Sono molti i giornali dello scorso 20 aprile che hanno riportato con evidenza e a
titoli pressochè unificati, la condanna a 4 mesi di una gentile signora, 40 anni e tre
figli, che, nuda e in tacchi a spillo, uccideva pulcini, conigli e altri
piccoli animali. E poi metteva il tutto in rete. E così
il caleidoscopio della smisurata varietà di situazioni ideate dalla mente umana
è a disposizione di chiunque ne condivida il piacere perverso e di chi, bypassando la ripugnanza istintiva, prova
nonostante tutto a cercare il bandolo della matassa. Se ci si inoltra nei meandri dei contesti in
cui tutto ha luogo, risulta ahimè chiaro non trattarsi di un comportamento
eccezionale come si vorrebbe, ma collegato a
situazioni che gravitano intorno ad una forma tanto particolare di
piacere sessuale da avere bisogno della tortura e uccisione di animali, così diffuso da poter contare su un’espressione che lo designa, crush fetish o, se si vuole,
feticismo da schiacciamento.
E’
una moderna perversione che coinvolge
ogni tipo di animale, da quelli più piccoli quali insetti, lumache, pesciolini,
calpestati a morte, ad altri più grandi quali oche, conigli, galline il cui tormento è più
elaborato e la cui morte più atroce perché l’agonia si protrae: tutti al
servizio del piacere di un pubblico , che la rete consente di vaste dimensioni,
composto persino da collezionisti, alla ricerca di esperienze inedite in grado
di stimolare fantasie avvizzite, che tornano ad eccitarsi alla vista di animali
martoriati.
L’immagine della signora che schiaccia piccoli animali sotto il
suo tacco dodici, per quanto disgusto abbia potuto suscitare, non consente rassicuranti spiegazioni sul tema della
follia che irrompe inaspettata a turbare una normalità che ci piace credere
diffusa; è, per esempio, irresistibile il suo richiamo ad un’altra immagine contenuta in un saggio, scritto oltre vent’anni fa dallo psicologo
Francesco Parenti[i]
, con la differenza che, in quel
disegno, ad essere schiacciata sotto la punta dello spillo è la testa di un
uomo con le mani incatenate.
Il tacco femminile dalla punta aguzza accomuna storie di sesso
evidentemente perduto (“Alla ricerca del
sesso smarrito” è l’inequivocabile titolo dello scritto citato) : è lo
strumento con il quale vengono schiacciati esseri viventi, umani o non umani
poco importa, che con la propria sofferenza sono veicolo di piacere, di quel piacere sadico, che il
divino marchese de Sade , alla fine del 1700, ha inutilmente provato a
nobilitare con le sue esternazioni letterarie, incapaci di salvarlo da lunghi anni di internato in manicomio.
Se lo scorrere di un paio di secoli ha disinibito i costumi
tanto da ostentare in vetrine neppure tanto nascoste fruste e
stivaloni, il far coincidere il proprio
piacere con la sofferenza dell’altro non può essere derubricato a semplice espressione di
disinibizione, perchè è comportamento che investe profondamente le dinamiche
intrapsichiche e relazionali, che anche
di sessualità si nutrono, di quella sessualità, che, pur nella diversità e
complessità dei comportamenti individuali, alimentati dalla propria
personalità, dalle proprie convinzioni, dal proprio sistema di valori e dalla
cultura di appartenenza, non dovrebbe essere avulsa dalla ricerca di una
comunicazione biunivoca e profonda con l’altro.
Se vanno a colludere con istinti auto o etero distruttivi,
lungi dal testimoniare disinvoltura e sicurezza, tali pratiche rendono invece
atto di personalità che sono andate strutturandosi su forme di insicurezza, intorno a un sé percepito come debole e inadeguato;
l’espressione libera e matura delle
proprie forze libidiche viene allora inibita; il senso di inferiorità non trova risarcimento neppure in modelli di
affermazione sociale compensatori. La sofferenza e l’umiliazione connesse a
vissuti di mortificazione e incomprensione non contemplano la possibilità
di ricercare rapporti intessuti di
dolcezza, tenerezza, affettività, esperienze sconosciute e conseguentemente
estranee persino alla sfera dei desideri. La
soluzione, allora, diventa quella di imboccare una strada distorta e
tortuosa, che devia dalla possibilità di intessere relazioni gratificanti e si
dirige verso un’organizzazione sadomasochistica. L’unica comunicazione
possibile passa attraverso l’esperienza del dolore, inferto o sperimentato.
