Esiste un meccanismo, ben noto agli studiosi di psicologia sociale, che fa capo ad un principio definito di "contrasto percettivo", uno schema automatico di comportamento di cui facciamo spesso uso, anche senza esserne consapevoli: consiste nel fatto, in fondo banale, che una situazione appare molto diversa a seconda di ciò che l’ha preceduta. In alcuni laboratori di psicofisica il principio viene illustrato agli studenti, invitati a sedersi davanti a tre vaschette piene d’acqua: la prima gelida, la seconda a temperatura ambiente, la terza calda. Lo studente mette la mano sinistra nella prima e la destra nella terza, poi entrambe le mani, contemporaneamente, nella seconda. Si accorge con sorpresa che le sue mani, pur immerse nella stessa acqua, la percepiscono in modo molto diverso : la mano che era stata nell’acqua gelida la sente calda, la mano che era stata nell’acqua calda la sente fredda.
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martedì 19 agosto 2014
SCAPPA, DANIZA!
Esiste un meccanismo, ben noto agli studiosi di psicologia sociale, che fa capo ad un principio definito di "contrasto percettivo", uno schema automatico di comportamento di cui facciamo spesso uso, anche senza esserne consapevoli: consiste nel fatto, in fondo banale, che una situazione appare molto diversa a seconda di ciò che l’ha preceduta. In alcuni laboratori di psicofisica il principio viene illustrato agli studenti, invitati a sedersi davanti a tre vaschette piene d’acqua: la prima gelida, la seconda a temperatura ambiente, la terza calda. Lo studente mette la mano sinistra nella prima e la destra nella terza, poi entrambe le mani, contemporaneamente, nella seconda. Si accorge con sorpresa che le sue mani, pur immerse nella stessa acqua, la percepiscono in modo molto diverso : la mano che era stata nell’acqua gelida la sente calda, la mano che era stata nell’acqua calda la sente fredda.
giovedì 10 luglio 2014
TUTTA COLPA DELLA NUTRIA
Le nutrie, dal 23 luglio 2014, non sono più specie protetta, come lo erano state fino al giorno prima, ma, potenza del linguaggio e della legge, sono diventate specie nociva; in quanto tale, possono essere "eradicate", soggette a "prelievo venatorio": in altri termini giustiziate sul posto da solerti cacciatori, o, in alternativa, catturate con uso di gabbie e, una voltà lì dentro, colpite a fucilate o "gasate".
Non molte persone sanno un gran
chè delle nutrie; o meglio non molti connettono questo nome con quello ben più
familiare di castorino, familiare perché fino a non molti anni fa era quello
delle pelliccette che molte donne portavano, potendosele permettere perché non
eccessivamente costose e perché l’idea che
provenissero da un animale, imprigionato per tutta la vita prima di essere ucciso in modi crudelissimi, restava nascosta nei
meandri della rimozione. E se poi da lì fuoriusciva, i tempi erano tali per
cui si riusciva a convivere con la palese ingiustizia senza particolari sensi di colpa: animalismo e antispecismo, con tutto il loro carico di nuove consapevolezze e di conseguenti
responsabilità, erano tutti ancora da venire. Mentre le mode dettavano i comportamenti e
incidevano sulle scelte, i castorini, insieme a tanti altri, ne pagavano il prezzo, senza che ci si curasse
di sapere nulla di loro, di sapere per esempio che erano stati fatti venire da
lontano, dal Sud America, perché, vegetariani quali sono, si nutrono di arbusti
e servivano quindi anche allo scopo secondario di bonificare le paludi. Quando nuovi gusti li hanno messi all’angolo e
fatti giudicare di troppo, sono stati serenamente liberati sul territorio vicino a corsi d’acqua con il nuovo nome di nutrie e hanno
cominciato a riprodursi nel disinteresse generale, fino a quando vari disastri
ecologici e danni ambientali, frutto di negligenze e cattive politiche del
tutto umane, hanno visto in loro l’ideale capro espiatorio dei mali in corso.
