PAGINE

sabato 22 ottobre 2016

PRODOTTI ANIMALI NELLA PUBBLICITA’? SE LI RICONOSCI, MAGARI LI EVITI


   Ogni adulto, che sia in grado di pensare, che non sia  sottoposto a costrizioni, e che abbia libero accesso ai mezzi di informazione è di fatto responsabile delle proprie azioni. Anche l’essere o non essere vegani, quindi, non è categoria dell’essere, ma scelta libera e consapevole, somma di comportamenti che dovremmo controllare. Dovremmo, per l’appunto, ma troppo spesso non lo facciamo: perchè non fluttuiamo in uno spazio vuoto in assenza di gravità, ma siamo impastati nella cultura che ci plasma, ci intride e ci condiziona, attraverso meccanismi a cui tendiamo troppo spesso a  soggiacere passivamente, senza riconoscerli, lasciandoci cullare nell’inerzia dell’irresponsabilità. Cultura che tendiamo a scambiare per assoluto, ogni volta che siamo incapaci di coglierne la relatività.
Affiancare al termine cultura quello di  pubblicità può sembrare un azzardo, un ossimoro, ma,  al netto di snobismi, la sua influenza, forte di una presenza pervasiva e ossessiva, è enorme nel  modellare i costumi di quelli che ne sono gli utenti, cioè inevitabilmente tutti noi,  talvolta fruitori attenti e convinti, molto più spesso ascoltatori distratti, ma anche in questo caso inconsapevolmente permeabili ai messaggi.
Uno sguardo ai meccanismi di cui si serve è illuminante, fonte di molti elementi di riflessione e comprensione.  Prima di tutto,  un click sul telecomando ad una qualsiasi ora serale:  entriamo senza sforzo in medias res, davanti ad  una successione interminabile di input a mangiare animali, che però non sono riconoscibili come tali, ma trasformati in cose, prodotti di consumo e niente più.
A ruota libera:
Ti parlerò d’amore e sfoglierò una rosa : credere o meno, è da un grammofono del 1944, a voce della cosiddetta divina Wanda Osiris, che arriva la sollecitazione a consumare mortadella dal Consorzio di Bologna. Per  la cronaca, i versi successivi specificano sulla tua bocca ansiosa che non conosco ancor
Il primo amore non si scorda mai:   ricordi in agrodolce delle prime passioni giovanili, palpiti e carezze entrati nelle nostre memorie inossidabili ? No: trattasi invece di prosciutto cotto.
Quel prosciutto che, in altro spot,  un ragazzino in improbabile estasi gastronomica gusta arrotolato su un grissino, sotto lo sguardo paterno dell’affettatore, a cui è lui a ricordare in tono di affettuoso rimprovero che….Ma  papà! è Granbiscotto. Si, perché tutto sommato è molto meglio ribattezzare e dolcificare quegli enormi pezzi animali che pendono dal soffitto di una stanza adibita ad hoc: e un  biscotto può fare al caso. Il padre con tono rapito,  degno di un’ ode del Petrarca, fa sapere al  suo pargolo in età evolutiva che il  gusto è morbido e leggero: il tutto per conto  della Rovagnati.
Il tono si può fare ancora molto più leggero ed entrare nel registro della commedia all’italiana se si ingaggia uno come Christian De Sica che fa il tombeur de femmes dietro il suo bancone di prosciutti al ritmo di oh c’est si bon! Amstrong, ….tanto per non farci mancare nulla.
Nella sua estrema versatilità lo stesso De Sica (che nostalgia di Vittorio!) può facilmente convertirsi da testimonial della carne di maiale a quella bovina e riempire di scatolette l’interno del suo impermeabile, che apre dopo scarsa resistenza, portato via da due tutori dell’ordine: siamo tutti maniaci…della Simmenthal  dice nella sua veste di felice squilibrato in uno spot che più unconventional non si può, a favore di un brand che di tutto si può accusare tranne che di non avere uno spirito gioioso e informale.
L’approccio può mutare: ed essere democraticamente onnicomprensivo, inglobando senza tante sottigliezze qualsivoglia “prodotto”: è allora una coppia di mezza età  (per inciso talmente poco attraente da sollecitare la domanda su che presa possa mai avere, su chi siano quelli disposti ad una identificazione tanto malinconica) evidentemente rappresentativa del consumatore  medio, ad ammiccare a favore della Conad e di tutti i suoi alimenti con zoomate su brandelli di animale di qualsivoglia specie. Purchè italiane, beninteso, perché è questo quello che conta. Il commentatore, mentre con tono ispirato ricorda in  sottofondo che ci sono  persone oltre le cose (e in quest’ultima  categoria ha appena immesso le  cosce di bovino adulto) mostra sintomi di preoccupante confusione nel non riconoscere che,  oltre alle  persone, non ci sono solo cose, ma purtroppo anche  animali, quelli che lì, nel ruolo di vittime, sono costretti ad esserci grazie alla Conad e a tutti gli altri. Che neppure li vedono. Pubblicità speculare a quella cartacea de Il Gigante, che, quando ci sono Feste, quelle con la F maiuscola, propone bontà che, a fronte di un ananas, glorificano Coniglio disossato, l’Orata di Portovenere, il Cappone anche lui disossato, il Salmone preaffettato: 4 a 1, ma talvolta va persino peggio e il confronto tra esseri senzienti e non, può terminare con un sonoro cappotto.
