venerdì 15 dicembre 2017

UOMINI E ANIMALI VISIONARI E RIBELLI






   Drapetomania  è un termine che pochi conoscono e poco male che si sia perso, insieme a ciò che letteralmente designava.
 Vale però la pena ripescarlo dalle nebbie in cui si è giustamente dileguato perchè troppo spesso succede che le radici di un passato che ci illudiamo superato sforino  il terreno, magari in un altrove lontano, e l’albero ricresca con il proprio florilegio di nefandezze. Riscopriamo allora che, nel corso del 1851, tale Samuel Cartwright (1793-1863), che di professione faceva il medico e di casa stava negli Stati Uniti, lo ideò per dare nome a  un disturbo mentale, caratterizzato dall’insano desiderio di fuga coltivato dagli afroamericani, schiavizzati sul Nuovo Continente (“…quella fastidiosa abitudine del fuggire, che hanno molti negri…” diceva). Il  tutto per non svolgere il compito a loro affidato che era appunto quello di fare gli schiavi, secondo i dettami biblici che prevedevano, a detta di  Cartwright, che al loro  padrone rimanessero sottomessi e quindi non desiderassero andarsene. Non solo i comportamenti, ma anche i desideri, lo sappiamo bene, sono peccaminosi….

venerdì 21 luglio 2017

VIETATO FRUSTARE I CAVALLI



 

  VIETATO FRUSTARE I CAVALLI: si, ma tranquilli: solo a Castello di Montechiarugolo. Si tratta del titolo di un articolo del Corriere della Sera (14 luglio 2017), che si riferisce ad una realtà ad oggi anomala nel panorama ippico, italiano e non, non ad una legge, ma ad una iniziativa limitata all’ippodromo dell’Appennino emiliano, dove i responsabili hanno per la prima volta in Italia imposto il divieto di cui si parla, e a pochissime altre manifestazioni. Per la cronaca, esiste un solo precedente fuori dai confini nazionali e riguarda la Norvegia.
La notizia ha uno spessore che travalica la sorte dei singoli cavalli i quali, quando avranno la ventura di correre a Montechiarugolo, non potranno che stupirsi nel non essere fustigati, contratti e spaventati come saranno,  perché l’attesa delle usuali scudisciate è essa stessa tormento, nell’impossibilità a sottrarvisi, e perché non esiste comportamento che li metta al riparo: non è castigo ad una mancanza, a cui potrebbero imparare a sopperire, ma sorte ineluttabile; perché chi colpisce, e i cavalli non sanno  quando e quanto forte,  punisce un peccato non commesso.

mercoledì 21 giugno 2017

BENESSERE ANIMALE CHE NUOCE AGLI ANIMALI




     “The times they are a-changin’”: finiva il 1963 quando Bob Dylan la cantò per la prima volta dando voce all’urgenza e alla fascinazione di un cambiamento che sembrava destinato a  travolgere il mondo; ideali di rinnovamento, giustizia, pace, sollecitati dalla forza esplosiva di un’intera generazione di giovani, pronti a rivoltare il mondo, che così come era fatto non si poteva proprio sopportare. Da allora è risuonata in mille contesti dove la rivolta contro l’ingiustizia faceva sventolare la bandiera di ogni speranza; nella rimozione autoprotettiva che quei versi erano risuonati per la prima volta giusto quando John Kennedy veniva assassinato: dettaglio non trascurabile mentre il sogno veniva spacciato per previsione.
Potenza delle parole e potenza dei sogni. Così anche oggi la tentazione di ripeterle è grande davanti al dilagante movimento contro la sopraffazione  dei nonumani, che si manifesta nelle forme indecenti, irracontabili, variegate, ciniche, sadiche che sa assumere. L’ingiustizia sembra tale da dovere per forza implodere e nel giro di pochi decenni, ma essenzialmente negli ultimi anni, davvero tantissime cose sembrano essere cambiate: si denunciano le atrocità compiute nei macelli, nei laboratori di vivisezione, nel dietro-le-quinte dell’addestramento degli animali esotici nei circhi, si guardano con disprezzo attività quali caccia e pesca, sagre e zoo, per legittimate che siano. Persino nel campo dell’alimentazione, quella connessa alla pochezza della nostra (in)capacità di agire sugli irrinunciabili piaceri della gola, tante cose si muovono: un termine quale vegano, incomprensibile ai più fino all’altro ieri, è ora sdoganato in tanti bar e ristoranti; vengono pubblicati persino libri il cui titolo, “No vegan”,  sta a metà strada tra la supplica di chi non ne può più (“Basta, vi prego”) e l’appello di chi, seriamente  preoccupato,  passa al contrattacco (“Tutte storie”); maltrattamenti di animali d’affezione raramente hanno luogo in  pubblico e, quando succede, le conseguenze mediatiche sui responsabili sono dilaganti. Pur nella consapevolezza trattarsi di gocce nel mare, la tentazione di farsi invadere da una vaga soddisfazione, che attutisca il tormento sperimentato da tutti coloro che sentono nelle loro corde l’inferno quotidiano dei nonumani, è davvero grande.

