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mercoledì 22 maggio 2024

CREPET, CLERICI, LOLLOBRIGIDA: TRA RIDICOLIZZAZIONE E FALSIFICAZIONE


Pubblicato su COMUNE-INFO, 6 MAGGIO 2024  - Foto Chuko Cribb su Unsplash

Mesi fa il prof. Paolo Crepet aveva fatto parlare di sé più del solito, immaginando  una seratina tutta sesso e rock and roll, che si sarebbe poi miseramente afflosciata a causa dei  gusti alimentari della giovane prescelta: “Inviti una ragazza a cena e questa mangia miglio… Ma che ci si fa con una così? L’amore? Ma a quella le viene in mente che dopo le vengono le occhiaie. Chissà che si inventa…Moriremo eleganti” . Era stato poi indotto a porgere pubbliche scuse, travolto da un fiume in piena di critiche che devono avergli suscitato più di qualche preoccupazione sulla sua apparentemente immarcescibile popolarità. Aveva quindi definito le sue stesse parole “Frase infelice sull’infelicità”, lasciando basito un pubblico incapace di capire di quale infelicità parlasse.

L’eco di tanta profondità intellettuale si era appena smorzata, quando Antonella Clerici, regina indiscussa di molte cucine italiane, è riuscita a riattivarla nel corso di un’intervista a Belve con Francesca Fagnani, sentenziando che «La tavola svela com'è un uomo a letto» e «Se ordina piatti magri sarà un macrobiotico anche sessualmente, uno spento che non va più in là della posizione del missionario». E ancora «Senza avere nulla contro, ma io con un vegano proprio no. Cosa te ne fai di un uomo che mangia l'insalatina? Che scarta il grasso dal prosciutto?»

Punto di vista maschile e punto di vista femminile che si incrociano e si sovrappongono, persino nell’uso di un identico linguaggio, Che ci si fa con una così? chiede lui. Cosa te ne fai di un uomo così? incalza lei : tanto da legittimare più di un sospetto  di una corrispondenza non casuale.  I drammatici interrogativi restano senza risposta,  ma certo non sono passati inosservati, grazie alla popolarità di cui entrambi godono, posizionati da decenni sui canali tv, l’uno snocciolando perle di sapienza su ogni comportamento umano, l’altra sorridendo ghiotta e sensuale davanti a qualsiasi cadavere animale in salsa succulenta, che lei pare non intravedere nemmeno, mimetizzato com’è tra intingoli e sughi vari.

Un gioco da ragazzi prendere  atto dello spessore culturale che induce a identificare macrobiotica e veganismo o a descrivere  un vegano come persona che mangia prosciutto dopo averlo ripulito del grasso (sic!). Bypassando queste chicche, entrambi i personaggi, nelle loro svagate  affermazioni, richiamano  all’antica credenza del binomio  cibo-sessualità, declinato in vulgata nazional popolare. «La tavola svela com'è un uomo a letto», insomma. Ma anche una donna.

Quindi,  gli alimenti avrebbero una forte connotazione sessuale: ci sono quelli da uomini forti e ci sono quelli da esseri leggiadri ed evanescenti. Gli stereotipi sono radicati  e la carne, soprattutto quella rossa, resta alimento icona dell’uomo macho, metafora di virilità: con il suo stesso aspetto, richiama l’uomo primitivo, quello che si procurava il cibo con la clava: quindi dal cavernicolo passando per il cacciatore moderno, anche lui invaso da un’attrazione fatale per le sue vittime insanguinate,  per arrivare all’uomo comune,  ad un modello virile a quanto pare ancora vivo e vegeto, di certo nella testa di Antonella Clerici: su uomini che mangiano insalatina (e prosciutto magro!) incomberebbe una sorta di castrazione metaforica, perchè  rinuncerebbero, insieme al consumo di carne, alla proprio identità virile.  Identità che, curiosamente, resiste invece all’invasione, nel mondo maschile, di profumi e deodoranti, gel e depilazioni. Ma tant’è: la coerenza latita nelle cose di questo mondo.

Il passo ulteriore compiuto dal  prof. Crepet è quello di avere esteso il disprezzo anche al veganismo femminile, a quelle  donne che, nel suo immaginario, si nutrono garbatamente di soia e affini, rafforzando  un’identità di genere fondata sulla debolezza. Quadro che però aborre perchè a quanto pare il dopo cena per risultare soddisfacente dovrebbe fornire ben altre performance: Con una così delicata che ci si fa, si chiede soffocando uno sbadiglio al solo pensiero. La risposta potrebbero forse suggerirgliela Venus e Serena Williams, entrambe vegane, l’una per motivi salutistici, l’altra per solidarietà. Sempre che impartire lezioni al prof. Crepet rientri nella loro disponibilità.

