“Cinturini” li chiamano i
lavoratori e i dirigenti che si occupano dell’uccisione dei coccodrilli: “cinturini”
perché in loro è questo che vedono, il prodotto della loro trasformazione in
oggetti di consumo, tanto pregiati quanto inutili. Niente di nuovo sotto il
sole: agli animali, quale che sia la specie di appartenenza, viene negata la
natura di esseri viventi, senzienti, sofferenti, belli e speciali come ogni
animale è. Il processo di reificazione comincia subito, molto prima che siano
uccisi perché è proprio questo il modo per procedere con noncuranza alla loro
eliminazione: non bisogna vedere quello
che sono, ma quello che, grazie a noi, diventeranno. Il linguaggio non è certo
neutro né casuale, che anzi dà forma al
pensiero: loro sono borse, cinture, scarpe, valigie per umani ingordi di lusso
e mai sazi: ma parlare di “cinturini” fa di più, perché è termine funzionale al
processo di offesa e denigrazione;
grandi e forti quali sono, minacciosi persino, originali nell’aspetto così
peculiare, non solo vengono ridotti e mistificati in oggetto, ma l’oggetto deve
essere piccolo, irrisorio, antitesi alla loro imponenza.
Per la descrizione dettagliata
del processo di trasformazione in tali articoli, si rimanda ad altra sede: qui
basta ricordare, tra gli strumenti in uso, le pistole pneumatiche a bulloni a perforare
la corazza squamosa, i taglierini, le aste di metallo ad attraversare le
vertebre per raggiungere il cervello: ma tanto altro ancora. Tutto ciò quando
ancora sono cuccioli, stipati in luride vasche, che ci si trovi nel centro
dell’Africa nera, Zimbawe in testa, in una geografia in genere sconosciuta che
impariamo a conoscere ogni qualvolta se ne presenti un tornaconto, o nelle
assolate pianure texane della civilissima America. Ogni continente è paese
quando si tratta di infierire su altre specie, snaturarle, schiavizzarle,
trucidarle e goderne i vantaggi.
Il fatto nuovo, che ci raggiunge
grazie all’EXPO di Milano, grande evento sull’alimentazione sostenibile (e mai
espressione fu più estranea alla realtà), è la proposta dei coccodrilli quale cibo anche per noi, italiani ed europei
che ad oggi ce ne siamo in genere astenuti non certo per rispetto, che siamo
bravi a bypassarlo se solo c’è qualche vantaggio in vista, ma per distrazione,
per dimenticanza, per lontananza dai luoghi della loro “produzione”. La vetrina
internazionale sull’alimentazione, quella sostenibile appunto, arriva in
soccorso ed educa a mangiare ogni forma
di vita animale, tanto meglio se insolita, e va a supplire a quelle stupide omissioni che ad
oggi ci hanno tenuto lontano da tanto ben di Dio, ricco di omega 3, 6, 9 e
proteine a non finire, come si affrettano a spiegarci. E allora ecco una
tonnellata di filetto di alligatore ( “crocoburger” è il simpatico nome con cui
già lo chiamano i novelli estimatori) divorata in 24 ore, per la gioia del
console africano e dei ristoratori italiani, già eccitati dal business inaspettato che vedono prendere
forma davanti ai loro occhi.
Ce ne è a sufficienza per
soffocare nel disgusto, ma siccome si può sempre fare di meglio, non facciamoci
mancare niente: e pensiamo ai bambini: i quali, si sa, sono attratti dagli
animali, da tutti, ma da qualcuno un po’ di più. E il coccodrillo, che si arrabbia ma non strilla, sorseggia
camomilla, si dice mangi troppo, non metta mai il cappotto, e pianga spesso
le sue famose lacrime poco credibili, è fatto apposta per attrarre l’attenzione
infantile e nutrire la fantasia, così lungo e sinuoso come è, corazzato, maestoso,
silenzioso e strisciante. E allora ecco un grande coloratissimo pupazzo di
peluches nello stand dello Zimbabwe tutto dedicato a loro: che ne sono
ovviamente attratti e, ci possiamo scommettere, sollecitati da genitori sorridenti e condiscendenti ad
avvicinarsi a lui, a toccarlo, magari a parlargli come si fa con un amico già
conosciuto da lontano. La grande
mistificazione è in atto: il pupazzo tiene
tra le zampe forchetta e coltello e al collo un tovagliolo: insomma non
vi è traccia in lui della vittima sofferta e oltraggiata, perché invece è lui,
nella rappresentazione, a sedersi a tavola e mangiare con robusto appetito: che
cosa, o chi, mangi non è dato sapere. La realtà è negata e trasformata nel suo
contrario: operazione necessaria, perché la rappresentazione veritiera sarebbe
orrenda e spaventosa per qualsiasi bambino, oltre che per qualsiasi adulto che
conservasse traccia di empatia. Mai Jung ebbe più ragione con la sua teoria
dell’Ombra, tanto più profonda e oscura laddove il fascio di luce è più forte. Così,
in un’atmosfera colorata e festosa, insieme ad adulti responsabili delle
proprie azioni, saranno tanti i bambini a mangiare, senza rendersene conto, qualche
pezzo di un loro beniamino, uno di quelli che avevano guardato salire in coppia
sull’Arca di Noè, insieme a tanti altri: e salvarsi dal diluvio. Giusto per
entrare nei panini dell’EXPO di Milano.