sabato 18 marzo 2017

CAVALLI: QUELLA VITA CHE FU TENUTA A FRENO



Uno frustato nel maneggio di Capalbio, uno abbattuto nella corsa sul ghiaccio a St Moritz

Negli ultimi tempi i cavalli sono divenuti protagonisti di almeno un paio di situazioni di interesse mediatico: e, visto il trattamento che devono subire, davvero ne avrebbero fatto volentieri a meno.

Una notizia, riportata su alcuni media stranieri, ma non risulta su quelli italiani, riguarda la corsa ippica (27.02.2017) del White Turf di St Moritz, interrotta in seguito alla caduta rovinosa di un cavallo, Boomerang Bob: secondo consolidata norma, il fantino ferito è stato trasportato in elicottero in ospedale, il cavallo più sbrigativamente è stato soppresso. Stava correndo al galoppo sul ghiaccio, perché questo è il White Turf. Si potrebbe disquisire a lungo sul senso del costringere cavalli a correre  su un tale genere di “terreno”l e ancora di più sull’abitudine di risolvere le immancabili tragiche cadute con un colpo di pistola, che sembra spazzare via ogni responsabilità, poco cambia se ad essere teatro delle sconsiderate corse sono le nobili curve di Siena, i ghiacci elitari di St Moritz o le strade di una malfamata Catania.  Senza entrare ulteriormente nel merito, l’episodio è utile a sottolineare che questa è la norma per i cavalli fortunati, quelli cioè non destinati alla macellazione.

sabato 18 febbraio 2017

IL MILAN, MONTELLA E LE FAVOLE VEGANE




     
Difficile ignorare, anche se del tutto insensibili all’argomento, che il Milan in un paio di settimane è riuscito a inanellare la bellezza di ben  quattro sconfitte, in campionato e fuori: gran brutta esperienza, meritevole di approfondimenti su un numero impressionante di canali televisivi, impossibili da dribblare (sic!) se solo si fa un po’ di zapping. Farlo è comunque interessante perchè inaspettatamente immette nel vivo di animate discussioni sul veganismo, che deve essere diventato un fenomeno davvero inquietante se riesce ad invadere anche questo genere di spazi. E se ne scoprono allora della belle.

La faccenda è ormai risaputa: nell’ottobre scorso l’allenatore Vincenzo Montella stabilisce per la sua squadra un nuovo regime alimentare, con l’ausilio del preparatore atletico Emanuele Marra e sotto la guida della naturopata Michela Valentina Benaglia. Si comincia a parlare di dieta vegana, ma un po’ a bassa voce, con un interesse tutto sommato molto contenuto. Che resta tale fino ai giorni scorsi, quando le performances non proprio entusiasmanti dei  rossoneri hanno scatenato la caccia all’untore: individuato appunto nel veganesimo, rinato dalle ceneri dell’indifferenza per finire  lì sul banco degli imputati: sarebbe riuscito ad indebolire gli atleti, nel fisico certamente, ma anche nel morale, nella psiche. Un giocatore, coraggiosamente trincerato dietro un anonimato  forse degno di più temibili minacce, avrebbe confidato al giornalista “…mi alleno meglio con la carne rossa” (Pianeta Milan, 03.02.2017): il giornalista, comprensivo, afferma a commento che “l’istinto carnivoro comincia a farsi sentire”, sostenuto nella sua visione delle cose da un suo collega di Repubblica, Enrico Currò, il quale, umilmente, attribuisce valore scientifico alle proprie convinzioni quando afferma che “…la carne rossa…tra l’altro è parte importante della dieta da calciatori”. Si, sì: proprio quella inserita nell’elenco degli alimenti “probabilmente cancerogeni” dall’OMS (Lancet Oncology, 26.10.2015). All’ a.d. Galliani non resta che giocare sulla difensiva (sic!) e rassicurare che quella imposta non è una dieta vegana, ma vegetariana (Corriere dello Sport, 5 febbraio)! Così magari i tifosi si tranquillizzano nel sentire che i loro eroi sono sì sottoposti a sacrifici, ma non estremi.  Di sacrifici e rinunce non si astiene dal parlare lo stesso Montella, severo sì, ma consapevole che la dura scelta è il prezzo da pagare sulla via della gloria (che magari arriverà).