Tutta colpa della nutria! Dagli all’untore! Sterminiamole tutte! E così, non
facciamoci mancare nulla, si è deciso di procedere alla loro uccisione a
fucilate; ghiotta occasione per un po’ di sport supplementare per i cacciatori,
che in molti casi si sono visti omaggiare cartucce per decine di migliaia di euro, e grande sgomitare da parte dei sindaci per vedere il proprio comune accolto tra
gli eletti con licenza di uccidere. L’ecatombe è ormai in atto da anni sul territorio nazionale , con centinaia di migliaia, forse milioni, di individui uccisi: secondo le prime cronache, poi tacitate, tra questi ci sono anche quelli che, sfuggiti
alla furia dei fucili, sono stati
abbattuti a badilate, senza scandalo.
Il tutto è stato reso possibile grazie all'efficacia dello schema regolarmente seguito in occasione di ogni carneficina, umana o nonumana che sia: è essenziale, come prima mossa, costruire le condizioni di base, vale a dire la propaganda secondo cui ci si trova davanti ad una seria minaccia, fonte di un male inaccettabile. Ce lo hanno bene insegnato i conflitti di ogni epoca, dall’antichità ai giorni nostri, che vedono l’odio artatamente sollevato da una propaganda che ne costituisce l’imprescindibile punto di partenza. Anche per bruciare le streghe, gentile pratica protrattasi per secoli nella illuminata Europa, era stato necessario convincere la gente di quali malefici fossero responsabili quelle donne, creature di Satana capaci di ogni malvagità. Così la nutria, nella narrazione, è diventata pericolosa, perchè "nociva", e, in quanto tale, meritevole di morte. Narrazione in rotta di collisione con la posizione nel frattempo assunta dall'animale, le cui reali caratteristiche di docilità, simpatia, socialità ne avevano fatto il beniamino di molti. Si è dovuto quindi lavorare sulla sua rappresentazione quale essere pericoloso, dannoso, da perseguitare: operazione il cui successo è stato reso possibile dalla diffusa deresponsabilizzazione e dall'altrettanto diffuso ossequio all'autorità, dinamiche tanto comuni tra gli umani, che non amano sentirsi in colpa e nemmeno essere angustiati da pensieri molesti: sono altri i responsabili di quello che succede e comunque per fortuna che c'è la rimozione, che ci permette di non pensarci.
Il consenso alla sua eliminazione è stato così assicurato e gli esecutori eretti al rango di meritevoli operatori al servizio del benessere comune.
Niente di originale se si pensa ad una situazione per certi versi del tutto analoga dall’altra pare del mondo: in Australia (è la sociologa Nik Taylor a raccontarlo) i rospi, ritenuti una sorta di peste ecologica a causa del loro proliferare, tempo fa sono diventati oggetto di una campagna che invita la popolazione ad ucciderli “nel modo più umano possibile”, ma i “modi umani”, ahimè per i rospi, non sono alla portata di tutti, e quindi il governo ha corretto il tiro accontentandosi per la mattanza di metodi “facilmente acquisibili ed accettabili” . Di adattamento in adattamento, il risultato è che molti ragazzi li attaccano con le loro mazze, usandoli come sostituto della palla da crichet o da golf, a mo’ di allenamento per lo “swing” (vale a dire per far alzare la palla verso l’obiettivo) sentendosene autorizzati dalla stessa rappresentazione degli animaletti come dannosi e nocivi, il chè crea consenso intorno al loro pur orrido agire, che non viene stigmatizzato in quanto, al netto di noiosissime considerazioni etiche, è considerato un atto socialmente utile.
