Alla morte di Lucio Dalla, nel marzo
del 2012, tra le tante fotografie pubblicate, due lo vedono, in tempi diversi, avvoltolato
in pellicce di imprecisati animali
C’è una fotografia di Lucio Dalla che obbliga a tanti pensieri, quella in cui appare avvolto in una pelliccia, di animale non bene identificato. Superfluo tessere le lodi di Lucio Dalla e ricordare che lui è stato molto di più di un cantante, è stato il cantore di un’umanità sconfitta, ha guardato nelle pieghe delle ingiustizie sociali e ne ha colto la sofferenza; ha visto la pena dei carcerati e ne ha condiviso gli aneliti a vivere la propria umanità nei sentimenti umiliati da una giustizia disumanizzante. Il soldato che, in Itaca, combatte una guerra che darà vanto solo al suo capitano ha la stessa profondità del povero di Bertol Brecht, che, qualunque sarà l’esito della guerra, sarà sempre un vinto.
Che una persona di questa levatura, di tanta
sensibilità non abbia mai ritenuto degno di
uno sguardo neppure distratto l’animalità sofferente tutto intorno è
fonte di grande disappunto, ma vestirsi con quella pelliccia, simbolo
riconosciuto dello sfruttamento degli animali, piegati al nostro piacere anche
quando ciò risponde solo a capriccio e
vanità, nel suo caso forse a banale provocazione, travalica i limiti di una pur
colpevole indifferenza ed entra nell’area di un esibito disprezzo per ogni diritto degli animali non
umani. Come è possibile che la loro tragedia venga addirittura aggravata non da
un sadico, un violento, un arrogante e presuntuoso rappresentante della specie
umana, ma da un uomo di forte e riconosciuta sensibilità?
Non sarebbe sufficiente, ma un po’ più
rassicurante poter isolare la crudeltà e
l’indifferenza verso la sofferenza degli animali in un universo popolato da persone incapaci di guardare al di là dell’immediatamente
visibile, poco aduse a riflettere sulle ingiustizie del mondo, portate a non
porsi domande imbarazzanti, a godere di
ogni privilegio, costi quel che costi ad altri più deboli . Ma quando lo
sprezzo dei più elementari diritti proviene da chi sa dare parole di poesia
alle ingiustizie del mondo e a rimandarcele avvolte da quell’aura in cui la
disperazione si stempera nella possibilità di condivisione, beh allora i conti proprio non tornano.
Un’altra notizia arricchisce il quadro: nella
rubrica delle lettere al Corriere della Sera
dell’1 marzo è apparsa quella del
sig. Santandrea a denunciare la situazione, nei pressi di Milano, di alcune
cornacchie rimaste stipate senza cibo né acqua in angustissime gabbie, in
attesa di soppressione, perché ree di
essere in sovrannumero: al momento opportuno, spiega, il loro capino verrà violentemente picchiato
contro uno spigolo e il problema sarà risolto. La lettera riceve dalla
destinataria, la prof. Isabella Bossi Fedrigotti, specialista in psicologia, una lapidaria
risposta: se questo è quanto, meglio allora i cacciatori: un colpo secco e via.
In pratica, è come se alla denuncia di situazioni di bambini in condizioni di
maltrattamento, l’esperta avesse dato una risposta del tipo “tanto vale
piuttosto toglierli ai genitori appena
nati”o magari “meglio allora non farli i figli”. Siamo invece del tutto certi che non sarebbe
stato questo il commento della psicologa, che
avrebbe invece ritenuta fondamentale
un’analisi del contesto in cui determinate aberrazioni maturano e avrebbe fatto
riferimento a studi e ricerche per
elaborare percorsi di accompagnamento ad un doveroso tentativo di decodificare
il problema, in virtù della sua esperienza, sensibilità, conoscenza
approfondita, e soprattutto del dovere etico e professionale di farsi carico
della sofferenza dei più deboli. Per le cornacchie invece no: meglio un colpo e
via.