In risposta alle sue affermazioni, un vero esercito di uomini vegani, tra i più apprezzati per la loro muscolosa avvenenza, è stato invece sottoposto dai social all’attenzione di Antonella Clerici, nel tentativo di scalfire le sue convinzioni sul binomio macho-divoratore di cadaveri. Staremo a vedere.

Al di là delle preferenze sessuali dei due personaggi che non scompigliano la vita di nessuno, ciò che drammaticamente emerge dalle loro parole è l’incapacità di capire di cosa si  sta parlando quando l’argomento è il veganismo: non di performance in camera da letto, ma del rifiuto  dell’uso e abuso di animali nonumani, a cui viene negato ogni diritto alla vita, ridotti come sono a brandelli di cibo. Sono loro  i grandi assenti, invitati di pietra alle cene di cui si (stra)parla: si parla di cibo e non si parla di loro, che in quel cibo sono stati miseramente ridotti; neppure si sfiora la questione etica ad unico  vantaggio di  luoghi comuni, falsità scientifiche, autopromozioni come testimonial del carnismo.   

La vastità del pubblico di cui godono esigerebbe che persone come Crepet e Clerici facessero affermazioni veritiere, si informassero prima di parlare,  fossero consapevoli non delle presunte virtù afrodisiache dei cibi, ma dello scempio di tutti quegli animali che popolano anche il mondo dorato, in cui serenamente si muovono protetti dalla propria presunta e non credibile inconsapevolezza.

Di fatto le loro affermazioni si posizionano saldamente sulla difesa  dello status quo, che vede il veganismo come minaccia ad una filosofia di vita e, aiuto aiuto, all’attuale economia, difesa perseguita non con argomentazioni articolate, ma attraverso  la  svalutazione ridicolizzante di chi il cambiamento lo ritiene invece assolutamente fondamentale.  

Di loro due si è molto detto, ma è innegabile che  sono solo dei testimonial, punta di un iceberg, popolato da grandi detrattori del veganismo e dai media che fanno loro da megafono: già  una ricerca, pubblicata sul British Journal of Sociology (marzo 2011) , fotografava  l’attitudine della stampa a gettare discredito sull’aspetto alimentare di una nuova concezione del mondo, descritto come bizzarro, sostenuto da seguaci ascetici, capricciosi, sentimentali, estremisti, in preda ad una nuova mania. Ritratto fortemente screditante, che  gli autori, Matthew Cole e Karen Morgan, interpretavano correttamente alla luce della vegafobia, come sostegno allo specismo, quindi considerando il piano alimentare solo uno degli elementi fondanti dell’antispecismo. E spiegavano che il veganismo viene marginalizzato attraverso la cattiva rappresentazione che ne viene data; ridicolizzare è la strategia attuata, esattamente quella che, tanti anni dopo,  si ritrova ancora oggi nelle parole di molti.

Una domanda si impone: nella convinta difesa dello status quo, è più stigmatizzabile il ricorso alla ridicolizzazione  o l’uso sfrontato della menzogna?  Si, perchè ad un altro personaggio di grande potere, quale Francesco Lollobrigida, attuale ministro dell’agricoltura nonché cognato di Giorgia Meloni, si deve l’apodittica affermazione secondo cui “l’uomo è l’unico essere senziente: non ce ne sono altri”. Solo assenza di  quella competenza e cultura, che dovrebbero essere i requisiti minimi di un ministro della repubblica? O la spudorata falsificazione della realtà, concessa dalla sua posizione di  intoccabile?

Come che sia, pur a sua insaputa, gli animali nonumani sono invece stati definiti senzienti già nell’art. 13 del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione Europea (di cui l’Italia fa parte, sempre all’insaputa del ministro) : senzienti perchè  capaci di provare sensazioni quali il piacere e il dolore. La Dichiarazione di Cambridge (2012) è poi andata oltre asserendo  che tutti i mammiferi, gli uccelli, nonché invertebrati quali il polpo, sono altresì dotati di autoconsapevolezza; la firmarono autorevoli scienziati internazionali (ricercatori cognitivi, neurofarmacologi, neurofisiologi, neuroscienziati…) alla presenza di Stephen Hawking, matematico, fisico e cosmologo, fra i più importanti del mondo.