Il tutto è stato reso possibile grazie all'efficacia dello schema regolarmente seguito in occasione di ogni carneficina, umana o nonumana che sia: è essenziale, come prima mossa, costruire le condizioni di base, vale a dire la propaganda secondo cui ci si trova davanti ad una seria minaccia, fonte di un male inaccettabile. Ce lo hanno bene insegnato i conflitti di ogni epoca, dall’antichità ai giorni nostri, che vedono l’odio artatamente sollevato da una propaganda che ne costituisce l’imprescindibile punto di partenza. Anche per bruciare le streghe, gentile pratica protrattasi per secoli nella illuminata Europa, era stato necessario convincere la gente di quali malefici fossero responsabili quelle donne, creature di Satana capaci di ogni malvagità. Così la nutria, nella narrazione, è diventata pericolosa, perchè "nociva", e, in quanto tale, meritevole di morte. Narrazione in rotta di collisione con la posizione nel frattempo assunta dall'animale, le cui reali caratteristiche di docilità, simpatia, socialità ne avevano fatto il beniamino di molti. Si è dovuto quindi lavorare sulla sua rappresentazione quale essere pericoloso, dannoso, da perseguitare: operazione il cui successo è stato reso possibile dalla diffusa deresponsabilizzazione e dall'altrettanto diffuso ossequio all'autorità, dinamiche tanto comuni tra gli umani, che non amano sentirsi in colpa e nemmeno essere angustiati da pensieri molesti: sono altri i responsabili di quello che succede e comunque per fortuna che c'è la rimozione, che ci permette di non pensarci.
Il consenso alla sua eliminazione è stato così assicurato e gli esecutori eretti al rango di meritevoli operatori al servizio del benessere comune.
Niente di originale se si pensa ad una situazione per certi versi del tutto analoga dall’altra pare del mondo: in Australia (è la sociologa Nik Taylor a raccontarlo) i rospi, ritenuti una sorta di peste ecologica a causa del loro proliferare, tempo fa sono diventati oggetto di una campagna che invita la popolazione ad ucciderli “nel modo più umano possibile”, ma i “modi umani”, ahimè per i rospi, non sono alla portata di tutti, e quindi il governo ha corretto il tiro accontentandosi per la mattanza di metodi “facilmente acquisibili ed accettabili” . Di adattamento in adattamento, il risultato è che molti ragazzi li attaccano con le loro mazze, usandoli come sostituto della palla da crichet o da golf, a mo’ di allenamento per lo “swing” (vale a dire per far alzare la palla verso l’obiettivo) sentendosene autorizzati dalla stessa rappresentazione degli animaletti come dannosi e nocivi, il chè crea consenso intorno al loro pur orrido agire, che non viene stigmatizzato in quanto, al netto di noiosissime considerazioni etiche, è considerato un atto socialmente utile.
Persino superfluo disquisire sull’ottica squisitamente antropocentrica che è il denominatore comune di queste situazioni: degli animali nonumani si fa ciò che è utile, ma anche solo preferibile, per gli umani, che hanno su di loro incontrastato diritto di vita e di morte, sulla base di considerazioni di pura convenienza.
Un altro elemento è di grande rilevanza: e le analisi di Andrèe Girard sono al proposito illuminanti: nel corso della storia è sempre esistito il capro espiatorio, vittima su cui far confluire l’aggressività dilagante, vittima scelta in virtù della sua debolezza, mancanza di tutele, incapacità a vendicarsi. Chi più e meglio degli animali può assumere su di sé questo ruolo e quindi la responsabilità degli errori e delle nefandezze umane, espiare le colpe dei colpevoli al posto loro, attirare su di sé l’aggressività che viene coì distolta dal consesso umano? E tra gli animali sono quelli più gentili le vittime ideali: dopo la loro mattanza, scaricata la propria aggressività, gli uomini, sempre tanto animosi gli uni contro gli altri, godono di qualche sprazzo di tranquillità, per una volta in solidale compiaciuta compagnia dei propri conspecifici.
