. Risultato inevitabile
è un'educazione all'insensibilità, a non riconoscere nell'altro essere vivente i segnali di
dolore, a ritenere normali le manifestazioni di dominio del più forte sul più debole: il
percorso, in una parola, va in direzione opposta all'educazione all'empatia.
L'empatia è una componente essenziale del comportamento prosociale e dell'intelligenza
emotiva. Permette di capire quello che l'altro prova, grazie a meccanismi di risonanza
interna, che rispecchiano il vissuto di chi abbiamo di fronte: siccome induce a strutturare il
proprio comportamento nel rispetto dell'altro, porta ad inibire comportamenti aggressivi. Gli
animali sono esseri viventi, a noi accomunati da un analogo destino esistenziale di nascita,
di vita e di morte. Per molti versi non ci somigliano: capirli, decodificare i loro messaggi e
le loro emozioni è necessario corollario del rispetto loro dovuto ed è contemporaneamente
training per imparare a mettersi dal punto di vista dell'altro, chiunque esso sia. Nel fare ciò,
è fondamentale che i bambini siano aiutati dagli adulti ad interpretare il linguaggio del
corpo, i suoni con cui gli animali domestici e non domestici segnalano i loro stati emotivi:
devono essere resi consapevoli che anche loro amano, soffrono, chiedono aiuto, cercano la
gioia o il riposo.
Sul versante opposto, la mancanza di empatia verso gli animali nella sua forma estrema di
maltrattamento, tortura, uccisione è correlata ad altre forme di violenza intraspecifica,
tanto che tra i criteri diagnostici dei disturbi della condotta e dei disturbi antisociali di
personalità trova posto proprio la crudeltà contro gli animali. Può sembrare eccessivo, ma
non è inutile ricordare che, nella biografia di persone affette da disturbi della condotta,
e, in un crescendo di gravità e violenza, di psicopatici e di serial killer, è tutt'altro
che raro imbattersi in episodi ripetuti e gravi di violenza contro gli animali.
Nella nostra società è quanto mai attuale una piramide gerarchica che vede alla propria base
tante persone deboli e umiliate, e, un gradino ancora più sotto, gli altri animali: prendersi
cura di loro, percependo il comune destino che lega umani e non umani e si allarga ad un
atteggiamento di rispetto nei riguardi della natura in generale. Significa anche affrontare
alle radici il problema della violenza. Questa violenza, invece, i bambini imparano a
legittimarla quando sono sollecitati a divertirsi nel vedere animali resi indifesi, che
vengono sottomessi e maltrattati, nel rispetto di un unica logica: quella del più forte.
In Italia la legge ancora legittima e addirittura sovvenziona lautamente i circhi con uso di
animali, a differenza di quanto già avviene in altri paesi europei. Gli zoo sopravvivono e
solo alcune città hanno deciso di rinunciare a sfruttare gli animali nelle manifestazioni
culturali, a fronte delle molte retroguardie arroccate sulla difesa di una «tradizione»
insensibile alla necessità del rispetto per ogni essere vivente. Tuttavia già il fatto che
queste poche città esistano è prova che il cambiamento preme ed è possibile oltre che
doveroso. Di tale cambiamento, richiesto a gran voce dalle istanze più sensibili della
popolazione, i legislatori non dovrebbero essere spettatori inerti, ma promotori, alla luce
delle riflessioni, delle osservazioni, delle conoscenze, che devono indurre a ripensare dalle
fondamenta il rapporto tra l'uomo e gli altri animali.
Quegli animali che Jim Mason, nel suo libro che non a caso si intitola "Un mondo
sbagliato", definisce «l'anima e la commozione della natura»: è arrivato il momento di
porre fine a tutte quelle convinzioni, abitudini, tradizioni, che legittimano e supportano il
loro sfruttamento e la loro sottomissione da parte nostra. E finalmente, con le parole di Gino
Ditadi ("I filosofi e gli animali") «di prendere sul serio quei sogni in cui è
evocato un mondo conciliato: una rivisitazione del rapporto tra l'uomo e l'animale diventa
allora un appello all'intelligenza, alla memoria, al sentimento».
(Annamaria Manzoni, Liberazione 17/07/2008)
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