La mattanza degli agnelli non
potrebbe neppure essere immaginata nella sua raccapricciante violenza, se non ci
fossero i filmati visibili in rete e alcune inchieste televisive a
sbarrare la strada ad alibi costruiti
sull’ “io non immaginavo proprio”.
Nella mattanza è davvero arduo rintracciare richiami alla vittima “sacrificale”: qualunque elemento “sacro” è irreperibile, indeclinabile nel terrore degli agnelli davanti a quei laghi di sangue, incapaci di rivolta, che si orinano addosso per la paura, forse increduli: tutto questo non può essere vero, perché non può esistere nessun Dio così sanguinario da sentirsi appagato dalla carneficina consumata sulla loro carne. Convinzione ingenua, che non tiene conto delle capacità umane di elaborare spiegazioni per ogni nefandezza e di giustificare ogni ignominia, dotando di senso l’irragionevole. E’ all’uomo sapiente che è riuscita la barbara invenzione della vittima sacrificale, del capro espiatorio, innocente e debole, da investire con la mission incredibile di togliere i peccati dal mondo, quelli da lui stesso compiuti.
Nella mattanza è davvero arduo rintracciare richiami alla vittima “sacrificale”: qualunque elemento “sacro” è irreperibile, indeclinabile nel terrore degli agnelli davanti a quei laghi di sangue, incapaci di rivolta, che si orinano addosso per la paura, forse increduli: tutto questo non può essere vero, perché non può esistere nessun Dio così sanguinario da sentirsi appagato dalla carneficina consumata sulla loro carne. Convinzione ingenua, che non tiene conto delle capacità umane di elaborare spiegazioni per ogni nefandezza e di giustificare ogni ignominia, dotando di senso l’irragionevole. E’ all’uomo sapiente che è riuscita la barbara invenzione della vittima sacrificale, del capro espiatorio, innocente e debole, da investire con la mission incredibile di togliere i peccati dal mondo, quelli da lui stesso compiuti.
Bene argomenta Andrèe Girard con
le sue analisi, illuminanti nel
ricercare il bandolo della matassa in alcune delle tante forme di violenza così
virulenta nella specie umana. Specie umana in cui l’aggressività, lo sappiamo
bene, raggiunge livelli talmente stratosferici da porci costantemente sul
baratro dell’autodistruzione. Proprio per arginare il rischio, lui spiega, nel
corso della storia l’aggressività, nostra
fondamentale dotazione, è stata incanalata
simbolicamente su qualcuno “altro da noi”, un capro espiatorio, che ne
assorbisse una fetta importante. Nella necessità di mettersi al riparo da possibili
pegni da pagare, vendette o ritorsioni, è
stato da subito chiaro quanto fosse fondamentale scegliere la vittima tra chi
fosse debole, senza diritti, privo di tutele, non minaccioso, impossibilitato a
generare sentimenti feriti forieri di successive vendette: ottimi gli orfani o gli schiavi, per
intenderci. Ma col tempo il meccanismo
si è perfezionato: perché non gli animali non umani, che possono essere
totalmente assoggettati, che occupano amplissime zone neppure lambite da diritti,
rispetto, giustizia? A loro si può bene affidare il compito di espiare gli
errori e le nefandezze nostre, di pagare le colpe al posto dei colpevoli:
l’aggressività viene distolta dal consesso umano ed attirata altrove, con l’attenzione
rivolta a mettersi comunque al riparo da qualsiasi conseguenza scansando, tra
loro, quelli che sono forti e pericolosi:
meglio lasciar perdere leoni o tigri e rivolgersi ad altri più gentili, innocui,
inoffensivi: insomma, quelle vittime ideali,
di cui l’agnello, senza colpa e senza forza, è l’esempio più fulgido.