Ancora: per contrastare il numero delle nutrie, giudicato eccessivo, sarebbero possibili interventi di contraccezione, come dimostrano le iniziative della Regione Piemonte, oppure organizzare spostamenti di massa. Decidere di non mettere a punto altre soluzioni quindi induce ad interrogarsi sui motivi, sulle spinte di base, che l'hanno determinata: e la risposta non può non fare riferimento a posizioni riferite alla violenza, alla sua accettazione e spesso gradimento nell'esercitarla contro le centinaia di migliaia di "esemplari" uccisi a sangue freddo. Lecito interrogarsi su chi siano quegli individui pronti ad ammazzare a catena di montaggio animali indifesi, terrorizzati, che sbatteranno contro le pareti delle loro gabbiette in cerca di una impossibile via di fuga. Lecito interrogarsi sui "dilettanti", vale a dire quei "volontari" a cui alcune regioni hanno fatto riferimento, che evidentemente sono lieti di accorrere a compiere il lavoro che non considerano affatto sporco; e sui professionisti, che sono i cacciatori, che nei loro siti non mancano di esprimere entusiasmo per il nuovo spazio offerto alla loro brama di uccidere, fonte di dirompente eccitazione. Nessuno di loro pare sentire nelle proprie corde l'eco di quella empatia per l'altro, per il suo dolore, che è la base di rapporti non violenti e cemento per relazioni che non siano di prevaricazione. Quale annichilimento della solidarietà e del senso di giustizia alimenti il senso di onnipotenza che ogni volta accompagna l’uccisione di qualsiasi essere vivente e senziente dovrebbe essere oggeto di preoccupazione per le autorità, che invece, con le loro scelte, lo legittimano e lo incentivano.
Un’ultima osservazione: tutto ha luogo in territori pubblici, e può succedere che ci siano anche bambini e ragazzini tra gli involontai spettatori . Essendo ormai del tutto assodato che la violenza sugli animali è connessa con un link innegabile a quella contro gli esseri umani e che tante radici del futuro agire sono poste negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, rendere i più giovani testimoni di mattanze che, alla faccia di qualsiasi eufemismo ideato per misconoscerle, sono innegabilmente tali, carica di responsabilità le autorità: anche se non lo capiscono.
Le nutrie italiane e i rospi australiani, di certo come tante altre specie democraticamente sparse in tutti i posti del mondo, nulla sanno di tutto ciò e, mentre vengono imprigionate, ferite, uccise, avranno magari il tempo di chiedersene la ragione, ma non certamente la possibilità di trovarla tra quelle accettabili: perchè lì non c'è.
“Sono contro la debolezza umana e
a favore della forza che le povere bestie ci dimostrano tutti i giorni perdonandoci”
diceva Anna Maria Ortese: dell'insensatezza di quel perdono immagino anche le nutrie abbiano preso atto.
giovedì 19 giugno 2014
L’ASSASSINO ANIMALISTA
La soluzione, se di soluzione si
tratta, dell’omicidio della giovanissima
Yara è stata occasione per svariati discutibili comportamenti.
A partire
dalle esternazioni in tempo reale del ministro Alfano, alla faccia della
necessità di riservatezza invocata dalla procura (la gente, dice lui, ha il diritto di sapere, qui,
tutto e subito: ma perché?????) passando alle varie testate che hanno sguinzagliato
giornalisti alla eccitatissima ricerca di qualsivoglia particolare, per
ininfluente che fosse, pur di essere i primi a scovarlo. Ma è la cronaca, bellezza, che fagogita tutto, tutto quello che riguarda gli
altri ovviamente.
In mezzo a tutto questo
l’immagine del presunto assassino, fotografato insieme ai suoi cani e gatto, ha
immediatamente preannunciato ciò che puntualmente è avvenuto nel giro di poche
ore, vale a dire dichiarazioni ,
commenti, analisi psicologiche e
sociologiche spicciole, tese ad affermare che è questo il genere di
persone che sostiene le ormai insopportabili istanze “animaliste”: si sono
svelati, finalmente! Eccoli qui chi sono
quelli che amano gli animali! Occasione ghiotta e
imperdibile per gettare un po’ di fango.
Qualche osservazione si impone. A
partire dal fatto che del presunto assassino al momento attuale sappiamo che è
figlio illegittimo, sposato e padre di tre figli, di professione muratore,
cattolico praticante; e che “possiede” cani e gatto. Se il rigore logico induce
a creare il link tra una qualsiasi delle informazioni e l’omicidio collegandoli
con un rapporto di causa-effetto, con lo stesso rigore logico sarebbero
sostenibili affermazioni del tipo: eccoli lì i padri di famiglia, ecco cosa
fanno agli altri bambini quelli che hanno i figli. O quelli cha fanno i muratori.