Non basta: è di questi giorni la Dichiarazione di New York sulla coscienza animale, già sottoscritta da 39 scienziati, che ribadisce gli stessi concetti e amplia gli studi, arrivando ad affermare che anche insetti, crostacei, pesci e altri animali non ancora sufficientemente studiati mostrano comportamenti cognitivi complessi e che c'è quindi "una possibilità realistica" che siano dotati di autoconsapevolezza e che tutto questo  giustifica una seria presa in considerazione del loro benessere.

 La scienza è neutra, non è suo compito dare giudizi morali, ma è fondamentale nel fornire dati ed informazioni che invece dovrebbero essere alla base di comportamenti etici. Il punto è proprio questo: l’inenarrabile dose di violenza che l’uomo riversa sugli animali nonumani è resa possibile dallo status che viene loro attribuito: in genere reificati, ridotti allo stato di cose, sempre svalutati, denigrati, diffamati. Niente di diverso da quello che succedeva con gli schiavi: per renderli oggetto di ogni possibile abuso, era necessaria la narrazione che li vedeva subumani, privi di anima (quasi l’esserne dotati fosse certezza per le persone libere), esseri indegni.

Le grandi ingiustizie, prevaricazioni, abusi sostenuti da razzismo e sessismo oggi a parole non sono più sostenibili, anche se lo sono nei fatti. Invece una diffusa ignoranza li autorizza ancora a danno degli animali nonumani, nonostante le continue scoperte scientifiche stiano buttando all’aria l’una dopo l’altra le narrazioni che le giustificano e che dovrebbero imporre una totale rivisitazione del nostro rapporto con loro, che non può prescindere dalla loro  senzienza: l’acclarata vulnerabilità al dolore deve imporre che dolore ad essi non possa essere inflitto.

Innegabile che molto di quanto è oggi decretato da scienziati di tutto il mondo è risaputo già da millenni da pensatori illuminati, divulgato oltre un secolo e mezzo fa da Charles Darwin, compreso e sostenuto da decenni da milioni di persone grazie a capacità di osservazione ed empatia. “I maiali nelle condizioni in cui sono allevati) sviluppano comportamenti nevrotici e possono letteralmente strapparsi via a morsi la coda l’un l’altro.  La loro reazione psicologica è uno dei sintomi della “sindrome da stress suino.…Come gli esseri umani  che hanno affrontato la tortura e l’isolamento in prigione, si automutilano e ripetono lo stesso comportamento migliaia di volte al giorno;  sono veramente indotti alla follia”: lo scriveva nel 2010 Melanie Joy, chiedendosi perchè amiamo i cani e mangiamo i maiali, aggiungendo le sue osservazioni a quelle sempre più frequenti non solo degli i studiosi, ma anche di inorriditi lavoratori dei macelli.

La strada scelta dal ministro Lollobrigida è semplicemente quella di fare affermazioni sfacciatamente false, sfidando serenamente la scienza, che subordina al potere della politica: perchè negando che gli animali nonumani provino dolore, può continuare a sdoganare i più crudeli comportamenti nei loro confronti: dalla caccia sempre più libera in omaggio alle potenti lobby che sostengono il suo governo,  all’appoggio all’eliminazione di orsi e lupi, dal sostegno agli attuali osceni trasporti di animali condotti al macello alla fiera opposizione alla carne coltivata, che salverebbe miliardi di animali.

In conclusione, una cosa che i regimi autoritari sanno bene è che  per sostenere un’idea è necessario mandare messaggi uniformati e coerenti da ogni postazione: leggi, educazione, pubblicità, mass media, interviste…, punendo pesantemente ogni dissenso. I regimi democratici sono estremamente più soft: non servono prigioni né ospedali psichiatrici, perchè bastano i messaggi sparsi dovunque, anche sotto forma di esternazioni spiritose e fintoprovocatorie o di  pensose riflessioni buttate là in una qualunque kermesse di partito.

Il potere, quello politico come quello mediatico, rispetto alla questione animale è ancora alla fase della falsificazione e della ridicolizzazione, indifferente alle proprie smisurate responsabilità nel sostenere il quotidiano tormento di milioni di esseri, esseri che il dolore lo soffrono in ogni cellula del proprio corpo. La speranza è che i mostri generati dal sonno della ragione diventino incubi e portino al necessario improrogabile risveglio.

 

 

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