Fino a qui le dinamiche individuabili in chi agisce in veste
di protagonista. Il fenomeno si arricchisce, o meglio: si impoverisce se
osservato in chi è fruitore in rete, osservatore passivo, spettatore che
consuma un piacere voyeristico e solitario, protetto da un anonimato che
l’adesione alle attuali tecnologie fa sentire membro di una comunità avanzata,
ma che in realtà nella sostanza non si discosta dal ruolo malinconico e vergognoso degli antichi
spettatori delle oscure sale cinematografiche a luci rosse di periferia. Nel pubblico che osserva il crush nell’anonimato
della rete, il sadismo non è agito nè
subito in una dinamica in cui possa manifestarsi come l’altra faccia di un
consenziente masochismo (“Non godo del
dolore dell’insetto, mi immedesimo con la sorte della vittima”, dice un
“praticante”), ma semplicemente spiato, nell’incapacità ad assumere un ruolo
attivo, che implichi un contatto,
qualsiasi contatto, con l’altro: la persona resta ingabbiata in un piacere
solitario, nella delega ad altri di ogni responsabilità, nell’astensione dalle
relazioni, sia pure le più perverse.
Nel caso della signora, qui assunta come rappresentante di una
patologica e patologizzante comunità di persone tra loro legate solo
virtualmente, agli altri elementi di devianza si aggiunge quello macroscopico
dell’utilizzo degli animali non umani. Anche riguardo a questo punto, è
necessario chiarire che, per quanto poco accettabile e tanto meno politicamente
corretto, l‘uso degli animali a scopo sessuale non è fatto nuovo, perché in
realtà affonda le sue radici in una storia millenaria, di cui i miti ci
tramandano stralci di conoscenza, in genere bypassata in nome dei tanti tabù
collegati: Leda e la sua storia d’amore con Zeus in forma di cigno; i satiri
greci, metà uomini metà capre, simboli di virilità; i bordelli dell’antica Roma
che portavano i nomi degli animali offerti all’interno per pratiche sessuali ne
sono innegabile testimonianza, per quanto l’’approccio realmente conoscitivo
sia ancora in fase embrionale, offuscato dal rifiuto emotivo. Bestialità e
zoofilia sono i termini oggi usati per definire il primo qualsiasi approccio di
tipo sessuale con un animale, il secondo riferito alla contestuale presenza di un coinvolgimento anche affettivo. Forse non è
un caso che persino il DSM, Manuale dei Disturbi Mentali, sorta di bibbia
diagnostica dei disturbi mentali, nelle recenti edizioni, del 1980 prima e del 1994 dopo, dedichi alla zoofilia un unico brevissimo rigo,
limitandosi ad includerla tra le Parafilie Non Altrimenti Specificate.
Il crush fetish è qualcosa di ancora diverso e,
se possibile, più patologico, perché presuppone che l’animale utilizzato sia la
vittima designata ed indifesa di condotte allo stesso tempo morbose e crudeli. La ricerca del piacere viene
perseguita con l’uso della violenza su specie altre dalla nostra, che
evidentemente forniscono ulteriore rassicurazione nella loro totale
vulnerabilità e incapacità di comunicazione, per lo meno verbale. Siamo in una
sorta di sottobosco oscurato dall’ombra dell’inconfessabile, dove tutto deve
avvenire nella protezione del gruppo dei simili: “Non so il perché né lo voglio sapere, so che mi eccita e basta, però so
con certezza che non è una cosa di cui posso vantarmi in giro”, confessa in
rete un altro adepto.
Quindi un concentrato di sadismo, voyerismo, abuso di chi è
indifeso, uso indiscriminato di animali: un mix che indiscutibilmente risulta
alla maggioranza della gente del tutto incomprensibile e ripugnante; come
sempre però il mostro non esiste, i marziani restano su Marte: ciò che avviene
può non avere giustificazioni, ma di certo contempla spiegazioni nella sua
genesi, che è doveroso ricercare se al
biasimo si vuole sostituire la possibilità di una approccio che sia non tanto
terapeutico quanto piuttosto di prevenzione.