O quelli che sono cattolici praticanti. O quelli che sono figli illegittimi. Ma
queste connessioni, nella loro inaccettabilità, non vengono ovviamente alla
mente di nessuno. Quella sugli animali sì.
Di fatto, e sempre che le attuali notizie vengano confermate, quali siano i mostri
presenti nella mente di quest’uomo sarà possibile saperlo solo una volta
conosciuta tutta la sua vita, messi a fuoco i suoi pensieri, illuminati i suoi
abissi interiori . Ma che nella sua vita
ci sia e ci sia stato posto per i suoi animali è un elemento che davvero ben poco
aggiunge al quadro in fieri, per lo meno non più di quello che aggiunge la presenza dei suoi tre figli. Non avrebbero dovuto essere loro prima di
tutto ad elicitare in lui inclinazione paterna, intesa quale affetto, ma anche senso
di responsabilità, dovere di cura, capacità di identificazione, empatia? Non avrebbe
dovuto essere la presenza dei suoi bambini a renderlo un uomo per certi versi
migliore perchè più ricco emotivamente, capace
di immedesimazione, di mobilitare se mai energie positive in favore di altri
bambini in cui riconoscere la stessa ingenuità e vulnerabilità ad ogni pericolo
, che avrà pure imparato a riconoscere nei suoi?
Ancora: non avrebbe dovuto essere
l’interiorizzazione del messaggio cattolico, con tutti i correlati riferiti alla necessità di amore
fraterno tra tutte le creature, a costituire barriera insormontabile
all’emergere di impulsi tanto distruttivi?
Niente di tutto questo ha avuto luogo e una ragazzina che camminava presa
dai suoi pensieri, che avrebbe dovuto se mai sollecitargli una simpatia
protettiva, ha mobilitato in lui un atteggiamento predatorio e di rara
crudeltà.
Chi ne avrà il compito, avrà modo
di ripercorrere la strada che ha portato questo uomo (se di lui si tratta) a quel sonno della ragione
che genera mostri; cercherà di ricostruire quella sua realtà in cui la
relazione con gli altri è evidentemente radicalmente distorta. Ed è facile
immaginare che molti elementi andranno a definire anche il quadro del rapporto
con i suoi figli: già qualche elemento pare emergere, relativo al divieto che
loro dava di condurre una normale vita sociale; il resto sarò tutto da vedere.
Ciò che pare incontestabile è,
comunque, che l’essere padre di tre
bambini non lo ha reso un uomo capace di rispetto per un’altra bambina simile a
loro; essere cattolico praticante non lo ha indotto ad introiettare messaggi di
pacifica e amorevole convivenza; amare due cani e un gatto avrebbe dovuto riuscire a farlo? Siamo di
fronte ad un’immane tragedia in cui sono saltate le norme di riferimento,
morali e comportamentali, alla base delle stesse relazioni umane su cui è
fondata la società; tragedia che potrà
essere capita solo attraverso standard esplicativi ben diversi da quelli utili
in un quotidiano più familiare.
Usarla per una speculazione contro gli “animalisti” è quanto
di più inopportuno si possa ideare, possibile tra l’altro solo in virtù dell’ignoranza delle istanze portate avanti da tutti coloro che
degli animali non umani si occupano e si preoccupano costantemente nella
convinzione profonda che il rispetto per loro come per tutti gli esseri viventi
sia elemento imprescindibile di una società che davvero voglia liberarsi di
tutte le istanze violente che la popolano. Società che, ahimè, è mille miglia
lontana da quella in cui viviamo, come le cronache di questi giorni ci buttano
in faccia con rara durezza.
lunedì 14 aprile 2014
AGNUS DEI
Ancora pochi giorni e la mattanza comincerà per poi raggiungere
il suo culmine in vista della Pasqua: l’agnello di Dio sarà ancora una volta costretto suo malgrado a togliere i peccati dal mondo, e inutilmente
alzerà i suoi lamenti che arriveranno al cielo senza incrociare la pietà che invocano.
