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domenica 14 luglio 2024

NON SI UCCIDONO COSì GLI AGNELLI?

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Quanto accaduto negli ultimi giorni di giugno in un istituto tecnico agrario di Fabriano, nell’ambito alternanza scuola lavoro, costringe a ripensare l’idea di violenza, il concetto di stato e l’ipocrisia di tante scelte educative

unsplash.com

Ultimi giorni di giugno: a Fabriano, nell’ambito alternanza scuola lavoro, alcuni studenti dell’istituto tecnico agrario sono all’interno di un’azienda agraria, di proprietà della scuola stessa, dove si trovano animali cosiddetti da allevamento, nello specifico pecore. Alcuni dei ragazzi cominciano a divertirsi maltrattandole: uno in particolare calcia loro addosso un pallone, facendole fuggire spaventate: un agnellino però, troppo piccolo o troppo debole, non ce la fa a seguire il gruppo e resta indietro. Uno dei ragazzi non si lascia sfuggire l’occasione: lo afferra, lo lancia fuori dal recinto, lo riacciuffa, lo scaraventa di nuovo dentro, quasi fosse diventato lui il pallone: la bestiola riporta la paralisi di tutti e quattro gli arti e muore dopo tremenda agonia. Gli altri studenti, nella maggior parte minorenni, se ne guardano bene dall’intervenire e risulta che abbiano assistito divertiti allo scempio.

Alla notizia viene dato risalto sui media e la dirigente scolastica fa sapere che verranno presi adeguati provvedimenti disciplinari contestualmente alla denuncia alla polizia per maltrattamento e uccisione di animale.

Ovviamente lo sconcerto e la condanna sono generali: ci si chiede essenzialmente a cosa serva una scuola che non riesce a contrastare condotte così crudeli tanto che qualcuno arriva provocatoriamente ad auspicarne la chiusura, vista l’inettitudine educativa che l’episodio denuncia.

Di certo comportamenti tanto abnormi su un essere piccolo, inerme, spaventato devono interrogare su chi siano quei ragazzi e come e dove abbiano appreso insensibilità, sadismo, ferocia: auspicabile che, oltre alle punizioni, vengano iniziati percorsi di educazione al rispetto e all’empatia e anche ad una autoconsapevolezza, che porti in superficie quello che c’è di guasto nella loro psiche. Perché qualcosa di certo è andato male se si è qui a discutere di studenti trasformati in aguzzini, anche se con ruoli diversi nella dinamica di gruppo. Gruppo che, è facile pensare, può avere avuto un ruolo forte come attivatore di violenza, perché è probabile che il maggiore responsabile, fosse stato da solo, non avrebbe fatto quello che ha fatto: la presenza degli altri in questi casi, con una sorta di tifo fatto di lazzi e battute, sostiene sempre l’eccitazione e il desiderio di un protagonismo, che, quando non può contare su altre abilità, si accontenta di forme di bullismo a danno dei più deboli trasformando la colpa in vanto.

L’esercizio di violenza gratuita però, lungi dall’essere un disgrazia che irrompe inaspettatamente in contesti paradisiaci, se trova terreno fertile nel temperamento individuale, si nutre poi di modelli familiari, educazione, cultura, mass media, ambiente.

Di conseguenza, il banco degli imputati, da allestire nel processo contro i colpevoli di questo disastro comportamentale, se vuole davvero ospitare tutti i responsabili a voler ben guardare deve allargarsi a molti invitati di pietra.

A cominciare dal fatto che la scuola frequentata dai ragazzi, a quanto si legge (“Vengono approfondite le problematiche collegate all’organizzazione delle produzioni animali e vegetali, alle trasformazioni, alla commercializzazione dei relativi prodotti…”), avvia tra l’altro alla produzione animale e alla gestione degli allevamenti zootecnici. Vale a dire: all’interno dei percorsi di formazione gli animali non sono certo visti come compagni di vita e nemmeno come esseri da conoscere a fondo nel rispetto della loro etologia, bensì come produttori di cibo, che può essere ottenuto solo tramite adeguato sfruttamento e conclusiva uccisione. Quello stesso agnellino brutalmente assalito e ucciso, non avesse avuto la malasorte di impattare in ragazzi, forti solo del proprio numero e della propria protervia, avrebbe incontrato destino non tanto diverso a distanza di poche settimane: perché ciò che succede a quelli della sua specie è di finire afferrati per le zampe, trascinati lontano dalla madre, caricati su camion dove impazzire di paura per essere infine sgozzati in un delirio di sangue e di disperati belati in cerca di un’improbabile pietà. Perché è questa la fine che fanno gli agnelli come documentato da filmati alla portata di chiunque voglia informarsi, e come presumibilmente non ignorano i ragazzi che stanno seguendo un percorso di formazione che prevede tecniche di allevamento.

