martedì 24 settembre 2013

DALLA ROMANIA CON DOLORE




“Uomini chiamati rosticcieri-trattori si mettono in mezzo alla strada per affondare il coltello nel dorso di un agnello belante (….); poi si abbandona lo sventurato animale che, dopo avere perduto il sangue goccia a goccia, spira con una lunga agonia. Questa scena, che si rinnova a tutte le ore del giorno, ha per spettatori tutti i bambini del vicinato i quali, già  intrepidi come il vittimario[1], insultano l’agnello immolato”.

Questo passo fu scritto da Sylvain Marechal, giornalista e scrittore, verso la fine del 1700; descrive la situazione della città di Parigi, in cui i macelli erano all’aperto, e operavano in continuazione sotto gli occhi di tutti, fornendo uno spettacolo straziante a cui rispondeva da una parte l’indifferenza dei passanti, dall’altra il tifo per il più forte da parte dei  bambini, lì ad imparare la lezione quotidianamente impartita.

Sono trascorsi da allora ben più di due secoli, che hanno visto cambiamenti epocali nei confronti della esibizione della violenza e  anche della considerazione che abbiamo degli  animali, ma davvero “sei ancora tu, uomo della pietra”:  le notizie che arrivano dalla Romania richiamano le immagini che prendono corpo nelle parole di Marechal, con i cani che hanno preso il  posto degli agnelli . Quello che sta succedendo in questi giorni è la conseguenza di  un fatto oscuro di cronaca che ha visto la morte atroce di un bambino, imputata all’aggressione di un cane di strada, nonostante si dica vengano nascoste in realtà  ben altre oscenità, visto le voci che si rincorrono sul fatto che si tratterebbe in realtà di  un omicidio ad opera di pedofili, poi più o meno abilmente camuffato.  Indipendentemente da quale sia la verità, l’episodio si è subito trasformato in occasione per la recrudescenza di una mai sopita  caccia al pericoloso criminale, colpevole di ogni male, criminale  individuato non in uno, ma in tutti i cani rumeni, costretti da una orrida politica al riguardo a fare vita randagia, sempre sottoposti ad angherie di ogni tipo.

L’episodio, qualunque sia la dinamica reale che lo ha determinato, è comunque solo la causa occasionale di quella guerra aperta contro i cani, che era lì pronta a scatenarsi. Non esistono  guerre che  scoppiano per caso né all’improvviso: c’è una preparazione che è fatta non solo di produzione  di armi, ma soprattutto   di organizzazione e istigazione all’odio per il “nemico”: è solo a queste condizioni che un accadimento imprevisto porta in tempi brevissimi alla esplosione di quella violenza, che viene incanalata nella apertura delle ostilità , in realtà  rigonfie di ben altre ragioni per deflagrare.

L’assassinio di Sarajevo non avrebbe provocato il primo conflitto mondiale, se non ci fossero stati a disposizione l’apparato bellico messo a punto da tanti stati e la contestuale esaltazione del militarismo;  gli stati occidentali non sarebbero corsi a combattere  contro Saddam Hussein se non avessero passato decenni a costruire infernali arsenali di guerra, preparando gli animi con il richiamo ossessivo alla necessità della difesa e della sicurezza.  

La guerra ai cani della Romania, con la pretesa  di leggi che la legalizzino, non è la conseguenza della drammatica morte del bimbo di 4 anni: è preparata da lungo tempo in questo caso non con la riserva di  armi, perché i diligenti esecutori del volere comune se la cavano benissimo con sassi e bastoni, sempre a portata di mano, ma con l’opportuna educazione  delle coscienze: si fa esplodere nella popolazione un’aggressività tenuta sempre desta, alimentata dalla propaganda della pericolosità dei cani, che è solo frutto  dell’abitudine ad  affamarli, terrorizzarli, favorirne  l’organizzazione in  branchi; perché è certo che uccidere a bastonate migliaia di animali con tanto zelo e scrupolosità richiede una crudeltà cieca e feroce, che necessita di opportuno addestramento, addestramento compiuto con le uccisioni che nel tempo non si sono mai fermate, ma sono solo meno concentrate ed esibite.  

L’attuale richiesta di leggi che legalizzino il massacro è solo la punta dell’iceberg di una situazione diffusissima; solo un anno fa è stata la volta dei cani dell’Ucraina, rei di imbrattare il panorama territoriale incompatibilmente con la necessità di dare al mondo un’immagine linda e civile del paese, che ospitava i campionati europei di calcio. Anche allora parte dell’opinione pubblica internazionale (ma solo quella non obnubilata dalla festa del pallone)  restò basita davanti a tanto orrore e levò vibrantissime quanto inutili proteste. Si tratta del ripetersi di   episodi eclatanti, in grado di smuovere con  l’eccezionalità dei numeri un osservatorio  internazionale altrimenti distratto: ma  si inseriscono su una tragica metodica quotidianità di molti paesi, in cui le leggi a difesa degli animali sono primitive o del tutto inesistenti, di cui veniamo a conoscenza con tutti gli orridi particolari di accompagnamento grazie alla tecnologia e alla fulminea capacità della “rete” di informare tutti e subito.

