sabato 12 ottobre 2013

CAPITINI E GLI ANIMALI

“Il vegetarianesimo è in stretto rapporto con i problemi morali e religiosi, ed anzitutto con il problema dei fini e dei mezzi.”
                    (Da "Aspetti dell’educazione alla non violenza")
Aldo Capitini diventò vegetariano nel 1932, in pieno regime fascista e mentre cominciavano a soffiare venti di guerra: non fu un caso perché la decisione era parte della sua opposizione al clima di sopraffazione in atto e a quanto si preparava ad avvenire; era infatti sua precisa convinzione che, se si fosse imparato a non uccidere gli animali, a maggiore ragione si sarebbe risparmiata l’uccisione di uomini.
Da questo fondamentale assunto il suo pensiero prese a snodarsi, anche nel campo dei rapporti interspecifici, in senso assolutamente avanzato, pacifista, controcorrente: parlò dei doveri morali che abbiamo nei confronti degli altri animali, con i quali abbiamo innegabili vincoli di parentela, e sottolineò come la scelta nonviolenta nei loro confronti abbia delle ricadute sul nostro modo di essere e di percepirci, sulla nostra stessa disposizione d’animo, che diventa più benevola, sulla nostra autopercezione come persone più franche, calme, affettuose. Porre fine alla leggerezza sterminatrice e alla freddezza utilitaria normalmente impiegate nello sterminio degli animali si riflette in accrescimento di valore interiore.
Era perfettamente conscio di quanto il vegetarismo sia in stretto rapporto con i problemi morali e religiosi e della necessità che l’universo dei nostri rapporti con gli animali debba essere modificato in tutte le sue manifestazioni: se è doveroso non nutrirsi di animali, è consequenziale la condanna delle pellicce come abbigliamento, della caccia, della vivisezione, della tauromachia, dell’uso degli animali sulle scene, nei circhi, negli zoo.
La sua perorazione di un diverso approccio con il mondo degli animali, pur contenendo elementi di compassione nei loro confronti, li travalicava con un pensiero che contemplava un cambiamento esistenziale, vicino all’approccio orientale, buddista, jainista, delle filosofie sviluppatesi a contatto con la natura, che hanno inserito gli animali nel proprio universo.
Un pensiero quindi, quello di Capitini, che si mostra, anche in questo campo, lapidario, rivoluzionario, estraneo a edulcorazioni e mitigazioni atte a renderlo accettabile da una opinione pubblica del tutto impreparata ad accogliere idee in grado di capovolgere tante certezze e luoghi comuni.
Il suo vegetarismo e la sua convinzione della necessità del rispetto per gli animali si inseriscono perfettamente nel suo ideale di vita pacifista e nonviolenta, e ne diventano un tassello imprescindibile, musica di fondo del suo pensiero che va concretizzandosi tra l’altro, nei primi anni ’50 nella fondazione, insieme a Edmondo Marcucci, della Società Vegetariana Italiana (ancora oggi attiva con il nome di Associazione Vegetariana Italiana) e nell’organizzazione a Perugia di un convegno su La nonviolenza riguardo al mondo animale e vegetale.
Quanto le sue idee fossero progressiste emerge se solo si osserva lo stato delle cose attuale, vale a dire quanto le sue affermazioni convinte e apodittiche stiano ancora oggi faticando per acquisire diritto di cittadinanza nel pensiero comune, pur dopo molti decenni segnati da enormi cambiamenti in tutti i campi, che hanno comportato l’acquisizione diffusa, nel mondo occidentale, di una progressiva marcata sensibilità verso gli animali.
Basta pensare che le sue asserzioni secondo cui la crudeltà contro di loro è intimamente connessa a quella intraspecifica è stata presa in considerazione a livello psicologico solo negli anni ’80, per altro con molta prudenza e un tocco di maggiore timidezza di quanto lui non fece, ufficializzandola con l’inserimento nel DSM, Manuale dei Disturbi mentali in uso in tutto il mondo occidentale.
E ancora oggi moltissimi correlati a questa teoria continuano ad essere ignorati a livello politico, dove forme di immobilismo mentale, incapacità di una doverosa assunzione di responsabilità civili, interessi di parte inducono a millantare per occasioni di divertimento pubblici abusi sugli animali.
Si ignora o si finge di ignorare non solo la grande ingiustizia nei confronti degli animali, ma anche il fatto che spettacoli, quali sagre che li tormentano o il dietrolequinte del loro addestramento per i circhi, sono scuola di indifferenza quando non di palese induzione alla crudeltà per i bambini che sono invitati a divertirsi sull’altrui dolore.
Per altro Capitini ebbe immediata controprova delle sue intuizioni: il suo vegetarismo, che non poteva passare inosservato alla mensa della Normale di Pisa, dove lavorava, produsse una reazione di estrema preoccupazione nel filosofo Gentile, che temeva una reazione destabilizzante sugli studenti: la realtà era ed è che un approccio nonviolento nei confronti degli animali è di fatto destabilizzante in quanto rovescia la struttura stessa della società, con le sue gerarchie e rapporti di potere: scelta assolutamente mite che comporta, e Capitini lo sapeva bene, ricadute fondamentali.
La situazione non appare modificata oggi, se è vero che il veganesimo, che è il necessario approdo del vegetarismo, è visto ancora con grande sospetto: perché l’assoluto rispetto per gli animali porta con sé un attacco mortale all’antropocentrismo e a tutti i rapporti di potere, a cui sostituisce un ideale necessario di armonia cosmica.
Capitini, come i grandi pacifisti della storia, Tolstoj, Schweitzer, Gandhi, ne era del tutto consapevole: un ideale nonviolento non può per sua stessa natura fermarsi ai confini dell’umano ed ignorare i miliardi di esseri viventi di altre specie, che convivono con noi. Prendere atto della necessità di coinvolgerli in un progetto cosmico di riequilibrio dei rapporti di forza è di fatto atto estremamente rivoluzionario, di quella rivoluzione nonviolenta di cui Capitini era convinto assertore.
Se è vero che il suo pensiero non si è diffuso come la pregnanza delle sue idee avrebbe meritato, è ancor più vero che la parte delle sue teorie riferite al vegetarismo lo sono state ancora meno.
Si tratta di un errore, di un limite da interpretare in un’ottica complessa: nella scala gerarchica di chi detiene tutti i privilegi giù giù a scendere verso chi è depositario di diritti sempre minori e poi di nessun diritto, gli animali occupano l’ultimo gradino.
Sarebbe ovvio aspettarsi che chi ha a cuore un’idea di giustizia e di rispetto universale sia ad un passo da quel gradino e, pur con tutte le difficoltà del caso, si provi a scenderlo.
La realtà è molto diversa e ciò che accade è invece che proprio i paladini dei diritti di tutti, i combattenti contro tutte le ingiustizie democraticamente sparse per il mondo siano spesso i meno coinvolti nella questione animale: movimenti solidaristici, organizzazioni umanitarie, “partiti di sinistra” (con tutte le virgolette del caso) sembrano i più decisi a fermarsi ai confini dell’umano, a disinteressarsi di tutta la sofferenza esistente subito al di là di tale confine, come se il farlo fosse fonte di vergogna e testimoniasse interessi bagatellari.
E’ invece del tutto necessario e improcrastinabile invertire la rotta, ripartendo anche da qui: dalle celebrazioni della giornata della pace, dalle annuali marce, che devono propugnare e sostenere la nonviolenza come comportamento non settoriale, perché per sua stessa natura non lo può essere, ma stile di vita nei confronti di tutti i viventi.
In nome di quella rivolta morale a tutte le ingiustizie e a tutto il dolore in cui quotidianamente facciamo sprofondare tutti gli altri animali.