C’è poi il tonno: e ancora una volta il tono diventa elegiaco e parla di qualità e…. tenersi  forti, rispetto !!!!! Presente la pesca del tonno????? E’ Asomar a  rassicurare  che i suoi sono solo tonni adulti perché l’azienda è, tenersi  forte un’altra volta, Friend of the Sea: In quanto tale, si sente autorizzata a sfidare sul piano dell’etica i suoi concorrenti, Nostromo & c, che si limitano a gioiosi tributi alla tenerezza, tra nonni bonari  e nipotini spensierati.  Altri tonni in altri spot sono salutati con un dispiacere che vorrebbe essere divertente perché sono sempre i migliori che se ne vanno.
Ancora: ecco la mamma che, proprio perché la mamma è sempre la mamma, non fa mai mancare la Simmenthal al suo pargolo riconoscente ; ed ecco quell’altra mamma  che non può mancare se c’è Aia perché Se c’è Aia c’è gioia, e se c’è mamma c’è bonbon Aia. Mamma, gioia e Aia: una nuova trinità, in verità  un po’ laica,  ma del resto non si può avere tutto.
Si può continuare con le  infinite famiglie felici che, grazie ad un pollo arrosto, un hamburger o delle cotolette in centro tavola, trovano il collante di valori di cui si era perso persino il ricordo: miracoli del galletto e del maialino.
Insomma, e in sintesi, la pubblicità di prodotti animali la fa da padrona negli spazi commerciali e, conseguentemente, nei nostri spazi mentali, che va ad invadere. E mentre sollecita a comprare e a consumare, attua un formidabile meccanismo di negazione della realtà: una realtà, quella degli allevamenti intensivi, dei mattatoi, della pesca, delle tonnare, che è di una violenza talmente estrema che non potrebbe neppure  essere immaginata se non fossero inchieste, documenti, filmati a mettercela davanti agli occhi in tutta la sua drammatica evidenza. Non è inutile rimarcare che questa realtà non viene minimizzata o  edulcorata o  giustificata: viene invece cancellata, negata, come se non esistesse. E’ il meccanismo difensivo che entra in gioco in situazioni estreme: si potevano forse minimizzare i campi di concentramento? L’unica via se non si vuole essere travolti dalle responsabilità è allora la negazione, meccanismo perverso  in cui, come dice Umberto Galimberti, risiede la prima radice,  la più profonda, dell’immoralità collettiva.” Perché induce ad ignorare le grandi ingiustizie ed impedisce la reazione che potrebbe avere luogo se venissero riconosciute. Ecco: nella pubblicità il meccanismo della negazione è totale: sono completamente negati gli animali dal cui sfruttamento e uccisione provengono tutti i prodotti reclamizzati: semplicemente viene negata la loro stessa esistenza a vantaggio della “cosa” alimentare in cui sono stati trasformati.
Non bastasse, si può sempre fare di più e ricorrere alla formazione reattiva, vale a dire mettersi al riparo da possibili contraccolpi emotivi, dovesse fuoriuscire qualche brandello di verità,   trasformando la realtà e facendola corrispondere, appunto reattivamente, al suo contrario:  laddove sangue, sofferenza, crudeltà, terrore, grida sono esplosive, il mondo viene ossessivamente descritto con   riferimenti a  gioia, tenerezza, rispetto, bontà, morbidezza. Meglio lasciare l’Ombra, il male, ben nascosto nel profondo, e abbagliare con fasci di luce la superficie.
Non sono certo un caso neppure l’uso e l’abuso dei bambini: siccome è sempre  meglio cominciare da piccoli,  bambini e bambine di ogni età ringraziano mamme dolci e sorridenti per avere loro messo nel piatto pasticci di carne, cosa per cui si sentono indistintamente, ma poderosamente in dovere di  filiale riconoscenza.
L’operazione pubblicitaria che coinvolge i destinatari più giovani si gioca sulla consapevolezza che il cibo contiene istanze simboliche di potente pregnanza, che trasmettono   messaggi suggestivi associando il cibo al mondo degli affetti: ne consegue che, a livello inconscio e profondo, andranno determinandosi sovrapposizioni e identificazioni tra le relazioni familiari più importanti e il cibo animale, operazione facilitata dal fatto che il cibo contiene in sé valenze profonde, perché va a solleticare  le prime relazioni familiari, il latte materno, la nutrizione come prendersi cura: è quindi depositario di forti  valenze simboliche.  