Ciò che
accomuna due situazioni tanto diverse è il mantenimento degli animali, chiunque
essi siano, al di fuori dall’orizzonte
etico, è il “confine dell’umano” come muro invalicabile per l’empatia e per
l’attribuzione del diritto alla vita,
alla libertà, alla non sofferenza. Niente di nuovo sotto il sole, dal momento
che questo è il mondo in cui viviamo, mondo per altro fortunatamente
attraversato anche da proteste soffertissime per questo stato di cose e di
lotte, ideologiche e non, per i cambiamenti che urgono. L’individualità specifica di un poeta
dell’umano sentire e di una studiosa di dinamiche intrapsichiche, alla ricerca,
ognuno con la propria specificità, del bandolo della matassa dell’umana
complessità, lasciano però sconcertati: testimoniano che evidentemente non bastano
la competenza, l’abitudine alla riflessione, lo sguardo attento alle
relazioni, la conoscenza di bisogni e di pulsioni, un afflato solidale verso la
sofferenza per prendere coscienza che il
posto che gli animali occupano oggi su questa terra non è quello giusto,
che ben altro sarebbe se vigessero criteri di giustizia e di armonia; anche per poeti e scienziati più
forte ed efficace, lì a portata di mano,
è l’attrazione verso ciò che è consolidato, comodo, foriero e assicuratore di
privilegi.
Evidentemente
la barriera che separa l’umano dal non umano è ancora oggi invalicabile
per troppi ; da qui , dalla necessità del suo superamento, bisogna ripartire,
con un rivolgimento che non può non mettere
in discussione le basi stesse di un pensiero nutrito di postulati tutti
tesi ad assicurarci, specie eletta, il
posto migliore nelle cose del mondo. “Questo mondo è sbagliato” afferma Josè
Saramago e si augura “ che ne venga un altro”, conservando, nonostante tutto,
notevole ottimismo nel non auspicarne semplicemente la fine: la tentazione è
forte.
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaCara Annamaria, quella foto di Dalla è tristemente famosa e mi ha sempre irritato al punto da scalfire l'immagine che avevo di Dalla, proprio quella che hai dipinto tu. Se si dovesse fare un'analisi psicologica degli atteggiamenti di illustri artisti, per non parlare dell'analisi filologica di certi loro testi, relativamente al rapporto con gli animali e al linguaggio che li denigra, troveremmo parecchio materiale su cui dibattere e la pelliccia di Dalla apparirebbe solo la punta di un gigantesco iceberg.
RispondiEliminaPaola
Cara Paola, è vero ed è grave: se il non rispetto per il mondo degli animali deriva, nei fatti e nei testi inconsapevooli, da quelle che sono le icone di intere generazioni, per la loro sensibilità e la loro capacità di entrare nel mondo dei sentimenti e delle emozioni più profonde, le dimensioni del problema appaiono in tutta la loro drammaticità.
Eliminapurtroppo finchè il papa gira con l'ermellino (forse questo nuovo ce la risparmierà),
RispondiEliminala toga dei magistrati ha inserti di pelliccia superflui, si vanta il boom economico in borsa della MONCLER, si aprono delfinari fatti da archistar ecc. ecc. temo che di artisti sensibili a certe tematiche ne vedremo e udiremo ben pochi.
Anche se faccio sempre molta difficoltà a distinguere tra scelte alimentari e scelte di abbigliamento visto e riconosciuto che entrambe provocano sofferenze e morte ad altri esseri viventi (i pesci che empaticamente quasi nessuno difende per esempio).
Saluti antispecisti, brava continua così, con stima
Stefano Bernardi
Si, certo: scelte alimentari e di vestiario sono sullo stesso piano. Però dai più sensibili interpreti dell'animo umano, o sedicenti tali, qualche spettativa in più sarebbe lecita. La delusione finisce per essere più forte.
EliminaUn abbraccio