Angelo
è il nome dato al cane di Sangineto, provincia di Cosenza, massacrato per gioco
da quattro balordi, anzi no, molto peggio: da quattro ragazzi normali. Nome, quello di
Angelo, che riporta ad una contaminazione distrattamente trascurata: quella di un
essere umano che è però dotato di parti squisitamente animali, le ali, che,
lungi dallo sminuirlo, gli attribuiscono un’essenza soprannaturale, che va
oltre l’umano per collegarsi direttamente con il trascendente. Essere che
racchiude in sé in modo ben visibile quella animalità, che siamo portati a
dimenticare, a disconoscere e a misconoscere: e il cane Angelo, che
scodinzolava a quelli che lo bastonavano e non reagiva mentre lo stavano
ammazzando a badilate, ma li guardava, indifeso e mite fino all’ultimo respiro,
davvero sembra testimoniare di un’essenza tanto più grande della nostra,
incomprensibile a chi si limita a ragionare sul registro di azioni e speculari reazioni:
azioni che, quando sono violente, generano reazioni che lo sono altrettanto.
La
storia di Angelo ha riempito le cronache recenti, sollevando enorme
indignazione, ma sfortunatamente è solo la punta dell’iceberg di una situazione
molto diffusa: Angelo è assurto alla ribalta di una cronaca nero pece soprattutto
perché della sua tortura si sono vantati i responsabili, che l’hanno filmata
e messa in rete, in quel moderno
ricettacolo cioè, che è una sorta di cloaca massima in cui tutto confluisce,
senza filtri, alla ricerca di una visibilità che amplifichi le proprie “gesta”,
e lusinghi di una popolarità perseguita con ogni mezzo. Nel caso diffuso in cui
non si abbia altro di cui vantarsi, ci si vanta della propria pochezza,
scambiandola per audacia: purchè gli altri guardandoci ci illudano che meritiamo attenzione:
e si arriva a mettere in scena un film
dell’orrore, ridendo e sghignazzando.