Ovvio che tutto questo non autorizza nessuno ad infliggere tormenti gratuiti per puro divertimento: si tratta di comportamenti che anche la legge contro i maltrattamenti punisce, in quanto crudeli e non necessari, anche se nessuno fino ad oggi si è assunto l’onere di definire con precisione quali sarebbero le condizioni che invece rendono i maltrattamenti necessari: il dubbio trattarsi di ossimoro incombe. In società satolle come la nostra, per quanto ci si pensi, la necessità parrebbe riferita (in modo francamente discutibile) solo al piacere del palato: insomma alla gola, per altro vizio che possiede il non invidiabile privilegio di essere inclusa tra i sette capitali.

Il problema è che lo status di quegli animali, appunto “da allevamento”, è quello di esseri al servizio di noi umani, che decidiamo quando farli nascere e quando e come farli morire, del tutto incuranti della dose devastante di sofferenza che questo percorso procura loro.

Non facilissimo pretendere da adolescenti l’accettazione acritica di comportamenti basati su una sorta di dissociazione cognitiva: tu li devi trattare bene e rispettare, poi fra un po’ interveniamo noi e facciamo, sotto l’egida della legalità, tutto quello che ora etichettiamo come turpe, sadico, e quindi sanzionabile.

Non bastasse tutto questo a definire la caotica convivenza di giusto e ingiusto nella vicenda di Fabriano, è interessante ricordare che a San Romualdo, frazione di Fabriano, le calde giornate agostane da 23 anni a questa parte (!) vengono allietate da una delle tante sagre estive, nello specifico, la Sagra dell’agnello, a uso e consumo di tanti cittadini e cittadine, che accorrono a festeggiare degnamente il clima vacanziero nonché le proprie papille gustative, allettati dalla pubblicità che assicura (manifesti in giro per la città lo scorso anno) aria fresca e divertimento, nonché Agnello in tutte le salse, in un gioco di espressioni dal doppio significato, opera di qualche creativo in difficoltà nel cogliere la differenza tra cinismo e spiritosaggine.

Il quadro che si delinea, mettendo in ordine le tessere del mosaico dei fatti, interroga davvero sulla compromissione dei ragionamenti, sulla illogicità delle convinzioni, sulla disarmonicità della visione d’insieme sulla realtà. Quei ragazzi, colpevoli dell’uccisione dell’agnellino, sono cresciuti e si sono formati vedendo gli adulti abbuffarsi serenamente di altri agnelli, giusto per godersi meglio giornate di festa; e seguono percorsi scolastici che prevedono anche come allevare animali che finiranno poi al mattatoio. Miracolosamente dovrebbero però considerare gli agnelli esseri da trattare con rispetto, ignorando le incongruenze e le spiegazioni, insite in messaggi incoerenti, e accettare la logica sottostante, quella implicita ma non detta, secondo cui la violenza è sanzionabile quando individuale, accettabile e indiscutibile quando è di stato, vale a dire quando è legalizzata.

Gli adulti sono bambini andati a male, ha detto qualcuno: forse vanno a male a causa dei puntuali attacchi alla loro empatia, che passa anche dal sistematico menefreghismo che viene sollecitato davanti alle tante forme di crudeltà inflitte ad altri, umani e nonumani, se pure a norma di legge.

Le riflessioni necessarie sui fatti di Fabriano, allora, nell’interrogare sulle responsabilità individuali e su quelle della scuola non possono prescindere dai modelli educativi e da quelli culturali e ambientali: è fuori di dubbio che soprattutto in questi ambiti maturano i germi di un’aggressività che, al suo esplodere, non lascerebbe basiti se solo ci fosse un po’ di consapevolezza in più, consapevolezza che una buona società è quella che esclude la violenza in tutte le sue forme e verso tutti gli esseri senzienti.