E’ lui, perchè innocente, la vittima ideale per pagare le colpe dei colpevoli.
“Felici le madri di questi agnelli sacrificali? – si chiede Josè Saramago nel
suo Vangelo secondo Gesù Cristo - Quelle madri, se lo sapessero, ululerebbero
come lupi”, perché loro mai avrebbero immaginato questa fine quando,
neonati, li leccavano e li nutrivano e
volevano solo, quelle madri, farli crescere i loro piccoli per poi
lasciarli andare, a brucare l’erba o a
correre nei prati. Non avevano capito cosa li attendeva; nè c’è da stupirsene
perché nessuna legge naturale potrebbe contemplare il teorema
indimostrabile per cui il peccatore lava le sue colpe con un altro
peccato, quello dell’uccisione di un innocente, di milioni di innocenti, che
devono essere fragili, teneri, indifesi:
un paradigma che trova nel diritto del più forte l’unica giustificazione.
E così, secondo riti e tradizione, la
pasqua di sangue approntata in nome della pace inonderà la terra.
Per altro il significato di
vittima sacrificale, che pure con tanta foga viene rispolverato e rinvigorito
ad ogni Pasqua, per la gran parte della
gente è ormai solo una pallida e scolorita giustificazione: la ricorrenza è piuttosto l’occasione per l’apoteosi
di una mattanza che, come ci dicono i numeri, non ha tregue nel corso di tutto l’anno, al di fuori di qualsiasi riferimento religioso,
per l’esclusivo e paganissimo piacere di un “piatto” evidentemente apprezzato.
Le parole che stigmatizzano come
inaccettabile per la sua crudeltà l’uccisione degli agnelli, oscenità tra le
altre oscenità dell’uccisione di ogni animale, sono evanescenti, a volte
esercizio letterario che tocca qualche corda e si scioglie in turbamento
passeggero : le immagini no, le immagini colpiscono con la forza dell’evidenza:
non mentono e non tacciono. E allora i
video, inguardabili per la violenza che
mostrano ma da guardare per il dovere etico di sapere, sono quelli che sbattono in faccia la realtà,
ciò che avviene nei luoghi della mattanza, che è la quintessenza del male:
esseri totalmente indifesi, miti per antonomasia, innocenti per definizione,
sono strappati alle madri, sottoposti a viaggi terrorizzanti, pesati, appesi
per le zampe, uccisi con un coltello che
recide la gola e che a questo punto si vorrebbe affilato, ma non sempre lo è e
l’agonia si prolunga: belati terrorizzati , sangue ovunque, gemiti e strida. E
poi le urla degli addetti ai lavori, uomini resi brutali dal loro stesso
“lavoro”.
Le indagini condotte a termine da associazioni per i diritti degli animali sono
sconvolgenti quanto necessarie, perché la cultura occidentale in cui viviamo
immersi ha posto in essere nei confronti della sofferenza animale e di tutte le
sue forme più estreme un meccanismo di nascondimento e occultamento, al
servizio di quel connubio tra sensibilità ed egoismo che ci contraddistingue:
non vogliamo vedere perché, anime belle
e amanti degli animali quali ci piace considerarci, siamo refrattari
a tanto orrore; ma non vogliamo
rinunciare a qualsivoglia piacere seppure sbrigativo e perso tra gli
innumerevoli altri che ci concediamo, quale che sia il prezzo che altri, altri
animali, pagano.
Il nostro processo di
civilizzazione, mentre condanna la
violenza in tutte le sue forme, in realtà la subordina ad un grandioso processo di rimozione e
negazione, che vorrebbe, questa violenza,
annullarla o almeno mistificarne il senso e la portata. Le immagini, frutto di
investigazioni rigidamente clandestine, ci colpiscono con tutta la violenza che
portano con sé e ci costringono a prendere atto di ciò che supportiamo con i nostri
stili di vita e le nostre abitudini alimentari e di cui rifiutiamo di sentirci responsabili. Come
spesso succede in questi casi, ad essere messi sul banco degli imputati sono
coloro che pongono in essere indagini scomode e magari pericolose, infrangendo
una legge che, al servizio dell’opera di nascondimento in atto, proibisce che
venga mostrato ciò che è politicamente, umanamente, eticamente vergognoso che
abbia luogo.