Le testimonianze sono gallerie degli orrori allo stato puro; le descrizioni  ci coinvolgono e ci travolgono anche perché riguardano i cani, che nel nostro mondo sono non solo tra i più amati, ma anche vero ponte tra noi e tutti gli altri animali:  ne conosciamo la vita emotiva e sentimentale articolatissima, la capacità di gioire, la vulnerabilità alla paura, la tensione verso una relazione vivacissima fatta di attaccamento, di propensione alla condivisione del tempo e dello spazio; sappiamo quale incredibile capacità di intuire il nostro pensiero faccia parte di quel loro universo che non finiamo mai di scoprire con ammirato stupore. E sappiamo quale dolore possono causarci con la  loro perdita e l’incolmabilità del loro andarsene. Ecco:  sono loro quegli esseri che vengono oggi in altri paesi perseguitati, terrorizzati, uccisi a colpi di bastone, lasciati ad  agonizzare in mezzo al loro stesso sangue mentre contro il loro corpo martoriato si imperversa ancora un po’ e non importa se sono cuccioli persi di paura, cagne che stanno partorendo, scheletri vaganti in cerca di compassione.

Le stragi in atto, quelle già compiute e  quelle programmate, devono suscitare  una rivolta civile contro questa violenza, nella consapevolezza che è coltivata giorno per giorno e che quindi contrastarla significa non solo  intervenire per bloccare una legge barbara, ma rimettere in discussione un modello di civiltà, che non riconosce diritti agli animali e considera legittimo ogni sorta di maltrattamento a loro carico . Contestualmente bisogna riflettere sulle proporzioni e valenze enormi del coinvolgimento delle giovani generazioni: si tratta  di una violenza che è accettata, esibita, giustificata con ragioni che attengono la difesa degli umani, la necessità della sicurezza, nonché una totale svalutazione delle vittime, i cani, visti e considerati alla stregua di nemici pericolosi, indegni quindi di pietà: tanto che  il massacrarli è ritenuta azione meritoria, degna di plauso  e ammirazione.

Quale educazione ai bambini? La risposta è scontata: il loro senso morale si forma su questi insegnamenti: ciò che fanno i loro padri, zii e nonni è ciò che loro imparano e prima e meglio lo faranno tanto più godranno del plauso degli adulti e la loro autostima crescerà insieme alla stima di cui sono alla ricerca. Una violenza tanto cieca, sordida, oscena ripropone e riproduce se stessa: quei bambini, quegli adolescenti stanno imparando una precisa lezione, che li allontana  dalla pietà e dall’empatia; crescono nuove generazioni che perpetuano il non  riconoscimento della  sofferenza dell’altro e l’idea del mondo come il luogo della prepotenza e della crudeltà. Questi bambini sono gli eredi e i discendenti di quegli altri, che secoli fa e in altri luoghi , lo scrittore Marechal guardava con sgomento essere già dalla parte del più forte e incredibilmente metterci del loro per incrudelire un po’ di più sugli agnelli tormentati e agonizzanti, già senza forze e incapaci di difesa: davanti all’enorme ingiustizia in atto, imparavano la lezione della prevaricazione, della crudeltà, del diritto del più forte.  

Inutili e fuorvianti sono i discorsi che si levano a condannare in toto i rumeni, come ieri gli ucraini e come tutti i giorni i cinesi e gli altri popoli autori di pubbliche atrocità sugli animali; degli uni chiediamo l’espulsione dall’Unione Europea, degli altri l’espulsione da che? In ogni caso non è costruendo un cordone sanitario che li  isoli nel loro contesto che i cani si salveranno, che anzi questo li condannerebbe in modo assoluto e definitivo, in assenza di qualsiasi forma di controllo.