10 commenti:

  1. Bel post, grazie non conoscevo Capitini. :)

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    1. A te Enrico. In effetti anche il mondo animalista, a parte poche lodevoli eccezioni, non ne parla un gran chè.

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    2. GRAZIE MILLE DAVVERO!!!!
      Non conoscevo Capitini. Articolo molto esaustivi e interessante.

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    3. Che il pacifismo debba contemplare il vegetarianesimo è in effetti una convinzione non da poco!

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  2. Bellissime riflessioni su Capitini. Come hai scritto tu, posso immaginare che il suo vegetarismo non potesse passare inosservato alla mensa della Normale di Pisa! Altroché se era "destabilizzante"! Certe volte mi sento destabilizzante io a sedermi a certe tavole nel 2013, immagino nel 1932... Ho inviato questo articolo a un amico (onnivoro) che si dichiara orgogliosamente pacifista e che vede Capitini come un suo mito... mica poi tanto mito perché non sapeva neppure che fosse vegetariano. Lo ha letto e mi ha risposto "Interessanti questi collegamenti tra vegetarismo e pacifismo." Capito? Adesso lo sa anche lui. Speriamo che il suo pacifismo si apra presto al mondo veg. Paola

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    1. Sembra sempre di dire cose scontate: non ci si rende conto quanto invece ci sia da chiarire! Beh, dai, ogni volta qualcosa succede. Grazie per l'apprezzamento, Paola, e per la diffusione.

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  3. Grazie per averci parlato di questo filosofo.
    Sono andata a leggere qualcosa su di lui, è stato lui a fare la prima marcia per la pace fino ad Assisi, e in quell'occasione è stata inventata la bandiera della pace!
    Io che seguo sempre queste cose, non lo conoscevo.
    Non si finisce mai di conoscere e di imparare!
    Marta

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  4. Che il pacifismo sia estraneo ai movimenti di non violenza (di cui l'antispecismo fa da apri pista) non dovrebbe stupire più di tanto, proprio perchè la società Umana, così come è arrivata fino ad oggi, è stata principalmente fondata sul carnismo e su ogni aspetto consequenziale. Mangiare carne (e quindi sfruttare gli Animali) è sempre stata la legge fondamentale imprescindibile da ogni consapevolezza, proprio perchè garantiva la conservazione del potere deterrente. Se l'opposto dello specismo è una nuova società libera...non possiamo aspettarci tante discordanze, almeno sarebbe logico che non ce ne siano.

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    1. Ci sono tante visuali da cui parlare di antispecismo. Dal mio punto di vista, quella pacifisat, in tutte le sue declinazioni, è fondamentale. Tante cose stanno succedendo: vediamo dove si va a parare. E intanto facciamo la nostra parte. A presto

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