In atto , lo vediamo, è una
realtà di violenza inaudita, che suscita estrema pietà per gli agnelli e orrore
per quanto subiscono, ma deve anche indurci ad interrogarci sulla cultura in
cui siamo immersi: davvero vogliamo
continuare a convivere con la mattanza di questi cuccioli di animali, gli
stessi che, in una sorta di totale schizofrenia,
in altri momenti offriamo
all’interessamento intenerito dei
bambini, nelle favole, nei peluches, nei cartoni animati, come loro piccoli e stupiti davanti al mondo, che guardano con
curiosità e attesa, da una vicinanza di sicurezza con la propria mamma, da cui
si aspettano protezione?
Altre considerazioni incalzano ed
esigono riflessioni: esiste un mondo di uomini a cui viene delegato di svolgere
in prima persona il lavoro sporco: bistrattare e poi sgozzare esseri indifesi,
farlo ogni giorno, a catena di montaggio, opponendo la tenace determinazione a
portare a termine il compito ai gemiti e ai belati, alle invocazioni di aiuto e
alle grida di dolore, non resta senza conseguenze. Anche quelli che non hanno avuto scelta, di
certo facendo quello che fanno, qualunque fosse la loro realtà di uomini prima che
tutto cominciasse, non possono che trasformarsi in persone brutali, insensibili,
sorde al dolore altrui quando non addirittura capaci di infierire con ancora
maggiore violenza sulle vittime. Della trasformazioni di tutti costoro , che
sono la mano sporca della mattanza,
deve assumersi la responsabilità chiunque, a tavola, del loro lavoro sia l'utilizzatore finale.
Una società
che in parte non si vergogna di esporre cadaveri di agnelli, appesi a testa in
giù ai ganci delle macellerie, in parte invece preferisce che il “prodotto” che
arriva sulla tavola sia irriconoscibile e non rechi tracce dell’animale da cui
proviene, è comunque una società che convive, ammette, incentiva atrocità, non meno orribili per il fatto di essere legalizzate
I suoi miasmi non possono che intaccare le nostre vite e le nostre coscienze esattamente
come succede nelle società che ammettano la pena di morte: la mitezza è al
bando e in modi indiretti e diversificati ognuno ne sarà contaminato. Nessuna
società può aspirare ad essere considerata giusta e pacifica se al proprio interno la
prepotenza, la crudeltà, le atrocità, le efferatezze sui più deboli sono abitudini quotidiana, chiunque ne siano le vittime, umane o nonumane: solo forme diverse di una
stessa oscenità.
In
conclusione, un esercito di
vite appena nate sta per l’ennesima volta per essere immolato
sull’altare dei
nostri credi e più prosaicamenti dei nostri appetiti, come succede ogni
giorno con tutte le altre specie non umane, egualmente sfruttate e
martirizzate.
E' improcrastinabile un cambio di paradigma che riconosca come inaccettabile questa come ogni altra violenza esercitata contro esseri innocenti e indifesi: allo stato delle cose, mentre i poteri forti pervicacemente rifiutano i cambiamenti necessari, è del tutto chiaro, con le parole di Danilo Mainardi, che “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi”: non verità belle da enunciare, ma chiave di lettura quanto mai attuale di ciò che sta invadendo le nostre vite.
E' improcrastinabile un cambio di paradigma che riconosca come inaccettabile questa come ogni altra violenza esercitata contro esseri innocenti e indifesi: allo stato delle cose, mentre i poteri forti pervicacemente rifiutano i cambiamenti necessari, è del tutto chiaro, con le parole di Danilo Mainardi, che “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi”: non verità belle da enunciare, ma chiave di lettura quanto mai attuale di ciò che sta invadendo le nostre vite.