martedì 19 agosto 2014

SCAPPA, DANIZA!



  
Esiste un meccanismo, ben noto agli studiosi di psicologia sociale, che fa capo ad un  principio definito di "contrasto percettivo", uno schema automatico di comportamento di cui facciamo spesso uso, anche senza  esserne consapevoli: consiste nel fatto, in fondo banale,   che una situazione appare molto diversa a seconda di ciò che l’ha preceduta. In alcuni laboratori di psicofisica il principio viene illustrato agli studenti, invitati a sedersi davanti a tre vaschette piene d’acqua: la prima gelida, la seconda a temperatura ambiente, la terza calda. Lo studente mette la  mano sinistra nella prima e la destra nella terza, poi entrambe le mani, contemporaneamente, nella seconda. Si accorge con sorpresa che le sue mani, pur immerse nella stessa acqua, la percepiscono in modo molto diverso : la mano che era stata nell’acqua gelida la sente calda, la mano che era stata nell’acqua calda la sente fredda.
Dal laboratorio alla vita quotidiana, il principio spesso entra in azione,  ci condiziona e talvolta viene debitamente sfruttato da chi sa declinare le sue conoscenze in comportamenti. Non sappiamo se le autorità del Trentino siano ferrate in materia, ma di certo hanno fatto un uso sapiente di questo meccanismo nell’occuparsi dell’orsa Daniza, rea di avere difeso i suoi cuccioli da un cercatore di funghi che, anziché mantenersi a doverosa distanza, si era avvicinato tanto da farle temere per l’incolumità dei suoi piccoli: dapprima è circolata la notizia che l’avrebbero uccisa, il chè ha   innescato una prevedibile ondata di proteste; nel giro di 24 ore la decisione si è trasformata in  quella di trasportare Daniza  in un luogo recintato, e lì lasciarvela. Proprio in virtù del contrasto percettivo, a molti la soluzione è apparsa tutto sommato non così terribile: non la morte, ma una vita da trascorrere in un luogo, chiuso, ma dove avrà cibo e acqua, senza doverseli procurare con fatica: in fondo, non è poi un’infamia.
Ma se l’acqua a temperatura ambiente tale resta indipendentemente dal fatto che venga percepita fredda o calda, anche  questa realtà ha una sua essenza, che non può essere in funzione di quanto prima paventato: è  quella di un’orsa, rea di nessun delitto, condannata al carcere con fine pena mai, privata quindi della libertà, che per ognuno è il bene più prezioso, allontanata dai suoi cuccioli, che, come i figli di ogni reclusa, dovranno pagare, pur senza colpa, una punizione accessoria, condannati a crescere senza guida, affetto e protezione, orfani di una madre vivente: l’ergastolo a vita, insomma, per l’orsa Daniza a  fronte della precedente condanna a morte. E per i suoi cuccioli un futuro monco.
Per poter giudicare la vicenda, occorre partire dall’antefatto: l’orsa Daniza mai aveva chiesto, 14 anni fa,  di entrare da protagonista in   un progetto squisitamente umano, quale quello pomposamente denominato LIFE URSUS; non fu interpellata prima di essere prelevata e trasportata in camion a ripopolare con la sua grande mole una zona alpina; non si ribellò, non era in grado, e nulla ha mai fatto di male da allora nei confronti di quegli uomini che pure tanto disinvoltamente giocano con il suo destino.
Dalla presa in considerazione  delle istanze contenute in questa azione di prevaricazione prendono l’avvio le articolate considerazioni di coloro che si schierano dichiaratamente per la libertà di Daniza, perché rifiutano di accettare l’ ottica perdutamente antropocentrica che vede in  uno splendido animale solo un oggetto di “ripopolamento”, da spostare qua e là a seconda del pensiero dominante del momento, oggetto passivo nelle mani di umani che si ritengono signori e padroni della sua vita e della sua morte.
A quelle ampiamente comparse in rete, è importante aggiungere un’ulteriore riflessione, tesa a cogliere la relazione  tra lo sconsiderato atteggiamento delle autorità del Trentino e il brodo di cultura in cui ci si muove,  che autorizza l’Umano a considerarsi in diritto di punire qualsiasi  animale, nel momento in cui il suo interesse entra in collisione o semplicemente non collima  con il proprio.