In ogni caso, alla fugace
apparizione sulla terra di centinaia di migliaia di agnelli, per restare alle
cifre italiane, non verrà posta orrenda fine solo in nome di tradizioni e credenze:
altri laicissimi riti nascono e muoiono a tavola, senza sublimazioni di senso,
in esclusivo omaggio a piaceri di palato e pancia, con consumi che registrano
impennate nel periodo pasquale, ma comunque non hanno tregua nel corso di tutto
l’anno. Qualcosa però comincia a smuovere dal profondo un bel po’ di coscienze,
come dimostrano le stragi che, per quanto inaccettabilmente diffuse, negli
ultimi anni hanno visto i numeri decrescere significativamente, da dimezzarsi, pare, negli ultimi anni. Si parla sempre di centinaia di migliaia di agnelli sgozzati, cifre che ci devono riempire di vergogna e non consentono
sollievo, ma un fenomeno è innegabile: le “scriteriate campagne animaliste”, come
gli allevatori definiscono rabbiosamente gli appelli a porre fine alla mattanza,
possono contare su un meccanismo che vale la pena mettere a fuoco. Per fare del
male a un altro, umano o non umano che sia, c’è bisogno di poter sostenere che quel male lui se lo
merita: il nemico di ogni guerra, per facilitare il compito di andare a
sterminarlo, prima viene sempre descritto come colpevole, malvagio, pericoloso
in modo da sollecitare contro di lui l’odio necessario, spesso connotandolo con
epiteti animali ritenuti svilenti: topi di fogna, cani rognosi, scarafaggi,
figli di cagna sono chiamati quelli da andare a massacrare, nella certezza che
l’identificazione con animali dipinti come tanto repellenti sarà utile a rappresentarli
come degni del destino che a quegli animali appunto è sempre riservato. Anche
in delitti più casalinghi, ideati in proprio, la vittima viene costantemente
insultata e vituperata nel momento stesso in cui viene percossa, ferita, uccisa:
si insultano le donne nel momento dello stupro, i senza dimora quando vengono
brutalizzati, l’appartenente al clan avversario quando punito. E’ il modo che
abbiamo per convincere noi stessi che siamo nel giusto e stiamo compiendo non
un atto vile, ma un’azione encomiabile, è un “sto facendo la cosa giusta” tutto
a nostro vantaggio. Il meccanismo viene applicato in forma per così dire
istituzionalizzata nei confronti di tutti gli animali che quotidianamente
assoggettiamo alle più brutali pratiche: dobbiamo dire e dirci che i maiali
sono sporchi, brutti, ricettacoli delle peggio inclinazioni per diffamarli al
punto da trasformare quasi in atto meritorio, di pulizia, giustificato e
condivisibile, il nostro ingabbiarli e scannarli; offriamo una pessima rappresentazione
dei polli, costantemente denigrati nel nostro linguaggio; la narrazione della
vita dei pesci li deindividualizza, li riduce a peso, neppure a singole entità:
solo per iniziare un elenco in realtà infinito. Questa operazione
auotassolutoria risulta francamente complicata con gli agnelli: loro non sono
sporchi, ma bianchi come il latte; non sono aggressivi, ma totalmente indifesi;
non risulta neppure siano stupidi: davanti a loro ci inteneriamo, ci
commuoviamo al loro essere indifesi, vorremmo abbracciarli e coccolarli.
Un bel problema per allevatori e industria,
che qualche difficoltà cominciano a incontrarla nel contrastare i dilaganti
manifesti pubblicitari in cui un agnellino belante, occhi nei nostri occhi, sembra
implorare di non fargli del male. Cosa opporre alla supplica accorata? Le leggi
dell’economia e del mercato, i potenziali passivi delle aziende? Argomentazioni
francamente un po’ povere per ritagliarsi uno spazio nel miscuglio di sensi di
colpa e intenerimenti che dilagano dentro di noi.
Non è un caso che la pubblicità, che dai media
cartacei e dalla televisione, ci sollecita quotidianamente, con sprezzo ed
allegria, a nutrirci di cadaveri di maiali, polli, tonni, si astenga
prudentemente dal fare altrettanto con gli agnelli: molto meglio glissare,
evitare una pericolosa esposizione della “materia”; e non si insiste tanto nemmeno
perchè questa “carne tutta italiana” venga introdotta nelle mense scolastiche, da cui a tutt’oggi pare in genere
esclusa.
In conclusione, un esercito di
vite appena nate sta per l’ennesima volta per essere immolato sull’altare dei
nostri credi e più prosaicamenti dei nostri appetiti, come succede ogni giorno con tutte le altre specie non umane, egualmente sfruttate e
martirizzate.
E' improcrastinabile un cambio di paradigma che riconosca come inaccettabile questa come ogni altra violenza esercitata contro esseri innocenti e indifesi: allo stato delle cose, mentre i poteri forti pervicacemente rifiutano i cambiamenti necessari, è del tutto chiaro, con le parole di Danilo Mainardi, che “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi”: non verità belle da enunciare, ma chiave di lettura quanto mai attuale di ciò che sta invadendo le nostre vite.
E' improcrastinabile un cambio di paradigma che riconosca come inaccettabile questa come ogni altra violenza esercitata contro esseri innocenti e indifesi: allo stato delle cose, mentre i poteri forti pervicacemente rifiutano i cambiamenti necessari, è del tutto chiaro, con le parole di Danilo Mainardi, che “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi”: non verità belle da enunciare, ma chiave di lettura quanto mai attuale di ciò che sta invadendo le nostre vite.
pietromelis.blogspot.com
RispondiEliminaCaro Roberto, non ci sono parole di fronte all'aberrazione umana. Non possiamo che continuare a fare di tutto per cambiare le cose, continuando ad argomentare quello che dovrebbe essere così chiaro a chiunque.Cercando di non perdere goni speranza, nonostante ogni tanto la tentazione sia forte...Un abbraccio
RispondiEliminaOgni anno torna la pasqua, così come tutte le varie occasioni di festeggiamento. Le brutture umane, mi hanno fatto dimenticare gli allegri e felici giorni di festa di quando ero bambino e ragazzino.....Mi chiedo ora che ho fatto la connessione, "... come potevo allora essere felice.....?"
RispondiEliminaLo ero perché inconsapevole di tutto il male che causavano le mie scelte.
Non avere un passato da ricordare con piacere è il giusto prezzo che pago per le colpe del mio genere.
Possiamo tormentarci finchè vogliamo, ma c'è un pezzo della nostra vita in cui non potevamo avere le consapevolezze che abbiamo sviluppato nel tempo. Non potevamo che adeguarci alla realtà intorno, prima di riuscire a decodificarla. L'impegn di oggi paga anche le colpe del passato, io penso. Un abbraccio
RispondiElimina