E’ necessario considerare che esiste una gradualità di
comportamenti, il primo dei quali è riferito al maltrattamento degli animali attuato per il puro piacere che esso procura. Il campo è
quanto mai vasto e composito, meritevole di adeguato approfondimento.
Limitandoci a pochi riferimenti, il
primo è alle sevizie di animali messe in
atto dai bambini: se, invece di essere minimizzate, sdoganate quali accettabili
corollari di fasi evolutive, fossero adeguatamente prese in considerazione,
consentirebbero non solo una doverosa stigmatizzazione, ma anche la possibilità
di una precoce messa a fuoco di un disagio di cui sono in realtà l’espressione:
i bambini crudeli con gli animali stanno attestandosi in una pericolosa
posizione all’interno di una catena in cui il più forte abusa del più debole:
la denuncia implicita troppo poco accolta, il grido inascoltato è quello di chi è vittima, prima di trasformarsi in carnefice,
di chi mette in atto su chi è più debole di lui le sevizie, fisiche, sessuali,
psicologiche, che lui stesso ha dovuto o deve subire.
Un’altra eclatante situazione di incrudelimento sugli animali
ha luogo nella tauromachia, che molto ha
da condividere con il crush fetish,
anche se, a differenza di questo, le
sensazioni che ne derivano non vengono consumate nel senso di colpa, ma anzi orgogliosamente
esibite in un’atmosfera ammantata di macismo. Il riferimento è innegabile per
quanto disconosciuto: in questo caso vi è un animale, che è grande e forte, ma reso
debole perchè ferito e sfiancato; il torero, invincibile grazie all’apparato a
disposizione, è lì con lo scopo preciso di ucciderlo, tutto teso a pregustare
il piacere che gliene deriverà. Intorno una folla di spettatori/voyeristi, senza
nulla rischiare, segue lo spettacolo in
un crescendo di eccitazione che culmina nell’orgasmo finale in cui la tensione
si scioglie e il piacere si consuma nell’esaltazione collettiva, che aumenta la
fascinazione del rito, legittimato dall’ampio consenso sociale. Di
autoconsapevolezza della perversione in atto nel godimento che deriva dal
terrore del toro, dal raccapriccio del sangue tutto intorno, dalla sua agonia
che lo trasforma da potente ed orgoglioso animale in un essere piegato e vinto,
buttato ad impazzire di dolore in un’arena altrettanto impazzita, non vi è
traccia. Se poi tra gli spettatori che agiscono un’identificazione sadica con
il torero ve ne siano alcuni che invece si immedesimano masochisticamente con
il toro, non mi risulta sia al momento oggetto di studio: già sarebbe pallida
testimonianza di un’empatia di cui in quel contesto sembra smarrita ogni
traccia.
Non sentiamoci al sicuro, noi, eredi e discendenti di quegli
antichi romani che degli strazi di umani e non umani nelle arene avevano fatto
motivo di gioia. Ci siamo liberati degli spettacoli più cruenti, ma
ostinatamente conserviamo migliaia di sagre
paesane, ancora oggi ben tutelate dalla legge, che vedono asini, mucche,
conigli, rane, oche tormentati e a volte uccisi per il piacere del pubblico
festaiolo: il linguaggio, con il suo potere di mistificare la realtà, le chiama
tradizioni: e questo sembra bastare. In tema di maltrattamento animale, quasi
pleonastico ogni riferimento alla caccia, che, ormai priva di qualunque nesso
con le necessità alimentari, si risolve
nel piacere sadico della sopraffazione mortale di esseri indifesi.
Non si può prescindere da tutto ciò se si vuole percorrere la
strada della comprensione, perchè anche questo è il loro terreno di coltura: ci
si abitua a tormentare animali, si impara a provare piacere nel farlo,
avvallati dalla cultura in cui si è
immersi; colpevolmente lo si insegna ai bambini. E poi ci si meraviglia del
possibile proseguo : quando patologie di base impediscono, a causa di problemi
intrapsichici e relazionali, una sessualità libera e matura, questa può
incanalarsi nelle strade che sono state spianate e assumere forme deviate e valenze feticiste, che la
creatività di ognuno arricchisce di sempre nuove forme. Inavvertitamente si
supera il confine del confessabile e progressivamente ci si allontana da quello
che (incredibilmente!) viene considerato politicamente coretto per rintanarsi
in una solitudine tanto più vergognosa quanto maggiore è il contrasto con la
liberalizzazione della società intorno.