Si attribuisce la colpa alla vittima, così da trasformarla in carnefice: è il meccanismo che scatena periodicamente guerre distruttive, una volta  contro i bovini, portatori ahimè non sani del morbo della mucca pazza, un’altra  dei volatili, rei di  trasportare  l’influenza aviaria; ci sono poi le nutrie, a cui attribuire i dissesti idrogeologici di un paese allo sbando. L’eco di un sospetto, un opportuno capro espiatorio incapace di difesa,  e si parte  con gli eccidi, che portano con sé una crudeltà che si considera giustificata dall’intento fortemente punitivo che li anima: a fronte della consuetudine dei macelli di “lavorare” lontano da occhi indiscreti, l’eliminazione brutale  in questi casi avviene anche davanti alle telecamere, nella convinzione che la punizione del colpevole sarà apprezzata dai cittadini, perché si tratta di una guerra, guerra di difesa da un nemico pur inconsapevole di esserlo. Siamo in molti a ricordare gli schermi di pochi anni fa, che si popolavano di  volatili sotterrati vivi o chiusi vivi in enormi sacchi, le mucche che sbandavano e cadevano; e oggi ad apprendere,  sbalorditi, che la caccia alla nutria è aperta e che le pallottole sono gentile omaggio di amministrazioni provinciali zelanti.
Altre volte non sono specie, ma sono singoli individui animali a subire la condanna a morte:  cani che azzannano, perché frutto di scellerate trappole genetiche o perché allevati per farne macchine da guerra o perché messi in situazioni inadeguate; coccodrilli che, ma guarda un po’,  chiudono le fauci su un umano caduto nelle acque che loro frequentano perché di casa loro si tratta; squali affamati. E come non ripensare all’orso Bruno, che il 26 giugno  2006 fu deliberatamente ucciso, perché, malauguratamente sconfinato in Baviera dal Trentino dove, anche lui, era stato “immesso”, si permetteva di uccidere capi di bestiame, destinati all’uccisione esclusiva da parte umana? Le notizie date dai media terminano in genere rassicurandoci che “l’animale è stato abbattuto”, a volte ad opera della ASL, altre  di cacciatori, trasformati in giustizieri, o di volenterosi cittadini opportunamente incitati a entrare nei panni del  vendicatore.
Alla ricerca di nessi, che non giustificano, ma permettono di ricostruire la trama degli eventi, è utile anche ricordare ciò che per secoli ha avuto luogo in Europa, a partire dal Medio Evo: gli animali colpevoli di avere  provocato danni agli uomini potevano subire un regolare processo, nelle aule di “giustizia”, dove venivano condotti talvolta vestiti con panni umani, e una conseguente condanna, condanna che aveva la stessa atrocità riservata agli uomini per cui torture irriferibili precedevano l’eventuale esecuzione capitale. Non si trattava di eventi isolati perché gli studiosi riportano molti casi di “bestie delinquenti” e dell’epilogo di maiali lapidati e buoi impiccati: spettacoli per altro incapaci di sollevare pubblico sdegno in epoche in cui erano frequenti gli spettacoli altrettanto sciagurati di donne bruciate come streghe, che suscitavano non orrore, ma compiacimento. 
Ma arriva da un altro tempo e da un altro luogo l’immagine tragica della grande sagoma dell’elefantessa Mary, impiccata sulla pubblica piazza davanti a 2500 persone: era il 13 settembre del 1916, e si era nel Tennesee. La grande Mary si era ribellata, uccidendolo, ad un giovane operaio che, pare,  la pungolava con un gancio durante una sfilata perché si era fermata a raccogliere una fetta di cocomero. In questo caso non fu un tribunale, né civile né ecclesiastico, ma il proprietario del circo Sparks World, in cui Mary era costretta a vivere e “lavorare”,  a decidere che la pena capitale era la risposta adeguata: doveva essere esemplare e quindi avere luogo pubblicamente. Il chè regolarmente avvenne;  come spesso succede ai  condannati a morte, nulla fu risparmiato a Mary, prima costretta ad un viaggio della morte, poi issata con una gru sul patibolo e poi “giustiziata” non senza dover prima passare attraverso alcuni tentativi falliti, che resero se possibile ancora più inaccettabile la sua inaccettabile fine.
Si potrebbe continuare all’infinito: Daniza che difende i suoi piccoli e che per questo viene condannata, è solo l’ultimo caso, in ordine di tempo, di un animale che non fa altro che esprimere le proprie caratteristiche di specie e che per questo viene punito dall’uomo. Uomo il cui giudizio, sempre guidato dall’interesse,  in queste situazioni sembra equiparare a sé gli animali, riconoscendo loro la responsabilità di scegliere tra bene e male, li ritiene colpevoli di comportamenti che violano la pacifica convivenza interspecifica stabilita secondo parametri esclusivamente umani; lo stesso uomo che, in ogni altro contesto, tratta gli stessi animali come esseri inferiori quando non semplicemente cose.
In attesa che l’Homo Sapiens si chiarisca le idee, non si può che stare dalla parte di Daniza, che vorremmo maestosa e libera come la sua natura vuole, Daniza che difende i suoi piccoli dall’uomo, perché pensa (e come darle torto?) che di lui non sia proprio il caso di fidarsi.