Non possiamo per altro non riflettere sulla nostra di storia, di noi che affondiamo le nostre radici in quegli abomini pubblici che sono stati gli spettacoli dell’impero romano: non siamo stati confinati insieme ai nostri orrori, ma abbiamo fatto un percorso di progressivo allontanamento dall’esaltazione pubblica della violenza contro gli animali. Pur tacendo di allevamenti intensivi e macelli, non possiamo per altro ignorare ciò che nel mondo occidentale  ancora oggi avviene e che ripropone su altri animali esattamente ciò che in Romania avviene sui cani: anche da noi come da loro puntualmente si scatena la caccia all’untore, che a volte è impersonificato dai bovini, colpevoli del dilagare, vero o presunto, del morbo della mucca pazza, in realtà resa pazza dalla nostra stessa follia, a volte dai volatili, che forse magari chissà potrebbero diffondere l’influenza aviaria, dal momento che le condizioni in cui li costringiamo ne sono il terreno ideale. Alla prima avvisaglia la carneficina si scatena contro un numero smisurato di animali che vengono gasati, bruciati vivi, sotterrati ancora prima di essere morti. Certo, non sono cani, ma davvero basta questo ad assolverci? Certo: le carneficine avvengono in genere dietro le quinte, non nei luoghi pubblici, in genere lontano dalle telecamere, per lo meno da quando i media hanno dovuto prendere atto che certi loro servizi informativi avevano agitato un’opinione pubblica non sufficientemente  preparata e quindi riottosa davanti alla presunta normalità di quanto vedeva. Così, prudentemente, in ossequio al volere del potere, hanno preso l’abitudine di esercitare il  dovere di cronaca con molta parsimonia, relegando la notizia in qualche trafiletto interno, da cui per esempio apprendiamo, se per caso riusciamo a  scovarlo, dell’uccisione in queste stesse settimane di un milione di volatili in Emilia Romagna .

Prendiamo atto, nel giudicare gli orridi accadimenti della Romania, anche di quanto succede da noi, dove la difesa di alcune specie di animali è contestuale all’inferno a cui condanniamo tutti gli altri, e come troppo spesso una politica di nascondimento e occultamento sostituisca i cambiamenti reali.

E’  assolutamente necessario intervenire con tutti i mezzi leciti per salvare i cani rumeni, e perché tutte le leggi di tutti gli stati siano davvero in sintonia con la  formazione di una coscienza individuale e collettiva che la violenza la contrasti davvero, contro qualunque specie di animale, esibita o occultata che sia. Ne siamo purtroppo anni luce distanti.  






[1] Termine con cui, nel rito sacrificale romano antico, veniva indicato l’assistente del sacerdote sacrificatore, che legava la vittima e preparava l’immolazione.

6 commenti:

  1. Milioni di animali vengono sterminati tutti i giorni dell'anno, davanti all'indifferenza dei governi di tutto il mondo ma davanti ai cani, i migliori amici dell'uomo, spesso fa capolino un briciolo di sensibilità. Questo strage è una sconfitta per tutto il mondo.
    Paola Re

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    1. Lo capisco bene, Paola, che ci sono motivi per inorridire senza interruzione: ma a volte certi avvenimenti scuotono le coscienze, come è stato il caso di Green Hill, di chi la coscienza la lascia dormiente. Visto che le ignominie succedono, facciamo dirompere le reazioni.

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  2. Guerra, dici bene, Annamaria, mi colpisce moltissimo questa tua riflessione.
    Ogni anno c'è una guerra - per esempio, ed è il più immediato, perché della guerrta ha tutte le esteriorità - contro cinghiali, cervi, caprioli, 'colpevoli' di 'invadere' campi e abitati umani, crrature pericolose in ogni senso, odiose dunque odiate; adesso, s'è scatenta la guerra alle orride nutrie, così simili a topi giganti, responsabili persino di crolli, frane, smottamenti. E poi, mi vien da pensare, che infien, qualcuni vorrebbe anche una guerra contro quegli umani 'estremisti' che gli animali - questi e tutti gli altri - li difendono, li proteggono, li rispettano e li amano.

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    1. Guerra sempre contro i più deboli, capro espiatorio di tutte le nefandezze umane, Quegli estermisti degli animalisti invece basta deriderli dall'alto del pensiero dominante. Un abbraccio Giovanni.

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  3. La mia cagnolina è stata salvata da Save the dogs, chi l'ha avuta prima di me in Romania, l'ha sicuramente amata, poi chissà perché è diventata una randagetta.
    Seguo da tanti anni la questione dei cani in Romania, mi fa rabbia vedere come sono trattati, ma forse i nostri connazionali che acquistano cuccioli di razza dai trafficanti, anche se fanno gli struzzi, non sono migliori dei boia dei canili.

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    1. Io penso che un sacco di volte la gente rifuiuti di conoscere, informarsi, cercare di capire: l'indifferenza è la peggiore delle calamità. E poi ci sono i contesti in cui la crudeltà diventa la norma e l'orrore stile di vita. Da certi punti di vista credo che la Romania rientri proprio in questi casi. Felice per la tua cagnolina, che ha avuto un'altra chance , che immagino la ripaghi di tutto.

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