Le affermazioni reperibili
nei forum del crush dimostrano che, accanto all’imbarazzo e al disagio, i
”seguaci” provano anche consapevolezza che lo iato che li separa dal mondo
“sano”, fortemente giudicante nei loro confronti, si nutre di ipocrisie salvifiche: “Si fanno molte più torture su animali da pelliccia o particolari riti
per uccidere animali da allevamento”, “viviamo in un paese dove è legittima la
caccia, dove le aragoste si cuociono vive, dove esistono i mattatoi”.
Certo, il confronto vantaggioso è un meccanismo di difesa
dalla portata notevole: sono sempre gli altri a macchiarsi di peccati mortali,
al cui confronto i nostri sono veniali, perdonabili. Consente anche di richiamare l’esistenza di altri siti, un po’
più protetti, ma comunque raggiungibili, in cui sono bambine e bambini ad
essere ridotti al rango di oggetti di un desiderio sessuale ammantato di
violenza. Al confronto di tali turpitudini, il fenomeno del crush viene giudicato un crimine bagattellaro,
ammesso che crimine lo si consideri.
Ma non si può ancora oggi restare inconsapevoli del legame che
unisce tutte le forme di violenza, legame che i più illuminati tra i filosofi
avevano già messo in luce due mila anni fa, a partire da Plutarco e Teofrasto passando
per Kant per arrivare ai giorni nostri, quando anche la psicologia a partire
dal 1987, con l’inserimento, nel DSM-III, della violenza sugli animali tra gli
indicatori del Disturbo della Condotta e del Disturbo Antisociale di
Personalità lo a definitivamente codificato.
In particolare l’esistenza di un continuum tra vittime–bambini
e vittime-animali, uniti dalla comune debolezza, vulnerabilità, incapacità di
difendersi, è evidente, perché fin troppo facile è prevaricare e tormentare chi
non può difendersi. Il pensiero corre più che ai bambini occidentali, divenuti, per altro
solo negli ultimi secoli, soggetti di diritto, a quelli dei paesi poveri,
vittime dell’abbietto turismo sessuale,
stigmatizzato a livello giuridico, ma alla cui lotta, come dimostra il
numero incredibilmente esiguo di condanne, non è dedicato un impegno adeguato alla
vastità del fenomeno. Per quanto riguarda gli animali, il disconoscimento dei
loro diritti conosce ben poche limitazioni a seconda delle aree geografiche.
In conclusione, anche le azioni più oscene e riprovevoli non
sono mai opera incomprensibile di mostri, di alieni: esiste una progressione
sulla strada del male, alimentata anche dalla noncurante connotazione
attribuita a comportamenti che sono invece i prodromi del peggio e che è
necessario riconoscere, andando al di là dei richiami ad abitudini, cultura e
tradizioni, che non servono ad altro che a rendere irriconoscibile e non decodificabile la realtà.
Per quanto riguarda la signora di Rho, che ci dicono madre di
tre figli, c’è davvero da augurarsi che gli interventi nei suoi confronti non
si limitino ad una condanna, che pure
possiede un innegabile valore simbolico: non può essere sottostimata l’ipotesi che le forme sessualizzate di
crudeltà possono essere più specificatamente collegate ad una storia di abuso
sessuale (Frank Ascione).
Se agli animaletti torturati e uccisi si può solo
rendere tardiva giustizia non minimizzando e svilendo la loro sofferenza, bisogna contestualmente ascoltare il
campanello d’allarme che sta suonando impazzito richiamando alla consapevolezza
del link che unisce ogni forma di violenza e crudeltà. E del ruolo
imprescindibile di educatore di ogni genitore, nella coscienza che l’educazione
deve essere prima di tutto quella al rispetto dell’altro, tanto più necessario
e doveroso quanto più debole questo altro è.
[i]Bibliografia
Il sesso smarrito, di Francesco Parenti, De Agostini
1991
Bestiality
and zoophilia a discussion of sexual contact with animals, di Andrea M. Beetz,
in The international handbook of animal abuse and cruelty, Purdue University
Press, 2010
Bambini e animali. Le radici dell’affetto e della
crudeltà. Di Frank Ascione, Edizioni Cosmopolis, 2007
DSM, III e IV edizione, Manuale dei Disturbi Mentali ,
Edizioni Masson 1987 e 1994.
sempre bravissima e arguta nelle riflessioni.