17 commenti:

  1. Grande emozione per questa lettura che condivido pienamente. L'uomo ritiene di poter disporre della Natura, mai considerando di essere egli stesso un suo ospite con pari dignità rispetto alle altre specie viventi.
    Nel caso in specie, l'diozia di un soggetto malato (il Maturi...) viene fatta pagare al l'orsa che, coerentemente con il suo status di mamma ha difeso i suoi cuccioli, neanche uccidendo l'incauto (?) fungaiolo.
    Ora, il destino del povero animale è in mano alla POLITICA e, proprio per questo, non ci si aspettano decisioni tecnicamente corrette, nè di buon senso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Siamo sulla stessa lungheza d'onda: chissà, forse il numero di quelli che si oppongono a questo stato di cose è maggiore di quello che pensiamo. Piacere di conoscerti, Renzo.

      Elimina
  2. Complimenti Annamaria. C’è sempre molta professionalità, oltre che empatia in ciò che scrivi. Ha irritato anche me il fatto che a molte persone la soluzione della cattura, al posto dell’abbattimento, sia parsa tutto sommato una buona soluzione perché ciò significa non avere la minima percezione del valore della libertà. E dire che gli umani fanno parecchio in ogni angolo di mondo per conquistarla! Eppure la vietano agli animali, riducendoli a prigionieri eccellenti: mangiare, bere, dormire, muoversi un pochino ma non troppo, sottoporsi a controlli sanitari e via così fino alla morte. Il progetto LIFE URSUS, come altri deliranti progetti, a qualcuno avrà pur fatto comodo, in termini economici… Che cosa importa se l’animale è un oggetto di ripopolamento? Gli animali sono abituati a essere oggetti e a Daniza e compagnia è toccata questa funzione. Come scrive Renzo, la sua vita dipende dalla politica, e questo può bastare per non dormire sonni tranquilli.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Tu Paola sai bene che dovunque si guardi ci sono modi di prevaricare gli animali, anche quando non si arriva a shiavizzarli e ucciderli. E' un mondo da ribaltare. E la politica intorno è disperante. Un abbraccio comunque.

      Elimina
  3. ..parole che emozionano e toccano il cuore..speriamo veramente che l' 'umanità' e il buon senso prevalgano in questa situazione

    RispondiElimina
  4. pensare che gli indiani lo sapevano che condividiamo questo pianeta con gli animali, non abbiamo NESSUN DIRITTO in più di loro!..e glielo stiamo distruggendo!!! spero solo che sempre più persone lo "sentano" che è così! Grazie a tutti voi che esistete!

    RispondiElimina
  5. Perfettamente d'accordo, Isabella. Diritto violato ogni giorno in ogni luogo.

    RispondiElimina
  6. Ciao a tutti. Grande articolo che mette in evidenza quanta mancanza di giustizia c'è nel mondo. Annamaria, sto leggendo il tuo libro "Sulla cattiva strada" che mi risulta schiacciante e triste, molto triste. Ma quello che mi stupisce di più è l'impunità. Mai non c'è nessun condannato importante, mai va chiusa un'azienda la cui attività ha distrutto l'abitat naturale di centinaia di especie.... e via dicendo. Nonostante le leggi, cosa potremmo fare pre riequilibrare il bilancio? Non c'è un modo di fermare l'olocausto animale?
    Beh, scusate lo sfogo, non sono un radicale. Vorrei soltanto sapere un modo di fare qualcosa di utile al riguardo.

    Buona giornata!
    Salvador

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Salvador, a me sembra che le questioni con cui abbiamo a che fare siano schiaccianti. Penso anche che il fatto che non siamo in grado di risolverle non debba significare non agire. Non so dove sia la soluzione e nemmeno se una soluzione a tutto il disastro intorno esista. credo però che se ognuno fa la sua parte, con decisione, indipendentemente dai risultati che tanto spesso non arrivano, magari qualche cosa può anche cambiare. Abbiamo una sola vita a disposizione: usiamola nel modo che riteniamo il migliore possibile.Piacere di conoscerti!

      Elimina
  7. Ho letto con le lacrime agli occhi, ogni volta che accadono fatti di questo tipo aumenta il mio senso di colpa nei confronti degli animali e della natura in genere e diminuisce la stima e fiducia nei confronti dei miei simili, ma quel che è paggio è che sono consapevole che nulla cambierà mai.

    RispondiElimina
  8. Cara Patrizia, l'epilogo di questa vicenda è stato il peggiore. Dopo la commozione bisogna però ricominciare. Ci sono miliardi di cose da fare per gli animali: farne almeno qualcuna è l'unico modo secondo me per controllare l'angoscia. Un abbraccio

    RispondiElimina
  9. Bellissimo articolo Patrizia, che dimostra l'ottusità della specie umana. Vorrei fare una precisazione quando scrivi "rea di avere difeso i suoi cuccioli da un cercatore di funghi che, anziché mantenersi a doverosa distanza, si era avvicinato tanto da farle temere per l’incolumità dei suoi piccoli" Daniza infatti proprio quella mattina, è stata importunata da ben due soggetti diversi, e non da un solo individuo. Di questo fatto non si è parlato abbastanza, credo. Un certo Martino Maffei, ha dichiarato alla stampa di aver incontrato pochi minuti prima del fatto, daniza con i propri piccoli, e di averla seguita per più di 100 metri, con il bastone. Ho sempre ritenuto importante questo fatto, e quindi la sua reazione dovuta ad una evidente minaccia, è del tutto legittima, anzi, l'uomo al suo posto, avrebbe fatto di peggio. Ho trovato tra l'altro strano che non si siano fatte indagini a proposito, in quanto, il tutto potrebbe essere stato oggetto di macchinazione.

    RispondiElimina