Dal  punto di vista  etico e del benessere psicologico, si tratta di un’operazione tanto furba quanto disonesta: va a innescare un meccanismo di  scissione tra due realtà che sono destinate a mantenersi  estranee l’una all’altra: il bambino continuerà a sorridere ai porcellini e a mangiarli, una volta sgozzati, senza avvertire  l’incongruenza. I genitori prima lo guarderanno con compiacimento  intenerirsi  giocoso e dopo gli serviranno in tavola il prosciutto, la carne, il tonno. Per quanto riguarda loro, la scissione ha avuto inizio da tempo immemorabile ed è ora perfettamente funzionante: non resta che favorirla  a vantaggio delle future generazioni.
Per inciso  la scissione è un meccanismo di difesa  psicologicamente grave, primitivo; è quello che consente di non integrare le caratteristiche dell’altro in immagini coese, e di assolutizzare  ora l’uno ora l’altro degli aspetti che vengono in contatto con la propria esperienza immediata e con le relative emozioni: così mi piace tanto il porcellino rosa , con quella sua aria tenera e ingenua, e lo mangio con grande gusto una volta scannato. “Ma cosa c’entra?!”  è in genere la risposta indispettita e  di certo non articolata,  che viene fornita a chi, basito, chiede come sia possibile una tale dissociata incongruenza.
Dissociazione che pare essere la cifra del mondo adulto rispetto all’infanzia: da una parte si commuove, si intenerisce e si diverte nel prendere atto dell’atteggiamento affettuoso e solidale dei bambini verso le bestie, e, senza soluzione di continuità,  li educa ad abitudini che  ripercorrono  e cronicizzano il quotidiano asservimento e sfruttamento perpetrato a loro danno.
La manipolazione della  suggestionabilità dei bambini è operazione fin troppo facile: essendo la loro facoltà di giudizio personale ancora tutta da costruire, essi  danno progressivamente forma alla realtà attraverso i messaggi che gli adulti mandano e la colorazione emotiva che  vi attribuiscono: una cosa è buona se è presentata come tale.  Quindi se i grandi  offrono cadaveri e sorridono, si vede che è giusto così. E non si tratta solo di dare il carattere di postulato al senso di un comportamento indecifrabile nella sua illogicità: succede di più, in quanto la sovrapposizione tra quel cibo e l’atmosfera familiare impedirà di tracciare confini : quelle sensazioni i bambini se le porteranno con sé diventando adulti e quegli stessi alimenti avranno il potere di evocare fondamentali relazioni affettive associate al suo consumo.
Insomma, come dice il poeta  Kiarostami, i bambini non sono bachi da seta che diventeranno farfalle: succede ahimè il contrario. O più prosasticamente, secondo altri, gli adulti non sono che bambini andati a male.
In sintesi quella che viene consumata a livello pubblicitario è un’operazione tanto subdola quanto  efficace: essa ha origine dalla ovvia consapevolezza che  davanti agli spettacoli insanguinati  e raccapriccianti che sottendono ogni  zampone, salsiccia o asettica scatoletta di carne almeno una fetta degli abituali consumatori finirebbe per astenersi dal mangiarne, se non per principi etici, almeno perché l’inevitabile automatico richiamo alla mente di tale realtà, una volta che le due immagini fossero associate,  per qualcuno risulterebbe insopportabile.
La pubblicità insomma offre i vestiti al Re: il grande inganno è sotto gli occhi di tutti, che vivono sereni perché vivere di allucinazioni fa tanto comodo. C’è chi però il Re lo sa vedere nudo, e non serve essere sciamani e mistici per alzare il velo: solo un po’ procacciaguai, come possiamo, forse vogliamo, di certo dobbiamo essere.

1 commento:

  1. Cara Annamaria...purtroppo i bambini sono sempre più presenti nella pubblicità rappresentando un modello da perseguire e i genitori, seguendo questo atteggiamento fuorviante, inducono insegnamenti spesso errati. Ma come pensare che la televisione insegni qualcosa? Uno strumento abile ed astuto utilizzato dai brand per costruire induzioni commerciali e tu, con la tua profonda analisi, lo hai spiegato perfettamente: "PRODOTTI ANIMALI NELLA PUBBLICITA’? SE LI RICONOSCI, MAGARI LI EVITI."
    Infatti è così...se il cibo d'origine animale viene considerato prodotto commerciale (ovvero "cose") come diffondere empatia verso altre specie?

    RispondiElimina