Mangiare carne di coccodrillo non
è più osceno che mangiare quella di vitello o di maiale: a risultare
intollerabile è però l’amplificazione del raggio d’azione ad includere specie
che, nel nostro immaginario, non sono mai state cibo. E’ in atto un’operazione
mastodontica, aggressiva e sfacciatamente insolente, che celebra
l’antropocentrismo al di là e al di sopra dei pur timidi limiti proposti dalle
diverse culture, ognuna delle quali per tradizione, abitudine, convinzione
salvaguarda almeno alcune delle specie viventi. Intollerabile è che ciò abbia
luogo sotto l’egida di una manifestazione che parla di alimentazione sostenibile
e che, neppure per un attimo fuggevole, è in grado di distinguere ciò che è
cibo da quelli che sono gli esseri senzienti da cui è ottenuto. Intollerabile è
che, ancora una volta, anche il mondo dell’infanzia sia il terreno su cui si
gioca il gioco sporco dell’imbroglio, quell’imbroglio tutto teso a nascondere
l’orrore “annidato” dice Anna Maria Ortese “nel vivere universale” per cui “si
spiegano cose eccelse quando si spiega la propria forza su esseri inermi”: ma
in fondo le uniche cose eccelse ad altezza di EXPO sono proteine e omega 3.
Questo articolo dovrebbe essere letto da chi ha a cuore l'educazione dei piccoli e futuri cittadini ma anche da chi per vocazione è solito ricordare "lasciate che i bambini vengano a me" e che in questa occasione non solo non aprono bocca ma accolgono in silenzio il dispregio della vita umana (dei bambini) e non umana (dei coccodrilli), entrambi le specie "creati da dio", quel dio che, se dovesse esistere, lo rappresentano troppo indegnamente su questa terra.
RispondiEliminaCome darti torto Gianluca? Ognuno ha le sue responsabilità: chi detiene poteri forti ha responsbilità conseguenti. Chi predica la nonviolenza non può permettersi di essere violento, se vuole essere credibile. Se poi non si riconosce la violenza sugli animali, vuole dire che di strada da fare ce ne è davvero tanta.
RispondiEliminaE' vero che mangiare carne di coccodrillo non è più osceno che mangiare carne di qualsiasi altro animale. E' un ragionamento che va fatto anche per la carne di cane quando ci scandalizziamo per il consumo di carne di cane in certi paesi del mondo. Tuttavia, vedere il coccodrillo infilzato, arrostito, cotto e superfotografato nello stand dello Zimbawe mi fa letteralmente piangere. Sarà che non sono abituata a vederlo. E' vero che pure io che non ho mai mangiato animali ho fatto "l'abitudine" a vedere suini, bovini, polli... a pezzi sulla tavola e considero dura la battaglia da fare per evitare questi orrorri. Vedere introdurre con grande successo il consumo di carne di coccodrillo in Italia a una manifestazione mondiale è un enorme passo indietro. Il coccodrillo di peluche è il solito disastro pedagogico, qui ingigantito, che si vive in ogni casa: maialino di peluche nel letto, maiale morto nel piatto. I bambini e le bambine subiscono un vero maltrattamento ma pare che sia tutto regolare.
RispondiEliminaSi, il problema è la novità: ai cadaveri infilzati dei coccodrilli non siamo abituati. Ci pensa ora EXPO ad insegnarci a non inorridire. E' uno scandalo assoluto, una vergogna.
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