RispondiEliminaIo voglio solo aggiungere che il PETA ha su youtube un bel filmatino corto e ironico (tipo film del terrore anni 50 molto ben fatto) sui bambini che si divertono a spaventare i piccioni (basta digitare Pigeons sul motore di ricerca).
Io la cosa che trovo sempre scandalosa è che questa gente si riproduca !!!
Non vorrei ripetermi ma se la famiglia austriaca che ha dato i natali ad Adolf quella sera fosse andata al cinema forse adesso saremmo tutti differenti.
Quindi vasectomia d'ufficio per i maschi inseminator e sterilizzazione coatta a simili mamme, mi sembra il minino.
E' un po' come la proflisassi contro le possibili per contenere le epidemie.
I maestri, i genitori, i vicini di casa, gli amici, che hanno avuto il piacere di frequentare quella nobildonna, non hanno mai capito e fatto niente?
saluti orgogliosi di conoscerti e antispecisti
Stefano Bernardi
Scopro con notevole ritardo questo articolo. E devo dire che è tra i pochissimi di stampo psicologico. Sono pedagogista e mi occupo di educazione dell'essere umano da 30 anni, parimenti mi sono sempre occupata a livello personale della salvaguardia degli animali e negli anni ho cercato di far confluire anche nel mio lavoro tutto ciò che riguarda il rispetto della vita a qualsiasi essere appartenga. Mi sono formata in ambito di pedagogia cinofila e in zooantropologia (con R. Marchesini). Ho spesso parlato di tali argomenti, essendomi anche occupata di pedofilia per una ricerca in ambito formativo, e sottolineando quanto spesso tale disturbo sia collegato con la zoofilia un pò perché gli animali vengono utilizzati per attirare e accalappiare le vittime e un pò perché vengono coinvolti nelle pratiche assieme ai bimbi; ho parlato spesso senza successo dell'utilizzo reiterato, e in tempi addietro estremamente accettato, dell'utilizzo degli animali nei film porno e di tutte le sostanze che gli vengono somministrate da veterinari conniventi, e non ultimo del crush fetish molto presente e assorbita in tutto il mondo dall'area dei paesi dell'est. Questi argomenti non vengono sufficientemente non solo presi in considerazione ma analizzati approfonditamente. E' relativamente da poco che si studiano e si rilevano nell'analisi dei casi sui serial killer, propri i reati di sevizie e biocidio contro gli animali. Non servono a nulla le pratiche di vasectomia, di sterilizzazione sia nei casi di pedofilia o di altri crimini a sfondo sessuale. La violenza non è solo penetrazione, tanto è vero che viene perpetrata anche dalle donne. La violenza è prima di tutto privazione di libertà, di dignità, di umanità e poi è fisica. Ogni tanto torna questo voler combattere la guerra con altre armi invece che trovare un modo per far abbassare le armi a tutti. Si è già provato in tempi addietro con queste pratiche, ora tornate in auge vista la deriva neo-nazista e neo-fascista presente in Europa o forse dovrei dire nel mondo. Un essere umano anche se sterilizzato o vasectomizzato può sentire l'impulso a provare piacere e quindi a seviziare e uccidere. Tanto è vero che spesso tali persone sono affette da impotenza. Si sono provati anche dei cocktail farmacologici per inibire completamente l'impulso al piacere e alla ricerca del godimento, e in effetti i soggetti rimangono inebetiti a lungo termine. Il vero problema oltre che essere la presenza di persone disturbate (facciamo l'ipotesi di Hitler) che sono affette da un profondo disagio psichiatrico, la gravità viene dal gruppo dei comprimari, dei sostenitori, cioè di chi sta intorno a questi personaggi che permette, lascia fare, incita, si fa trascinare e non è affetto dallo stesso identico disturbo psichiatrico ma da altri disagi, a volte anche solo psico-sociali. Prendere coscienza e intervenire con progetti non solo dedicati ai bambini ma anche agli adulti dovrebbe essere primario. Per permettere poi l'incanalizzazione dei soggetti in terapie individuali e/o di gruppo.
RispondiEliminaGrazie del contributo.
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