giovedì 20 giugno 2013

SAGRA DI SACILE



TRADIZIONI SENZA VALORE

“..Nella caccia non vedo che un atto inumano e sanguinario, degno di uomini che conducono una vita senza coscienza, che non si armonizza con la civiltà e col grado di sviluppo , a cui noi ci crediamo arrivati. Basta immaginare la condotta dell’uomo durante la caccia per convincersi che, lasciando libero il passo ai suoi peggiori istinti, egli compie atti che, al solo pensarvi lo farebbero arrossire in altre situazioni. La sopraffazione, la perfidia,le trappole, l’imboscata, l’assalto di molti a uno solo, del forte contro il debole, il ratto dei piccini ai genitori e viceversa, sono altrettanti atti vili per se stessi…. compiuti apertamente durante la caccia”:  si può proseguire parlando di costante suicidio morale perseguito dai cacciatori, dell’assenza di pietà, della gioia crudele di provocare dolore. Sono solo alcune delle espressioni usate nel 1891 da Leone Tolstoj , che la caccia ben la conosceva per averla praticata prima che una salutare riflessione lo inducesse ad allontanarsene per sempre con il rimorso per quello che non aveva capito prima. La connotazione della caccia come attività crudele e incivile  è oggi nel nostro paese estremamente diffusa, tanto che  i cacciatori sono oggi una minoranza del tutto esigua, non più di 7/800 mila:  una progressiva consapevolezza ha indotto un numero sempre crescente di persone non solo a non praticarla in prima persona, ma ad esprimerne una secca  e definitiva condanna. Incredibilmente una classe politica sorda alle istanze dei cittadini di cui dovrebbe essere l’espressione e intrepretare la volontà è succube e prona di una minoranza aggressiva e astorica. Di conseguenza è necessario ancora mobilitarsi  per far valere i propri diritti di cittadini, ma ancora di più di tutti quegli animali, senza diritti e senza voce,  che ne sono le vittime incolpevoli.
Su questa scia si situa la sagra degli osei, celebrata con orgoglio a Sacile, provincia di Pordenone, che mette in mostra ogni 2 di agosto migliaia di “uccelli da richiamo”: espressione già di per sé latrice di una realtà di sopraffazione e inganno: già perché questi uccelli , privati della libertà, rinchiusi in gabbie anguste, obbligati a spezzare il proprio volo contro le sbarre che incontrano cercando un sud, che è iscritto nei loro geni,  nei periodi di migrazione, devono servire a loro insaputa e loro malgrado a richiamare con un canto, che è  di desiderio,  altri uccelli, e  così  portarli giusto giusto sulla traiettoria dei pallettoni dei cacciatori, di quelle persone, cioè, bardate come per la guerra, armate fino ai denti, pronte ad atterrare con immane prova di coraggio esseri di pochi grammi, incantati nel loro volo dalle lusinghe inconsapevoli di altre vittime.
Non credo occorrano commenti: la realtà di prepotenza, sopraffazione, crudeltà e cinismo è talmente evidente che ogni parola suonerebbe superflua. Vale allora solo la pena di fare poche riflessioni sull’orgoglio esibito dai cittadini di Sacile, che celebrano con soddisfazione quella chiamano  festa della natura con  migliaia di uccelli rinchiusi in gabbie piccole e sovraffollate: il tutto per , vantare la  tradizione, che 738 anni di storia non hanno scalfitto.
Bene: si è di fronte alla negazione della realtà, ad un obnubilamento delle coscienze: l’enorme ingiustizia praticata nei confronti di piccole vittime innocenti è invisibile e l’attenzione del gentile pubblico, degli osservatori e dei media,  è calamitata a concentrarsi sul valore della tradizione. Ignorano evidentemente i responsabili che il termine stesso tradizione fa riferimento ad un patrimonio di abitudini, consuetudini che viene tramandato di generazione in generazione per il significato positivo che comporta; e che il concetto stesso è dinamico perché si deve confrontare con altri elementi che, nel loro inevitabile evolversi, modificano tutta la realtà .
Molte cose sono cambiate da quel   1271 a cui viene ostinatamente fatta risalire l’odierna sagra: nel nostro mondo occidentale le donne si sono viste attribuire l’anima, loro negata per secoli, e (addirittura!) diritti civili e possibilità di votare; i bambini potrebbero essere educati ed istruiti con l’uso della verga e del bastone, se nel frattempo una dichiarazione universale non li avesse riconosciuti degni di ben altri trattamenti; i folli sarebbero ancora esiliati dal  consesso sociale perché indegni; i colpevoli di qualunque delitto esposti al pubblico ludibrio sulle pubbliche piazze. E via tormentando.
I diligenti organizzatori della sagra degli osei dovrebbero acquisire informazioni che nel frattempo anche gli animali non umani hanno acquisito diritti un tempo a loro negati, in nome dei quali l’infierire e l’incrudelire su di loro non è più accettato dalle leggi, ma neppure dalle coscienze: e non è certo un vacuo richiamo alla tradizione a impedire l’ingiustizia del loro imprigionamento, la crudeltà della loro impossibilità a volare al ritmo della loro natura. Varrebbe anche la pena che si interrogassero sul modello che stanno proponendo a tutti quei bambini, che di certo saranno invitati ad ammirare lo spettacolo: si tratta di un modello che esalta l’oppressione dl più forte a danno del più debole, esorta a disconoscere i segnali di sofferenza che gli uccelli mandano, educa all’insensibilità.
Non è più tempo di tanta barbarie: è un’altra la società che va costruita, di altri modelli vi è imprescindibile bisogno: sono quelli in cui le differenze siano occasione di arricchimento, in cui la natura possa celebrare sé stessa e la propria ricchezza, in cui la prevaricazione venga condannata.
Tutti noi vogliamo e di sicuro lo vogliono tutti quei bambini la cui sensibilità non sia ancora stata travolta da insensati modelli di sopraffazione veder gli uccelli volare, allontanarsi da noi insieme ai loro amici e verso di noi ritornare, se lo vogliono, a stormi, perché di noi si fidano. E’ il momento di celebrarla la natura non di umiliarla. E del richiamo alla tradizione francamente non sappiamo cosa farcene.
  (Articolo scritto per Nosagraosei)  

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